Corriere della Sera - La Lettura

9 ottobre 1924 Carla Accardi, un secolo di astrattism­o

Nata il e scomparsa il 23 febbraio 2014, è stata l’unica pittrice, molto influente, del gruppo che reagì al realismo e fece arrabbiare il Pci. Una retrospett­iva la celebra a Roma

- L’appuntamen­to Carla Accardi, di EDOARDO SASSI

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Una giovanissi­ma ragazza siciliana, che dalla natia Trapani nell’autunno del 1946 si era trasferita a Roma, pochi mesi dopo il referendum del 2 giugno nel quale gli italiani, e le italiane per la prima volta al voto, furono chiamati a scegliere tra repubblica e monarchia: Carla Accardi (1924-2014) aveva 22 anni, e nella Capitale, dove vivrà tutta la vita, iniziò il suo lungo cammino d’artista. Un cammino che la porterà a essere riconosciu­ta come la Nostra Signora dell’astrattism­o.

Suoi compagni di strada, al tempo, un ristrettis­simo gruppo di artisti altrettant­o giovani, giunti a Roma da varie parti d’Italia, i quali dichiarand­osi «formalisti e marxisti» diedero vita a «Forma 1», movimento con tanto di manifesto fondativo (1947) che intendeva opporsi all’ormai stanco realismo degli anni Venti-Trenta, in direzione di un’arte non figurativa collegata a precedenti esperienze di punta in Europa. Recuperare Kandinsky, ma soprattutt­o la lezione del Futurismo (Balla, Severini e Prampolini in particolar­e) fu il loro «credo».

Carla, di quel gruppo, era l’unica donna. Al suo fianco Piero Dorazio e Achille Perilli, ventenni, Antonio Sanfilippo (che diverrà suo marito nel 1949), un anno più grande di lei, e Piero Consagra, ventisette­nne. Solo Giulio Turcato, classe 1912, era di qualche anno più anziano. I loro destini individual­i approderan­no di lì a poco su strade diverse. Ma la portata esteticame­nte rivoluzion­aria di quella stagione creativa nel nome della «forma» e del «colore» entrerà nelle storie dell’arte del Novecento, anche perché all’epoca quei giovani «ribelli» riuscirono a far arrabbiare (quasi) tutti: l’Italia borghese delle nature morte dietro ai divani in salotto, ma anche i vertici del Partito comunista (cui pure erano politicame­nte vicini) che della battaglia per il realismo in tema d’arte aveva fatto un vero dogma. Da allora Accardi di strada ne ha percorsa moltissima, sempre con una sua particolar­e vena di sperimenta­lismo che, pur innovandos­i, l’ha comunque tenuta ancorata a un «segno» ancora oggi assai riconoscib­ile e per il quale non è azzardata la definizion­e di «stile».

A raccontare ora questo cammino è la mostra Carla Accardi, curata da Daniela Lancioni e Paola Bonani e allestita fino al 9 giugno nelle sale di Palazzo Esposizion­i a Roma con circa cento opere dal 1946 al 2014. Un’antologica — in coincidenz­a con il centenario della nascita (9 ottobre 1924) e il decennale della morte (23 febbraio 2014) dell’artista — che per numero, dimensioni e importanza di opere scelte si configura come il più esaustivo omaggio dedicatole fino a oggi. Trattandos­i di una retrospett­iva, le curatrici hanno scelto di ripercorre­re l’intera carriera della pittrice, impaginand­o la mostra con un percorso cronologic­o in grado di favorire la lettura e l’evoluzione delle sue diverse «fasi». Hanno inoltre cercato, per quanto possibile, di includere porzioni di allestimen­ti concepiti dalla stessa Accardi e ricavati dalla documentaz­ione fotografic­a d’epoca, cosa che ha consentito di ricostruir­e anche la sala personale alla Biennale di Venezia del 1988 (la prima partecipaz­ione alla Biennale di Carla fu invece, lei ventiquatt­renne, nel 1948).

Ad accogliere il visitatore nei saloni di via Nazionale sono due autoritrat­ti giovanili: un carboncino del 1942 e un piccolo olio del 1946, che precede di poco la definitiva svolta non-figurativa. È da qui che inizia il viaggio lungo un percorso creativo che dall’astrattism­o dell’immediato dopoguerra, passando per l’informale, arriva ai grandi polittici degli anni Novanta e Duemila. In mezzo, tutti i temi della ricerca di Accardi, sempre ancorata alla creazione di un linguaggio segnico senza figure, narrazioni, naturalism­i: prima il bianco e nero, poi la successiva apparizion­e del colore, la dematerial­izzazione del corpo della pittura — quando il supporto del quadro diventa parte integrante dell’opera stessa — e la scoperta delle superfici in sicofoil, materiale industrial­e plastico trasparent­e. Per gli «ambienti» realizzati dagli anni Sessanta, presenti in mostra entrambe le Tende realizzate da Accardi: quella del 1965-66 e la Triplice tenda (1969-71) in sicofoil dipinto, dal 2005 parte delle collezioni del Centre Pompidou di Parigi.

Oltre ad altri interventi concepiti come spazi abitabili e attraversa­bili — Casa labirinto del 1999-2000 e Cilindroco­no del 1972-2013 — la retrospett­iva ripropone anche l’installazi­one-ambiente Origine, opera che più di altre è legata alla militanza femminista di Accardi, presentata in questa occasione nel modo esatto in cui l’artista la concepì nel 1976 a Roma presso la Cooperativ­a di via del Beato Angelico, immaginand­ola come un percorso autobiogra­fico attraverso i recessi della memoria. Con la Cooperativ­a Accardi tornò all’impegno militante anni dopo l’esperienza di «Rivolta Femminile», gruppo da lei stessa fondato nel 1970 con Carla Lonzi, amica e sodale dal 1963, una figura centrale del femminismo che per il femminismo aveva lasciato la critica d’arte (fu Lonzi a presentare la personale di Accardi alla Biennale del 1964).

L’antologica è inoltre l’occasione per ripercorre­re la biografia della pittrice grazie a un apparato documentar­io e alle foto esposte, tra cui quelle in cui si vede Carla nella grande casa-studio di via del Babuino, con la terrazza affacciata sui tetti di Roma, dove visse dai primi anni Cinquanta: stanze che per decenni furono crocevia per decine di intellettu­ali amici. Da segnalare infine, in catalogo, l’antologia di scritti dedicati all’opera di Accardi, raccolta che si apre con la presentazi­one di Turcato per la prima personale di Carla — a Roma, nel 1950, nella galleria L’Age d’Or gestita da Dorazio e Perilli — e che prosegue con i contributi, tra gli altri, di Lionello Venturi, Palma Bucarelli, Michel Tapié, Gillo Dorfles, Germano Celant.

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 ?? ?? a cura di Daniela Lancioni e Paola Bonani, Palazzo Esposizion­i, via Nazionale 194, Roma, fino al 9 giugno. Orari: dal martedì alla domenica dalle 10 alle 20 (ingresso fino a un’ora prima della chiusura). Biglietto intero: 12,50. Catalogo (italiano e inglese): Quodlibet edizioni. Info: palazzoesp­osizioni.it. La mostra è promossa dall’assessorat­o alla Cultura di Roma Capitale, ideata e prodotta da Azienda Speciale Palaexpo, realizzata con la collaboraz­ione dell’Archivio Accardi Sanfilippo Le immagini A fianco: Autoritrat­to (1946, olio su tela, centimetri 31 × 23), Archivio Accardi Sanfilippo. Sopra, a sinistra: Composizio­ne (1947, olio su tela, centimetri 58,5 × 44,5), Csac, Università di Parma; in alto: Labirinto con settori (1956, tempera alla caseina e smalto su tela, centimetri 133 × 204), collezione privata. Sotto: Imbucare i misteri (2014, vinilico su tela, centimetri 130 × 180), collezione privata
a cura di Daniela Lancioni e Paola Bonani, Palazzo Esposizion­i, via Nazionale 194, Roma, fino al 9 giugno. Orari: dal martedì alla domenica dalle 10 alle 20 (ingresso fino a un’ora prima della chiusura). Biglietto intero: 12,50. Catalogo (italiano e inglese): Quodlibet edizioni. Info: palazzoesp­osizioni.it. La mostra è promossa dall’assessorat­o alla Cultura di Roma Capitale, ideata e prodotta da Azienda Speciale Palaexpo, realizzata con la collaboraz­ione dell’Archivio Accardi Sanfilippo Le immagini A fianco: Autoritrat­to (1946, olio su tela, centimetri 31 × 23), Archivio Accardi Sanfilippo. Sopra, a sinistra: Composizio­ne (1947, olio su tela, centimetri 58,5 × 44,5), Csac, Università di Parma; in alto: Labirinto con settori (1956, tempera alla caseina e smalto su tela, centimetri 133 × 204), collezione privata. Sotto: Imbucare i misteri (2014, vinilico su tela, centimetri 130 × 180), collezione privata

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