Corriere della Sera - La Lettura
Scenari balcanici per il Myanmar della guerra civile
Lo Stato asiatico alla deriva dopo il golpe militare del 2021: milioni di sfollati, opposizioni in armi, scontri etnici
Nel febbraio 2021 i militari del Myanmar, capitanati dal generale Ming Aung Hlaing, organizzarono un colpo di Stato, ponendo fine a dieci anni di coabitazione con la Lega nazionale per la Democrazia (Nld), guidata da Aung San Suu Kyi, Nobel per la Pace e un tempo icona globale, ora agli arresti domiciliari. Provocato dal timore dell’erosione del potere dei militari, il golpe iniziò con un grave errore di valutazione circa gli umori dei 55 milioni di abitanti del Paese: sbagliando, i generali scommisero che avrebbero rapidamente riguadagnato la loro presa sul governo nazionale.
Ciò che non compresero è che durante il periodo di maggiore apertura democratica, dal 2010 al 2021, una nuova generazione era giunta a cogliere l’opportunità di influenzare gli eventi politici e sociali. Per tutto il decennio, fino alla pandemia, vi fu un boom economico, e fiorirono le connessioni internazionali. Le opportunità educative e professionali, in particolare per i giovani, aumentarono enormemente.
Com’è ovvio, in quegli anni continuarono a manifestarsi problemi seri, inclusi le guerre civili di lungo corso tra il governo centrale e le forze armate etniche, e il terribile trattamento della minoranza musulmana dei Rohingya lungo il confine con il Bangladesh. Inseguiti da un pogrom omicida, più di 700 mila Rohingya fuggirono dal Myanmar nel 2017; attualmente, più di un milione di persone è raccolto a ridosso del confine, e alcune di loro ancora corrono il rischio di puntare, su imbarcazioni dall’incerta tenuta, verso la Malaysia, l’Indonesia o più lontano.
A partire dal colpo di Stato, circa due milioni di individui sono ora sfollati interni. Molti altri sono costretti a spingersi oltre il confine thailandese o indiano, dove affrontano condizioni di insicurezza e, spesso, di pericolo. Una delle leve di questa ondata di dislocazione è rappresentata dai nuovi conflitti scoppiati dopo il 2021. Le mappe degli scontri in Myanmar, pubblicate e regolarmente aggiornate dall’International Institute for Strategic Studies (il britannico Iiss), elenca dal febbraio 2021 29.377 incidenti violenti in 317 municipalità su 330. Un’intera schiera di nuove milizie, sotto l’ampia insegna delle Forze di difesa popolare, ha preso di mira truppe del regime, la polizia e altri funzionari. Lo scorso ottobre, gli attacchi congiunti a sorpresa (chiamati Operazione 1027) di tre armate etniche (Arakan Army, Myanmar National Democratic Alliance Army e Ta’ang National Liberation Army) hanno portato a conquiste territoriali, alla resa di unità strategiche del regime e alla cattura e alla morte di funzionari di alto rango dell’esercito, suscitando interrogativi spinosi sulle strategie politiche e militari della leadership nella capitale Naypyidaw. Dopo tre anni di fallito consolidamento del controllo dei militari, c’è una crescente urgenza di considerare quelli che potremmo chiamare gli «scenari del giorno dopo».
Che cosa succede se il regime cade (una possibilità remota nel breve periodo, ma obiettivo finale delle forze della resistenza)? Primo, reagire a un tale scenario richiederebbe sforzi e costi indicibili. Mentre la pianificazione di questi scenari è in corso all’interno dell’opposizione civile del Governo di Unità nazionale e tra i principali gruppi armati etnici, la realtà è che le organizzazioni o le potenze internazionali non si stanno offrendo per assumere l’immenso compito della ricostruzione istituzionale, e Paesi come la Cina e l’India sono riluttanti a offrire qualsiasi intervento significativo, temendo anche il travaso del disordine e delle attività illecite nei loro territori. Secondo, non è chiaro se tutti gli attori locali rilevanti vorranno mantenere l’unità dell’ordinamento politico multietnico del Myanmar. Mentre si registrano voci importanti che auspicano un modello federale progressista e inclusivo, si osservano innumerevoli divisioni nella politica locale etnica, religiosa e linguistica. Alcune delle più forti minoranze, specialmente quelle negli Stati Kachin (a nord) e Shan (nord-est), vorranno vedere realizzata una radicale devoluzione nel processo decisionale o forse potranno essere soddisfatti solo con una completa indipendenza.
La potenziale balcanizzazione alza la posta in gioco e aumenta i rischi per i vicini, soprattutto per la Cina, che presenta lunghi confini con le aree etniche di maggiore successo economico, dove ha forti interessi, avendo costruito infrastrutture e Zone economiche speciali lungo la nuova Via della Seta. In alcuni luoghi, come le aree controllate dalla United Wa State Army, un modello ultradecennale di autonomia sub-nazionale già esiste, sostenuto economicamente dalla produzione di stupefacenti su scala industriale. La verità è che il Paese è stato continuamente in conflitto con sé stesso dal 1945. Senza un maggiore interesse del resto del mondo e impegni più sostanziali a sostenere l’opposizione democratica ed etnica, non è chiaro se si verificherà un’adeguata resa dei conti con il grande errore di calcolo del golpe del 2021.