Corriere della Sera - La Lettura
Dio non è morto La religione colonizza la politica e la moda
Un volume curato da Carlo Nardella testimonia il ricorso costante all’immaginario della fede. La Bibbia di Trump, il rosario di Salvini, i riferimenti pubblicitari. E l’icona della pandemia: Papa Francesco nel vuoto di piazza San Pietro
Negli ultimi giorni di maggio 2020, Donald Trump viveva in una sorta di stato d’assedio all’interno della Casa Bianca a causa delle manifestazioni che riempivano le piazze in segno di protesta per la morte di George Floyd, un afroamericano ucciso da un agente di polizia a Minneapolis. A Trump si imputava di aver fomentato un clima di intolleranza e di odio razziale con le sue politiche e il suo reiterato sostegno alle forze dell’ordine. Per spezzare l’assedio, Trump ordinò di far sgombrare la piazza antistante la Casa Bianca, Lafayette Square, e accompagnato dallo staff presidenziale la attraversò sino alla chiesa di St. John, dove si fece fotografare mentre sollevava una Bibbia. La portata di quell’immagine fu tale da veicolare un potente messaggio politico, rivolto non solo alla base elettorale del presidente, ma più in generale all’opinione pubblica, nonostante la evidente discrasia tra i valori etici e religiosi tradizionalmente associati al testo biblico e la persona di Trump, che — se si eccettua il quinto — è stato tacciato di aver violato praticamente tutti gli altri comandamenti.
Qualcosa del genere era già avvenuto in Italia l’anno precedente, quando Matteo Salvini aveva ripetutamente ostentato un rosario e la propria devozione mariana durante la campagna elettorale per le elezioni europee. In entrambi i casi, le autorità ecclesiastiche cattoliche e anglicane (nel caso di Trump) avevano vivacemente protestato, rivendicando a sé il controllo e il legittimo uso dei simboli religiosi, senza però che questo comportasse conseguenze significative nell’opinione pubblica, anzi: la Lega di Salvini ottenne il 34% dei consensi elettorali, il suo massimo successo. Il processo di dissociazione dei simboli religiosi dal loro contesto originario, da un lato, ma, dall’altro, la loro persistente efficacia nel contesto mediatico è al centro di un volume curato da Carlo Nardella, Religioni dappertutto (Carocci), che illustra da questa prospettiva il sempre maggiore rilievo della dimensione simbolica nella costruzione della realtà sociale e culturale contemporanea, con il contributo di importanti studiosi italiani e stranieri.
Il processo di secolarizzazione rende disponibile per nuovi utilizzi il vasto repertorio di immagini, concetti e simboli religiosi, una volta che esso ha attenuato, se non del tutto dissolto, il legame che le persone intrattenevano con il mondo del sacro, di cui però conservano memoria, non foss’altro perché si trovano a vivere in un panorama storico e culturale pervaso di riferimenti religiosi (edifici, toponomastica, festività e quant’altro).
Se ne erano già accorti i primi operatori pubblicitari all’inizio del Novecento, quando la cartellonistica — all’epoca la forma più efficace di comunicazione commerciale — faceva largo uso di immagini religiose. Già in questo caso si può osservare la dinamica di dissociazione e ricontestualizzazione: da un lato il loro utilizzo mirava a rafforzare il valore e la «bontà» del prodotto pubblicizzato, ad esempio con la figura dell’angelo che campeggiava sull’etichetta dei primi dischi della Deutsche Grammophon o sulle pubblicità dei medicinali; dall’altro, veniva rovesciato il ruolo di figure come il diavolo, che diventava sinonimo di una «diavoleria» tale da spazzar via i concorrenti rivelandosi una tentazione irresistibile, oppure come il frate che da asceta rinunciatario dei piaceri della carne si lascia andare a un bicchiere di vino liquoroso — ma qui giocava anche la tradizione antifratesca tra il faceto e il polemico che risale già al Decameron di Giovanni Boccaccio.
Il campo della moda è forse quello in cui si può meglio cogliere la complessa dinamica inerente al riutilizzo dell’immaginario simbolico religioso. Nella collezione «Mosaico sartoriale» del 2013, Dolce e Gabbana riprendono le figure dei mosaici del Duomo di Monreale, stampandole sul tessuto dei vestiti indossati dalle modelle, in quello che è stato definito «un eccesso iconografico e un sentimento di devozione». Tuttavia, a un esame attento, si nota come gli stilisti abbiano evitato di riprodurre le immagini di Cristo o della Vergine, per concentrarsi invece su quelle di personaggi minori, che però venivano spesso scambiati dagli osservatori con le prime, probabilmente per la suggestione esercitata dall’insieme degli abiti della collezione. Veniva così a crearsi un intreccio complesso tra storia, arte, religione e biografa degli autori (Domenico Dolce e Stefano Gabbana hanno origini siciliane), in cui tutti gli elementi concorrevano a dare un particolare senso di autenticità alla loro proposta, travalicando così il semplice aspetto dello «stile» e della moda.
In un simile quadro, che resta dell’immaginario specificamente religioso? Le immagini di Papa Francesco solo, in preghiera accanto alla croce in una Piazza San Pietro deserta, trasmesse in mondovisione nel mezzo della pandemia il 27 marzo 2020, sono forse tra le più evocativamente potenti degli ultimi decenni, ancor più del fulmine che colpisce la cupola della basilica nel giorno delle dimissioni di Papa Ratzinger. Di fronte alla lettura «ufficiale» proposta dai media vaticani, secondo cui il vuoto della piazza era riempito «spiritualmente» dalla preghiera dei fedeli collegati tramite la televisione, il volume considera queste immagini come espressione di un dato di fatto, della secolarizzazione che ha ormai svelato il suo volto: il Papa è l’ultimo sacerdote di una religione estinta, di cui restano solo gli edifici deserti. A ben vedere, però, il Papa non è semplicemente solo, ma nella sua solitudine ripresenta il più potente simbolo del cristianesimo, la sua rivelazione più sconvolgente, il grido sulla croce «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»: mai come nel vuoto di quella piazza, nell’indifferenza della società secolarizzata che svuota le chiese, Francesco si mostra e si rivela autentica figura di Cristo, suo vicario in questa terra e in questo tempo.