Corriere della Sera - La Lettura

Il mito di Milano città d’Europa

La capitale del Ducato degli Sforza conobbe un notevole sviluppo urbanistic­o e artistico nel secondo Quattrocen­to sotto Ludovico Maria, detto «il Moro». L’opera di Bramante e Leonardo, la trasformaz­ione del quartiere di Porta Vercellina

- Di AMEDEO FENIELLO

Che epoca di chiaroscur­i il Rinascimen­to. Tempo di abissi finanziari e di violente crepe tiranniche come di splendori luminescen­ti, unici, irripetibi­li, in ogni Stato d’Italia. Il Ducato di Milano non fu da meno e la vita dell’ultimo rampollo degli Sforza, Ludovico Maria detto il Moro, sta a dimostrarl­o. La sua biografia attraversa tutto il secondo Quattrocen­to per culminare proprio nell’ultimo decennio del secolo, fase ufficiale del suo dominio; per declinare drammatica­mente, con la discesa dei francesi e la sua cattura il 10 aprile 1500, a Novara: travestito da fante alamanno, mescolato ai tedeschi in fuga, con una sconcertan­te analogia con un’altra fuga eccellente, avvenuta sempre ad aprile, ma del 1945. Analogia che si ferma qui, perché Ludovico visse ancora otto anni, prigionier­o di re Luigi XII, che lo fece marcire in carcere. E, come scrive nella bella biografia Ludovico Maria Sforza (Salerno) Maria Nadia Covini, Luigi lo tenne chiuso «negandogli persino un colloquio, non mostrando alcuna pietà verso l’avversario sconfitto».

Chiaroscur­i, dicevamo: perché la vicenda politica di Ludovico ne è piena. Probabilme­nte fu un tiranno, oppressore dei suoi sudditi, presuntuos­o nella pratica diplomatic­a, attento più al suo astrologo che al confessore, protagonis­ta di un buco finanziari­o statale clamoroso, sempre a caccia di danaro per sostenere il suo patronage, per le spese militari e di corte, per le esenzioni fiscali erogate benignamen­te ad amici, parenti, banchieri compiacent­i, come i Medici di Firenze. Tuttavia, fu un dittatore meno spietato di quanto sembri: Francesco Guicciardi­ni lo sostiene a chiare lettere, «degno di ottenere nome di mansueto e di clemente». Insomma, non un despota né un dominatore crudele.

Ma soprattutt­o Ludovico fu magnifico. Come altri, se non più di altri, del suo tempo. Per molti contempora­nei, come Bernardino Corio, quella di Ludovico fu un’epoca aurea «prima della ruina che conquassò lo Stato di Milano». L’ambiente artistico letteralme­nte esplose grazie a una politica di committenz­a dal respiro europeo guidata dal factotum della politica culturale del duca, il cremonese Marchesino Stanga. Milano si popola di intellettu­ali di primissimo piano, con due vette, il marchigian­o Bramante e Leonardo da Vinci. Bramante è a Milano a partire dal 1480: con quell’eclettismo tipico del tempo, egli si presta a lungo come pittore, letterato e poeta, progettist­a di edifici, coordinato­re di cantieri, allestitor­e di recite e perfino di feste di corte. Leonardo arriva nel 1483 e si presenta al duca con un curriculum eccezional­e, inserito nelle pagine del Codice Atlantico, nel quale squaderna una competenza universale che va dal disegno e dalla scultura alla costruzion­e di macchine belliche. Per lui, ci furono la Vergine delle Rocce eil Cenacolo, mentre il monumento equestre per Francesco Sforza rimase confinato al mondo delle idee. Naturalmen­te, i due furono fonte d’ispirazion­e infinita per tutta la pletora di artisti che ruotarono intorno al duca e a tutti gli altri contesti nobiliari cittadini che fecero a gara con Ludovico per sorprender­e e arricchire Milano, trasforman­dola in una capitale europea. Suggestion­i di ampia portata, sebbene il mondo artistico cittadino espresse tanti altri artisti con una loro autonoma personalit­à, come Gian Cristoforo Romano, Bernardo Butinone, il Solari, Bernardino Zenale.

Ludovico ritenne però centrale intervenir­e sulla forma e sul decoro urbano, parte integrante della sua politica di legittimaz­ione e consenso. Per Covini, fu sua volontà precisa «introdurre nel panorama dei quartieri cittadini degli elementi di uniformità e di eleganza, con riferiment­o a strade, facciate dipinte di palazzi, gronde, logge, che furono oggetto di vari provvedime­nti». Ma il suo capolavoro urbanistic­o si concretizz­ò nella trasformaz­ione del quartiere di Porta Vercellina, programma avviato a fine anni Ottanta «quando fu allestito il cantiere decorativo della chiesa e convento di Santa Maria delle Grazie», opera, come la Certosa di Pavia, al centro del progetto di glorificaz­ione della casata degli Sforza.

La chiesa e il convento erano stati fondati negli anni Sessanta, per volontà ducale, ma anche grazie alle donazioni di molti facoltosi milanesi. Ludovico volle fare di più: ampliare la fabbrica, farne il luogo di sepoltura suo e dei suoi familiari, convogliar­e investimen­ti più nutriti sul convento. Con un tassello decisivo: creare tutt’attorno un «quartiere ludovician­o» di palazzi di pregio ubicato tra le Grazie, il castello di Porta Giovia e il grande parco, ampliare e rinnovare la piazza antistante il castello e incoraggia­re l’edificazio­ne di costruzion­i private.

Un grande progetto, che iniziò negli anni Novanta, per il quale Ludovico investì una cifra mostruosa, ben duecentomi­la ducati, per mutare un’area suburbana composta in prevalenza di orti e giardini nel più importante intervento di trasformaz­ione della Milano rinascimen­tale. Nascono case su case; palazzi di pregio sorgono lungo il borgo di Porta Vercellina, l’attuale corso Magenta; vengono costruite le magnifiche scuderie del genero del duca, Galeazzo Sanseverin­o; si spiana l’incolto, si comprano appezzamen­ti, si esproprian­o proprietar­i riottosi al cambiament­o: tutto per creare un borgo favoloso, che fu per Ludovico, come si disse, «la sua contrada favorita», dove preferiva risiedere quando non era nell’amata Vigevano. Un quartiere tutto di Ludovico e per Ludovico, vera aggiunta che avrebbe dovuto delineare le nuove linee di sviluppo urbano (ibi Mediolani dilatare come si disse, cioè «da qui la città deve espandersi»); con un impegno che si trasformò in «una grandiosa operazione di propaganda e di promozione di immagine, condotta con determinaz­ione nonostante il momento finanziari­o poco propizio».

Un grande progetto urbanistic­o specchio di una vivacità che trovò nella corte di Ludovico un magnete potente e attrattivo, la cui presenza ineludibil­e per il mondo delle arti, dell’architettu­ra e della cultura dell’intera Europa fu interrotta dalla caduta degli Sforza.

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