Corriere della Sera - La Lettura
Emanuela Orlandi, la dirimpettaia
Conosceva la ragazza scomparsa nel 1983: addirittura ne condivideva un pezzo di destino, perché i padri di entrambe erano dipendenti del Vaticano. Ciò che di lei pensava allora, «Diventeremo amiche», è il titolo di un memoir
Abita i ricordi, Anna Cherubini. Ricordi che non sono soltanto suoi, ma parte di qualcosa di più complesso, qualcosa che chiama in causa un mistero, fra i troppi della storia nazionale. Il 22 giugno 1983, nella Roma dei grandi decreti del destino, scompare, appena quindicenne, Emanuela Orlandi.
Figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia, nata e cresciuta in Vaticano assieme a un fratello e due sorelle, amava la musica classica che studiava in una scuola gestita da suore e preti; amava, soprattutto, la promessa di vita che la giovane età e un luogo tanto protetto come il Vaticano avrebbero dovuto assicurarle. E invece quel giorno di un’estate appena iniziata, mentre l’Italia si preparava al tourbillon delle ferie — era cominciato il decennio che sostituiva le ferie alla villeggiatura — quella promessa si infranse. Fu adescata, rapita, uccisa? «Merce di scambio» dopo l’attentato al Papa? C’entrava la banda della Magliana? Oppure bisognava seguire la «pista di Londra», o la pista della pedofilia, o quella dei reati finanziari? Nessuna verità è mai emersa. In Diventeremo amiche, Anna Cherubini ripercorre questa vicenda da un osservatorio speciale, e rivolgendosi direttamente a Emanuela, per tutte le volte che si erano incontrate, per le cose che si erano brevemente dette, per la promessa di nuovo mancata della loro amicizia, tesse il suo memoir. In quegli anni, quasi coetanea di Emanuela, l’autrice viveva con la famiglia poco più in là della famiglia Orlandi: anche suo padre era dipendente del Vaticano, sua madre invece avrebbe voluto andarsene via.
«Quell’estate del 1983, che per la maggior parte degli italiani fu bella e priva di problemi, dalle parti di Roma San Pietro vide cadere un’ombra scura mai dissoltasi. Sono passati quarant’anni e su di te niente si è più mosso, soprattutto la verità. Ogni volta che veniva pronunciato il tuo nome si turbavano gli animi, anche perché spesso le notizie venivano persino un po’ romanzate. Andavo di mattina presto dal fornaio tedesco con mia madre, per tenerle compagnia mentre faceva la spesa, in quell’anno di “esaurimento”. Incontravamo le mogli degli altri dipendenti del Vaticano e lei chiedeva cosa ne pensassero. Nessuna osava dire che la tua cittadinanza in uno Stato speciale doveva essere collegata alla tua sparizione. Mia madre invece riteneva di sì, e solo al pensiero le veniva una gran paura. Forse stava per iniziare un periodo di rapimenti dei figli dei dipendenti, le altre mogli non avvertivano una certa inquietudine al pensiero? Ma queste si mettevano quasi a ridere: “Ma che dici, Viola, ma ti pare che uno Stato come il nostro, qui davanti ai nostri occhi, lascerebbe rapire i nostri figli? Lì, con la Orlandi, deve esserci stato un maniaco, non c’entra niente il Vaticano! Povera ragazza, avrà fatto una brutta fine”».
Cherubini scrive animata da un ardente amore per quei ricordi che la riconducono a un tempo in cui ogni cosa poteva ancora accadere: tutto possibile, anche «volare» sorretti dalle note di un pianoforte. In Parla, ricordo Vladimir Nabokov richiama alla mente frammenti del suo passato, li convoca, li raduna, pare quasi circoscriverli con le mani perché non vadano a disperdersi, li vuole con sé perché gli facciano da testimoni di un tempo in cui lui non era ancora cresciuto, quel tempo in cui era un ragazzo con la sua formidabile promessa di vita. Così fa Cherubini, nella sua ricognizione di cruciali passaggi autobiografici che diventano biografia di una nazione, nel dilatare la memoria fino a fare i conti — anche — con la finitudine dell’esistenza, nell’evocare l’oltraggio alla vita di una ragazzina che poteva essere lei o chiunque altra si trovasse in quel momento, in quei paraggi. Nessuna riflessione conclusiva, nessun elemento nuovo a far luce sul mistero di una scomparsa, solo la robustezza di una prosa che corre a fermare quel che può essere fermato sulla pagina, nella foschia intorno, sperando sì che qualcosa nel tempo emerga, ma intanto, come nella leggenda chassidica dei rabbini, quel che si può fare è raccontare, non smettere di farlo.
«Io sono solo la tua ex vicina di casa, la tua dirimpettaia non proprio di pianerottolo ma di piazza San Pietro. Mentre crescevamo insieme, tu a destra del colonnato di Bernini, io a sinistra, coi nostri padri che salutavano le Eccellenze Reverendissime e portavano avanti il loro lavoro di dipendenti del Vaticano, un giorno accadde il fatto: il cielo sopra di noi ti vide uscire dalla nostra scuola di musica ed essere trascinata via da qualcuno».
Nel 2023, ricorda l’autrice, è stata approvata una commissione parlamentare d’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, i cui lavori al momento sembrano fermi. Un notevole impulso alla riapertura del caso era stato dato nel 2022 dalla docu-serie Vatican Girl e dall’instancabile o, per meglio dire, incrollabile ricerca di Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela, che non si è mai arreso al «niente emerso» a cui la sorella è stata consegnata dalla storia. Di tutto questo vi è traccia in Diventeremo amiche, soprattutto vi è traccia della temperie degli anni Ottanta che si è soliti raccontare come amena e leggera ma che invece iniziò con la strage di Ustica e con una moltitudine di scatole nere, rimaste tuttora chiuse.