Corriere della Sera - La Lettura
Una genealogia in sei tomi Si parte da Berlino
L’ambiziosa impresa di Pier Paolo Di Mino accumula materiali eterogenei: c’è un bambino che nasce il 24 marzo 1911 e intorno si muovono figure che evocano cristianesimo e socialismo. Un epos affollato di immagini ma ben scandito
Dalla teologia a socialismo e anarchia, passando per de Sadee Justine; e, prima ancora, dalla teologia a de Sade attraverso la Bibbia, e in particolare attraverso le figure di Abramo e soprattutto di Sara (e il pensiero corre a Il sacro amplesso di Mario Brelich): è questo il percorso disegnato dal monumentale Lo splendore di Pier Paolo Di Mino, il cui sottotitolo I. L’infanzia di Hans par preannunciare un progetto narrativo articolato (pare) in sei volumi.
Il romanzo si dà con una serie di stanze narrative, nelle quali entri ed esci senza quasi accorgertene, risalendo — una volta nato il protagonista del titolo — alle origini di questa storia, per ridiscenderne con cadenza biblica da Albero di Jesse («un’esatta genealogia della sapienza umana» per Preparazione evangelica di Eusebio di Cesarea), giungendo infine al «re». E che qui suona, per i protagonisti, a partire da metà Ottocento: Gustav con Clea generò Joseph, dedicandosi interamente a «prepararlo»; Joseph con Martha generò Klaus e Karl salvo — accolta in casa Rose col figlio del peccato per le insistenze di Clea, che quel bimbo ha fatto nascere — farsi padre putativo di questo bambino uscito «il ventiquattro marzo del millenovecentoundici in una piccola baracca alla periferia di Berlino» che «è come una grotta», e che le due donne decidono di chiamare «Johannes come l’evangelista, che è il più bello di tutti»; un Hans che si mostra subito «sempre intelligente; curioso di tutto», un autentico «labirinto di domande, davvero impegnative» sulla vita.
I passaggi genealogici sono narrativamente scanditi anche dall’affacciarsi d’un misterioso «libro azzurro, rile gato in tela» senza titolo né nome d’autore e sul cui «dorso era impresso un nodo dora to»; lo stesso inizialmente apparso «sull’architrave della casetta in mezzo al bosco», dove Joseph al ritorno dal suo girovagare trova a vivere la madre Clea, vedova. Un libro che «contiene tutta la storia dell’uomo», ma che si offre in sole pagine bianche a chi non è destinato a sfogliarlo; mentre invece, consultandolo, Gustav vede «tutte le immagini del mondo» che tornano «a scorrere, tutte insieme», scorgendovi «infine un bambino che nasceva, ed era bellissimo (…), dentro una baracca, e sua madre è gonfia di paura e fa un patto con Dio», e non avendo allora «più dubbi su quanto dobbiamo fare». Quel libro che suo figlio Joseph comprerà presso un libraio berlinese che «sembra non avere età» per farne dono a Hans.
Un romanzo di simboli; di «parole per formare immagini o per raccontare storie»; e di tante «persone ognuna delle quali deve fare la sua parte, anche se non può capire». Con le due genealogie dei fedeli di Abele e fedeli di Caino che quel libro azzurro vogliono per contrastare i protagonisti sopra ricordati, i quali vengono invece fatti rientrare nella genealogia di «Set, ossia Mercurio, il terzo fratello», e che attraverso Odisseo, Eraclito e Gesù giunge ad Artù, discepolo di Merlino, «figlio di un diavolo e di una santa»; ossia la genealogia dei «veri re».
I protagonisti sono accompagnati da «ombre», in certo qual modo preannunciate dalla voce che rassicura Rose durante il parto e che si riveleranno spiriti-guida: una Vergine Maria che non disdegna la pipa per Clea; o la lussuriosa Sara che guida Gustav alla perdizione. Guide presenti anche come personaggi reali, come la bellissima figura di Hermine, dal personalissimo leggendario dei santi, che sa leggere «i segni e capisce i significati con fiuto e sguardo sottile», e che, dismesso il girovagare da venditore ambulante anche da vedova e appresa l’arte delle erbe, si presenta, mandata da Dio, a casa del disperato Franz Schurman per far nascere Clea. Una Hermine che a sua volta ha come spiriti-guida Athanasius Kircher e Ippocrate. Ma pure il giovane anarchico Gérard de Nerval (omonimo del poeta roL’importante
Lo splendore. I. L’infanzia di Hans
Giulio Alvigini (Tortona, Alessandria, 1995), È tutta una performance (2024, installazione), in mostra fino a martedì 23 aprile allo Spazio Opos di Milano per solite scritte a cura di Andrea Meregalli. L’artista vive e lavora tra Torino, Milano e Genova
Le
mantico), «un visionario, un mistico» per il quale «il mondo è solo un’illusione (…) che va smantellata. Anche con le bombe. Soprattutto con le bombe» e che vede in Gustav «un eletto, un santo nato per la distruzione»; un Gustav — cresciuto odiando Dio proprio ascoltando «la storia di Abramo, più spaventosa di quella di Giobbe» per via di un Dio che, «in un modo o nell’altro, non lascia scampo a nessuno. Né agli animali, né agli uomini» — che va liberato da Sara che, approfittando di quello stato d’animo, è entrata «nella sua vita» quale guida al male e oggetto di fantasie per i suoi «bisogni fisiologici», sino a divenirne succube.
E lo stesso Gustav per Joseph, cui trasmette la sua trasformazione in «cristiano e socialista, anche se, con il tempo, sempre più socialista e sempre meno cristiano, e, alla fine, solo socialista. Ma socialista lo ero diventato soltanto a parole. è venuto dopo. E cioè la sofferenza». E infine Joseph per Hans, il quale (e torna il Qohelet) «di suo ha le sofferenze che nutrono l’intelligenza»: e «con Hans è una questione di socialismo vero».
E sono solo alcune delle notevoli figure disegnate da Di Mino, perché stanno poi quelle contrastive come Ginzburg e Huttel con le loro genealogie e vari personaggi alcuni anche reali (penso a Friedrich Reck quale cugino di Gustav).
Ma pure, autentici personaggi, le parole: che dialogano e bisticciano con le loro contrapposizioni di significati e interpretazioni, accompagnate spesso da immagini luminose come ad esempio, per la fede, quella di «un gatto che cammina di notte e va verso il giorno», e che ben si addice ai movimenti dei personaggi del romanzo. Parole quali socialismo, bene («il socialismo e il bene sono un’arte»), male, cristiani, giustizia, libertà, Dio, distruzione, necessità, speranza (Joseph è la «speranza», in un mondo nel quale «gli uomini non sanno nemmeno che esiste), paura, vuoto e altro ancora. E ovviamente lo «splendore» del titolo, al quale «senza questa lotta, non si può arrivare».
Un dialogo col lettore diretto e indiretto, tra cospicui e affascinanti richiami a una bibliografia tanto vasta e variegata da farsi a sua volta personaggio con proprie parole; e pure citazioni anche facilmente riconoscibili: quasi a ricreare una sorta di «lingua chimerica e filosofica», alchemica, quale quella del Polifilo, richiamata in epigrafe e alle pagine 547-48.
Una ricchezza che si depone anche in una gran varietà di soluzioni stilistiche, dal dibattito argomentativo al racconto d’un sogno, dal dialogo alla preghiera, dalla narrazione commossa alle subdole proposte di qualsivoglia tipo, alle ricostruzioni biografiche ora più piane e ora frenetiche (con qualche perplessità per certi insistiti risvolti splatter nel Gustav violento e omicida).
Anche se è vero che tutto avviene nel segno della raccomandazione di Hermine: «Inventare storie puoi farlo senza preoccupazioni, e senza paura di esagerare. Quanto all’inventare e ascoltare storie non hai limiti».