Corriere della Sera - La Lettura
LA VENERE VIVE NELLA MELA CHE NON SI VEDE
Durante l’inaugurazione della Venere degli Stracci, rigenerata in piazza del Municipio a Napoli, ho alloggiato in un albergo dal cui terrazzo vedevo l’intera piazza, dal porto al palazzo municipale, inclusa l’installazione appena ultimata. Mi sono accorto che stava accadendo qualcosa di straordinario. Nasceva lì un’opera totalmente nuova. Quella piazza ospitava e dava vita a un avvenimento di carattere artistico-sociopolitico di lampante attualità. Ho visto nascere in quel luogo la Venere degli Stracci. Mi è parso come non fosse mai esistita prima. Era una «streetsculpture» nel pieno significato del termine, realizzata nella pubblica piazza con la dovuta proporzione monumentale, per essere direttamente corrisposta dalla società nel più aperto dei modi. Le persone camminavano vicino all’opera ed era come se gli abiti del grande mucchio prendessero vita.
All’inaugurazione il pubblico pareva veramente l’estensione di quel monumento-indumento. Ma non c’è soltanto il lato estetico, anche quello etico. Quel cumulo è vivo come il pattume che dalle case scende per strada e diviene insopportabile ingombro fino all’adattamento al malessere e alla miseria. Lo scarico di rifiuti si trasforma in giaciglio dei senza dimora, l’ordine privato degenera in disordine pubblico, l’ordine pubblico degenera nel disordine privato. Questo lavoro è lo specchio fisico di quella società che incontriamo nelle piazze e nelle strade. Street Art. Vado a ritroso fino ai primordi del 1967 quando la Venere con i suoi stracci ha iniziato un proprio percorso, condotto da innumerevoli richiami della società stessa, per giungere all’attuale messa a punto con il significato assunto a Napoli. Tra la bellezza venerabile della figura e il degrado dei rifiuti la Venere degli Stracci è stata l’attrazione di due estremi che si è verificata attraverso di me.
Io sono in effetti sia autore che spettatore dell’opera. La mia parte è consistita nella disposizione personale a cogliere l’intuizione mentre mi si presentava. L’evento era insito nel mondo del possibile, un possibile contenuto nella pluralità del sociale. Forse, non soltanto nel sociale ma nell’estensione temporale dell’esistente.
È, per me, un’esperienza premonitrice di quella Formula della Creazione che sono venuto via via scoprendo. La quale, attraverso il disegno del triplo cerchio, mostra come tutti gli elementi differenti stiano nei due cerchi opposti e continuamente si combinino nel cerchio centrale. Con la Venere degli Stracci il simbolo artistico della connessionecreazione, dal 1967, continua ad agire al di fuori di me stesso e oltre la mia specifica volontà, nella dinamica del mondo pensato e agito dalla società. Io non faccio che assecondarne la facoltà. La Venere è la bellezza sconfinata, senza tempo, che abbraccia la massa di stracci-detriti-rifiuti e attiva il fenomeno della loro rigenerazione integrandoli nella sfera mitologica in cui essa è protagonista.
Ma c’è ancora una sorpresa che ci attende. È venuto il momento di svelare la parte criptica di quest’opera: quell’elemento nascosto, che sta al centro di essa, non si vede ma c’è e rappresenta un mito portato dalla Venere stessa che percorre la storia fino all’attualità: è la mela. Nella Venere degli Stracci la mano destra della scultura (realizzata da Thorvaldsen nel 1816) regge una mela. Questa non è visibile perché coperta dagli stracci, ma esiste e dunque è parte dell’opera: è la rappresentazione della mela che attraversa la storia dalla civiltà greca a quella giudaico-cristiana. È la mela della bellezza e della discordia, del primo paradiso e del secondo, ovvero della purezza naturale e del peccato artificiale fino alla Mela Reintegrata presente nel piazzale antistante la stazione Centrale di Milano. Dunque l’opera esposta nella piazza del Municipio a Napoli mantiene in sé un’intimità criptica che oggi rendo nota, perché possa entrare anche nel pensiero intimo di ciascuno di noi. La mela non è visibile otticamente ma ora la sto rendendo visibile con la parola. Proprio mentre sto scrivendo, la parola diventa parte integrante di quest’opera ora fisicamente presente qui a Napoli.