Corriere della Sera - La Lettura
Penso un’esplosione, poi la dipingo
A Milano «35 Capricci» di Wainer Vaccari, autodidatta, figurativo, narratore di storie sospese: un uomo nel vuoto, la rovesciata infinita di Parola... Quadri di piccolo formato, uno al giorno per usare solo gesti necessari. Ride: sfido Goya
Artista di lungo corso Wainer Vaccari (Modena, 1949) è votato alla pittura e affascinato dalla narrazione. Nulla è fine a sé stesso nelle sue opere, dai dipinti di grande formato degli anni Ottanta a quelli più piccoli a misura di polso della nuova mostra; sono illuminati dalla tensione dell’attimo sospeso in cui raccontano una storia, un sentimento, una sensazione, un trepidante momento di attesa. La mostra 35 Capricci presso la Carlocinque Gallery di Milano è una notevole conferma del talento dell’artista.
Racconta a «la Lettura» lo stesso Wainer Vaccari: «Sono autodidatta, ho percorso strade difficili, dovendomi arrangiare, molto, istintivamente ho avuto sempre una predisposizione per il disegno di cose visibilmente riconoscibili, ecco. Sono un figurativo».
È un artista solitario. Le sue pennellate materiche rapide e leggere non conoscono incertezze o ripensamenti, una consapevolezza e una sintesi della forma che trasfigurano la realtà in qualcosa di rigorosamente pittorico: c’è chi vede nelle sue opere un’anima manierista completata da un linguaggio ironico e sognatore. Vaccari è uno spiazzante esploratore di luoghi della memoria, dove strani personaggi si muovono o si tuffano alla ricerca di significati e nostalgie fragili, in attesa di un finale rassicurante ma che appare enigmatico.
«I Capricci sono un tema che mi ha sempre affascinato, negli anni Novanta ne ho realizzati un’ottantina, cercando di fare concorrenza a Goya (ride divertito, ndr); si trattava di una mostra che debuttò in Germania e che continuò con diverse tappe ed ebbe un buon successo. Questa riedizione è un po’ come tornare sul luogo del delitto; quando mi è stata proposta mi sono detto: ci riprovo». La scelta del piccolo formato (30x40 centimetri) è una sorta di esercizio di stile, permette all’autore di realizzarne uno al giorno, un obiettivo che si è dato, perché nei dipinti a olio la pennellata rimane fresca, iniziare e finire un quadro anche piccolo in una giornata significa usare gesti necessari, non uno di più, ragionare velocemente e dare a ogni singolo tocco il proprio significato.
«Dipingo ciò che penso di vedere, quindi l’aderenza alla realtà non è totale, nelle mie immagini non tutto è in ordine, è una pittura più libera rispetto al passato, mi muovo nel teatro dell’assurdo, il paradosso mi ha sempre interessato, anche nella vita reale. Mi sono inventato personaggi per narrare qualcosa, loro ritornano sempre, sono come attori che muovo da un luogo all’altro. Uso quello che conosco, quello che ho inventato nel tempo, come una specie di alfabeto personale, declino i personaggi e racconto delle storie».
In questa pittura, prima di tutto pensata, la realizzazione tecnica di grande maestria esalta il contenuto narrativo. «Lavoro molto sul disegno prima di dipingere, i soggetti dei miei quadri sono la conseguenza di molti schizzi, la fase del disegno libero è fondamentale per il risultato finale. Lavoro a memoria, tutto quello che si vede sulla tela è frutto del ricordo, nel tempo ho imparato che lavorare così ti dà più libertà creativa, se voglio dipingere una mela non ho bisogno di vederla, mi basta immaginarla, se voglio disegnare dell’acqua con dei riflessi me la immagino; ecco, i Capricci hanno questa caratteristica».
I quadri sono abitati da una umanità che ripete gli stessi gesti seguendo itinerari indecifrabili, suggerendo una condizione precaria. Un mondo forse senza speranza: in una strada cittadina vediamo detriti volare in aria e il fumo di un’esplosione, Capriccio 25; un ineluttabile destino attende dietro un angolo misterioso, ma potrebbe essere un altro me stesso o solamente il buio, Capriccio 13, 16, 20. Qualche inquietudine della realtà che stiamo vivendo si è insinuata in queste opere. Gli uomini nell’atto di spiccare un tuffo nel vuoto, non sono meno stravaganti di altri personaggi, il calciatore in rovesciata nell’atto di segnare il gol, nostalgica icona della nostra infanzia, rimane congelato all’infinito, mentre una misteriosa entità blocca con gesto gentile il pallone. Forse una dichiarazione definitiva sul destino dell’ingombrante centravanti.
«L’uomo con la testa in fiamme nasce da un’idea di quando avevo cinquant’anni, a quell’età agli uomini questa cosa succede. Improvvisamente, il ricordo è tornato».
I suoi quadri hanno sempre qualcosa di insolito, «...non sono mai dritti, anche i classici hanno qualcosa di storto, come Rosso Fiorentino o come Pontormo rispetto ai loro contemporanei, oppure come El Greco con la sua impressionante modernità, i volti non sono precisi però in quattro pennellate delinea un viso, un’espressione» Le opere di Vaccari vibrano di una tensione vitale senza tempo.