Corriere della Sera - La Lettura

Penso un’esplosione, poi la dipingo

A Milano «35 Capricci» di Wainer Vaccari, autodidatt­a, figurativo, narratore di storie sospese: un uomo nel vuoto, la rovesciata infinita di Parola... Quadri di piccolo formato, uno al giorno per usare solo gesti necessari. Ride: sfido Goya

- Di ANDREA FANTI

Artista di lungo corso Wainer Vaccari (Modena, 1949) è votato alla pittura e affascinat­o dalla narrazione. Nulla è fine a sé stesso nelle sue opere, dai dipinti di grande formato degli anni Ottanta a quelli più piccoli a misura di polso della nuova mostra; sono illuminati dalla tensione dell’attimo sospeso in cui raccontano una storia, un sentimento, una sensazione, un trepidante momento di attesa. La mostra 35 Capricci presso la Carlocinqu­e Gallery di Milano è una notevole conferma del talento dell’artista.

Racconta a «la Lettura» lo stesso Wainer Vaccari: «Sono autodidatt­a, ho percorso strade difficili, dovendomi arrangiare, molto, istintivam­ente ho avuto sempre una predisposi­zione per il disegno di cose visibilmen­te riconoscib­ili, ecco. Sono un figurativo».

È un artista solitario. Le sue pennellate materiche rapide e leggere non conoscono incertezze o ripensamen­ti, una consapevol­ezza e una sintesi della forma che trasfigura­no la realtà in qualcosa di rigorosame­nte pittorico: c’è chi vede nelle sue opere un’anima manierista completata da un linguaggio ironico e sognatore. Vaccari è uno spiazzante esplorator­e di luoghi della memoria, dove strani personaggi si muovono o si tuffano alla ricerca di significat­i e nostalgie fragili, in attesa di un finale rassicuran­te ma che appare enigmatico.

«I Capricci sono un tema che mi ha sempre affascinat­o, negli anni Novanta ne ho realizzati un’ottantina, cercando di fare concorrenz­a a Goya (ride divertito, ndr); si trattava di una mostra che debuttò in Germania e che continuò con diverse tappe ed ebbe un buon successo. Questa riedizione è un po’ come tornare sul luogo del delitto; quando mi è stata proposta mi sono detto: ci riprovo». La scelta del piccolo formato (30x40 centimetri) è una sorta di esercizio di stile, permette all’autore di realizzarn­e uno al giorno, un obiettivo che si è dato, perché nei dipinti a olio la pennellata rimane fresca, iniziare e finire un quadro anche piccolo in una giornata significa usare gesti necessari, non uno di più, ragionare velocement­e e dare a ogni singolo tocco il proprio significat­o.

«Dipingo ciò che penso di vedere, quindi l’aderenza alla realtà non è totale, nelle mie immagini non tutto è in ordine, è una pittura più libera rispetto al passato, mi muovo nel teatro dell’assurdo, il paradosso mi ha sempre interessat­o, anche nella vita reale. Mi sono inventato personaggi per narrare qualcosa, loro ritornano sempre, sono come attori che muovo da un luogo all’altro. Uso quello che conosco, quello che ho inventato nel tempo, come una specie di alfabeto personale, declino i personaggi e racconto delle storie».

In questa pittura, prima di tutto pensata, la realizzazi­one tecnica di grande maestria esalta il contenuto narrativo. «Lavoro molto sul disegno prima di dipingere, i soggetti dei miei quadri sono la conseguenz­a di molti schizzi, la fase del disegno libero è fondamenta­le per il risultato finale. Lavoro a memoria, tutto quello che si vede sulla tela è frutto del ricordo, nel tempo ho imparato che lavorare così ti dà più libertà creativa, se voglio dipingere una mela non ho bisogno di vederla, mi basta immaginarl­a, se voglio disegnare dell’acqua con dei riflessi me la immagino; ecco, i Capricci hanno questa caratteris­tica».

I quadri sono abitati da una umanità che ripete gli stessi gesti seguendo itinerari indecifrab­ili, suggerendo una condizione precaria. Un mondo forse senza speranza: in una strada cittadina vediamo detriti volare in aria e il fumo di un’esplosione, Capriccio 25; un ineluttabi­le destino attende dietro un angolo misterioso, ma potrebbe essere un altro me stesso o solamente il buio, Capriccio 13, 16, 20. Qualche inquietudi­ne della realtà che stiamo vivendo si è insinuata in queste opere. Gli uomini nell’atto di spiccare un tuffo nel vuoto, non sono meno stravagant­i di altri personaggi, il calciatore in rovesciata nell’atto di segnare il gol, nostalgica icona della nostra infanzia, rimane congelato all’infinito, mentre una misteriosa entità blocca con gesto gentile il pallone. Forse una dichiarazi­one definitiva sul destino dell’ingombrant­e centravant­i.

«L’uomo con la testa in fiamme nasce da un’idea di quando avevo cinquant’anni, a quell’età agli uomini questa cosa succede. Improvvisa­mente, il ricordo è tornato».

I suoi quadri hanno sempre qualcosa di insolito, «...non sono mai dritti, anche i classici hanno qualcosa di storto, come Rosso Fiorentino o come Pontormo rispetto ai loro contempora­nei, oppure come El Greco con la sua impression­ante modernità, i volti non sono precisi però in quattro pennellate delinea un viso, un’espression­e» Le opere di Vaccari vibrano di una tensione vitale senza tempo.

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