Corriere della Sera - La Lettura
Tutti noi complici di Ripley killer frustrato e maldestro
In onda su Netflix dal 4 aprile la serie ispirata all’opera di Patricia Highsmith e ambientata nel nostro Paese. Il regista Steven Zaillian: ho raffigurato un’Italia fuori dagli stereotipi
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Tom Ripley è uno dei personaggi più carismatici della letteratura noir: la scrittrice texana Patricia Highsmith ne ha fatto l’eroe negativo di cinque suoi romanzi, ora editi in Italia da La nave di Teseo, a cominciare da Il talento di Mr. Ripley, pubblicato nel 1955. Anche il cinema si è innamorato di questo bugiardo (e omicida) compulsivo, tanto che è apparso già in cinque trasposizioni, due tratte dal primo romanzo di Highsmith — Delitto in pieno sole di René Clément nel 1960 e Il talento di Mr. Ripley di Anthony Minghella nel 1999 —, due da Il gioco di Ripley — L’amico americano di Wim Wenders nel 1977 e, appunto, Il gioco di Ripley di Liliana Cavani nel 2002 — e infine uno da Ripley Under Ground, ovvero Il ritorno di Mr. Ripley di Roger Spottiswoode nel 2005. A interpretare il ruolo del grande impostore sono stati di volta in volta Alain Delon, Matt Damon, Dennis Hopper, John Malkovich e Barry Pepper.
Ora è l’attore irlandese Andrew Scott a calarsi nei panni del protagonista della serie Ripley, scritta e diretta da Steven Zaillian, in onda su Netflix a partire dal 4 aprile. Una serie in bianco e nero, basata su Il talento di Mr. Ripley e ambientata nell’Italia dei primi anni Sessanta. «Ci sono 150 ruoli parlanti, circa il 90% interpretati da attori italiani», afferma Zaillian: nel cast troviamo infatti Maurizio Lombardi e Margherita Buy in due personaggi chiave, e molti altri nomi del nostro cinema in personaggi minori. La serie è stata girata quasi interamente in Italia, fra la costiera amalfitana (ad Atrani, un paesino di 800 anime che si sostituisce all’immaginaria Mongibello del romanzo), Roma, Napoli, Palermo e Venezia. Gli interni sono stati ricostruiti a Cinecittà e gli abiti di scena sono firmati da Maurizio Millenotti e Gianni Casalnuovo.
«Per me era importante mostrare ogni città italiana in cui si svolge la storia nella sua specificità, anche se abbiamo dovuto cercare per mesi location non troppo modernizzate», racconta Zaillian. «Insieme allo scenografo David Gropman e ai magnifici tecnici italiani abbiamo ricreato il look dei primi anni Sessanta attingendo a una ricerca iconografica capillare. Volevamo un’Italia realistica, fuori dagli stereotipi, ed è anche per questo che abbiano girato in inverno, durante il Covid, con le strade sgombre dalle folle di turisti, e in bianco e nero. Non ci interessava fare la solita cartolina italiana a colori vivaci»: una stoccatina ad Anthony Minghella e al suo precedente adattamento cinematografico di Il talento di Mr. Ripley, ben più ricco di tinte squillanti e di ambientazioni folkloristiche.
«Il bianco e nero mi è sembrato il modo migliore di raccontare una storia che già sulla pagina sembra un film noir. Con il direttore della fotografia Robert Elswit, che aveva già lavorato con me nella serie tv The Night Of, abbiamo voluto riprodurre quell’atmosfera dark e ricca di ombre e oscuri presagi». Anche la narrazione è rallentata rispetto agli standard delle serie contemporanee: «Era un modo per avvicinarmi al ritmo della scrittura della Highsmith, che descrive ogni evento in tempo reale e con dettagli estremamente precisi». «Sarà interessante — aggiunge Andrew Scott, che interpreta Ripley rimanendo sempre al centro della scena e recitando spesso in un buon italiano — vedere come il pubblico risponderà a questo modo unico di seguire una serie televisiva dal passo lento e ipnotico».
«La costruzione delle immagini per me è importantissima», continua Zaillian. «Vorrei che il pubblico potesse apprezzare ogni singola inquadratura come una fotografia d’arte o un quadro: per questo ho tenuto spesso la camera fissa lasciando che fossero gli attori a muoversi all’interno della scena. Cercavo di creare composizioni perfette, da museo, il che ha richiesto molto tempo, ma è valsa decisamente la pena».
«Sono cinque anni che lavoro a questo progetto. Ho sempre amato Il talento di Mr. Ripley e ho sempre pensato che fossero necessarie più di un paio d’ore per poterne raccontare tutte le sfumature, la complessità dei personaggi e il modo in cui i rapporti fra di loro si modificano con l’avanzare della trama», prosegue Zaillian. «Le otto ore della serie sono state perfette per addentrarmi nel cuore di tenebra di questa storia. Andare di fretta avrebbe voluto dire mettere al primo posto gli accadimenti, e invece io volevo che al centro ci fossero i personaggi, in primis l’iconico Tom».
«A differenza degli adattamenti precedenti, Ripley racconta la storia dal punto di vista del protagonista, e ci dà libero accesso ai meccanismi contorti della sua mente», aggiunge Andrew Scott. «La molla dietro ogni sua azione è il desiderio di rivalsa rispetto al suo sentirsi perennemente un escluso. Per questo agisce come se ogni sua nefandezza fosse logica e necessaria. Ci ritroviamo a fare il tifo affinché non venga scoperto perché ci identifichiamo con il lato oscuro che lui rappresenta. La domanda dunque diventa: quale parte di Ripley è anche una parte di noi?».
Molti però hanno descritto il personaggio di Ripley come uno psicopatico verso cui è difficile provare empatia. «Non ho mai cercato — chiarisce Zaillian — di sollecitare l’empatia del pubblico: mi limito a raccontare il protagonista per come è, mostrando ciò che pensa di momento in momento. Tom non è un killer professionista, uccide in modo maldestro, come faremmo se ci trovassimo nei suoi panni, e ha in comune con tutti noi una serie di desideri e bisogni — solo che lui per soddisfarli compie azioni terribili. Ma ha anche talento, è un bugiardo professionista, probabilmente incapace di dire la verità, ma abilissimo nel mentire con grande abilità. E noi, mentre seguiamo le sue vicende, in qualche modo diventiamo suoi complici».
La scelta di Andrew Scott, reduce dal plauso della critica per le sue interpretazioni nel film Estranei e nelle serie Sherlock (dove era l’arcinemico di Holmes, Moriarty) e Fleabag, per il ruolo di Tom Ripley è stata semplice: «Andrew ha la capacità di dare vita a tutti gli aspetti di una personalità complessa come quella di Ripley». Nessuna esitazione anche nell’affidare a Dakota Fanning il ruolo di Marge Sherwood, «l’unica che fin dal primo incontro capisce che in Tom c’è qualcosa che non torna, e che però lungo la narrazione è tentata di fidarsi di lui perché sa lusingare la sua vanità». E di Maurizio Lombardi dice: «Ha reso il personaggio dell’ispettore Ravini molto più rilevante, perché ci fa comprendere tutte le sue sfumature». Chiudono il cast principale Johnny Flynn, il cantautore inglese che ha il ruolo di Dickie Greenleaf, e Eliot Sumner, che porta il cognome di un altro musicista, il padre Sting (al secolo Gordon Sumner), in quello di Freddie Miles. Ci sono anche un paio di cammei che faranno sorridere i cinefili più consumati: al pubblico il piacere di riconoscerli.