Corriere della Sera - La Lettura
Poeti, al lavoro! L’ispirazione è la pesca, non il pesce
«La Lettura» ha dedicato il mese di marzo ai versi. In chiusura, ritroviamo l’esempio di Ghiannis Ritsos, che ogni mattina alle 9 si metteva a scrivere
Dal 1999 il 21 marzo di ogni anno è stato proclamato, su proposta della Società greca degli scrittori, Giornata mondiale della Poesia, e il «Corriere della Sera» (e «la Lettura») hanno deciso di considerare l’intero mese di marzo come Mese della Poesia — un’iniziativa che mi auguro sarà seguita da molti altri.
Ma cos’è la poesia? Le definizioni sono talmente numerose che è come se non ne esistesse nessuna. Se quindi ciascuno di noi deve inventare la propria, oserei dire che quella che abitualmente noi chiamiamo poesia, intendendo implicitamente l’insieme delle poesie, non è altro che una metonimia, un tentativo di simulare o addirittura di registrare la vera poesia, che è essenzialmente al di fuori della lingua. Così come il sismogramma non si identifica con il terremoto ma lo registra, e come il cardiogramma non si identifica con la funzione del cuore ma la registra, così la poesia tenta di rappresentare, riprodurre o imitare l’autentica poesia, che circola invisibilmente ovunque, dentro e fuori della parola, dentro e fuori di noi, come sensazione. Così come tutto può essere religione, politica, matematica o fisica, a seconda del prisma e della messa a fuoco del nostro sguardo, tutto può essere poesia, poiché in ogni cosa essa è potenzialmente contenuta in attesa che si attivi il catalizzatore del nostro interesse.
Se l’importanza della poesia, della letteratura nel suo insieme o di qualunque forma d’arte si esaurisce nella sua autostima estetica, allora si tratta di un sistema chiuso e sterile. Tuttavia, se può influenzare la visione del lettore affinando la sua sensibilità, allora gli offre la possibilità di trarre l’emozione — un’emozione di ordine estetico — direttamente dalla fonte. Di creare, anche per uso individuale, infinite poesie non scritte, di ascoltare la musica dei suoni naturali e di ammirare i dipinti della vita reale o dell’immaginazione. Perché in fondo il dono dell’arte è la pesca, non il pesce.
In una tale prospettiva, un poeta non è solo colui che sistema le parole in versi. Certo, una persona può possedere un temperamento poetico anche se non sfocia nella produzione di un’opera specifica. Ha a che fare soltanto con il modo di accogliere e assimilare le cose dentro e intorno a lui, non con la sua attitudine espressiva e produttiva. Naturalmente, come dicono anche le Scritture, «ogni albero si conosce dal suo frutto». Pertanto, può sembrare che il creatore crei la creazione, ma agli occhi degli altri la creazione, in definitiva, è ciò che il creatore crea certificando questa sua qualità. E a una società dedita al movimento perpetuo della produzione, al consumo insaziabile e al frenetico interscambio di dare e avere, è naturale aspettarsi che il poeta produca quante più opere possibile.
Ma l’arte poetica è per eccellenza l’arte della distillazione, della brachilogia, cioè della brevità e della concisione, quindi l’arte del poco, forse anche l’arte del silenzio. È quindi impossibile applicare qui i criteri quantitativi e le aspettative di una prestazione stacanovistica. Semmai il contrario. In questo caso non hanno importanza il numero e l’estensione, ma neppure il ritmo e la frequenmattina za della produzione. Nel campo dell’arte non vale l’assioma «la natura aborrisce il vuoto», né tanto meno esiste l’horror vacui come deterrente. Il vuoto, un vuoto di apparente inerzia, è spesso lo spazio vitale per la cova di un’idea e funge da trampolino di lancio per un nuovo slancio creativo, la trasformazione del Niente in Qualcosa. Ciò non significa che il poco si identifichi necessariamente con l’importante né che il molto conduca all’insignificante. Ci sono eminenti poeti che seguono fedelmente la massima latina nulla dies sine linea (cioè nessun giorno senza aver scritto un verso), i quali pensano che scrivere debba essere un’occupazione quotidiana, indipendentemente dal fatto che ne risulti qualche prodotto serio. Per quanto strana sia questa pratica, non manca tuttavia di un fondamento: non estraniarsi dalla poesia e cercare di sviluppare la propria scrittura con un esercizio e una sperimentazione costanti.
Ma potrebbero esserci anche altri motivi per questo. Ghiannis Ritsos, già famoso in tutto il mondo, e io come rappresentante, diciamo così, della nuova generazione, nel 1985 fummo invitati a un festival internazionale che si teneva a Milano, intitolato appunto MilanoPoesia. In quell’occasione, Nicola Crocetti, traduttore di Ritsos e di numerosi altri poeti, ci ospitò a casa sua. Ogni mattina ci sedevamo nella sua cucina, bevevamo il caffè e chiacchieravamo di mille cose o, meglio, ascoltavamo Ritsos, le cui parole erano sempre di grande interesse. Ma appena scoccavano le 9, lui si alzava e diceva: «Permettetemi di assentarmi, ma devo lavorare». Si chiudeva in una stanza e scriveva fino a mezzogiorno o alle due. Gli domandai perché seguisse questa consuetudine, e lui mi spiegò: «Ogni gli operai si recano al lavoro, gli impiegati nei negozi o negli uffici, e sono tenuti a rispettare un orario. Il mio lavoro è scrivere, e io sento il dovere di rispettarlo nei confronti della società».
Se consideriamo la poesia come fenomeno olistico, e non come uso particolare del linguaggio, vediamo che essa riunisce e sintetizza tutti gli elementi individuali della spiritualità e della psiche umana, in ogni loro manifestazione. Se poi focalizziamo di nuovo la nostra attenzione sulla poesia della parola, cioè sulla poesia dei testi poetici, si aggiunge il parametro capitale della forma, che negli approcci critici, purtroppo, raramente diventa oggetto di particolare attenzione e analisi, sebbene costituisca la cartina tornasole, che in letteratura differenzia il discorso poetico dalla prosa o dal saggio, e che richiede un impegno, un’arte e una tecnica particolari.
Del resto non dimentichiamo che la parola poesia ha la sua etimologia nel verbo greco antico poieo, che significa «faccio», «produco», da cui risulta evidente che la poesia è il risultato di una costruzione architettonica e che non nasce dalla semplice deposizione di un sentimento o di un pensiero, né dalla descrizione di un’esperienza, come se cadesse dall’alto, pronta per essere consegnata avvolta nelle nubi di un’ispirazione incontrollabile. Se l’«ispirazione» denota lo stimolo iniziale che chiede insistentemente di prendere forma nel territorio del linguaggio, allora essa è la pietra fondante nella costruzione del testo poetico. Nel corso della costruzione, però, il disegno architettonico dell’edificio viene spesso modificato di parola in parola e di verso in verso; compaiono nuovi spazi imprevisti, altri vengono aboliti o combinati, vengono aggiunti altri piani, elementi decorativi e i colori si susseguono fino a che si rivelano i più appropriati, tanto che l’aspetto finale dell’edificio spesso non ha nulla a che vedere con il suo progetto originario.
Non sono poche le volte in cui l’«ispirazione» cessa di essere la prima pietra e diventa il gallo sacrificato sulle fondamenta per rendere più solido l’edificio. Cosa voglio dire? Che nessuna poesia (a meno che non sia composta di uno o tre versi) viene concepita interamente fin dall’inizio, ma acquisisce il suo preciso contenuto e la sua forma esatta durante il processo stesso della sua elaborazione, con continui tentativi, rifacimenti, cancellazioni e aggiunte. Per non parlare dei pochissimi casi in cui, alla fine, un’esplosione fa saltare in aria ogni cosa.
Durante questo processo, la teoria critica prevalente attribuisce la massima importanza ai cosiddetti «elementi biografici» dell’opera, agli eventi e alle esperienze che hanno originato il primo impulso, considerando la riflessione e l’immaginazione come aspetti secondari. Non sono d’accordo con l’affermazione secondo cui tutta la letteratura si fonda esclusivamente sulla casualità dell’esperienza, così come non posso fare a meno di ammettere che l’esperienza, insieme all’immaginazione inventiva, sono i materiali di base con cui avrà inizio e procederà la costruzione. In ultima analisi, anche l’esperienza di vita, per divenire Arte, si trasforma attraverso la memoria in fantasia, così come ogni fantasia è necessariamente costituita da materiali sparsi dell’esperienza, integri o modificati, nella loro dimensione reale o estesa.