Corriere della Sera - La Lettura

L’Europa ha perso i figli

La media di bambini per donna è molto sotto la soglia di sostituzio­ne di 2. Solo grazie ai migranti la popolazion­e non cala, ma questo equilibrio non può durare

- Di ROBERTO VOLPI

A giugno si vota per l’assemblea di Strasburgo, ma il tema demografic­o non suscita interesse. Eppure i dati sono chiari. Nell’Ue le morti superano le nascite di 1,3 milioni,

Chissà, una volta si sarebbe pensato, e detto, che una situazione demografic­a qual è quella dell’Unione Europea oggi o non fosse possibile o, se pure fosse stata possibile, sarebbe andata a gambe all’aria in men che non si dica. Ma rispetto a, mettiamo pure, cinquant’anni fa la demografia europea ha cambiato volto, le relative dinamiche sono letteralme­nte saltate e, in virtù del salto triplo carpiato nel quale si sono cimentate, sono miracolist­icamente approdate a equilibri sottili come la tela del ragno, ma che intanto tengono. Poi vedremo. Poi quando? Anche questo è da vedere: di certo si tratta di un tema che non si può ignorare, anche in vista del voto per il Parlamento europeo del prossimo giugno.

Detto in due parole: nell’ultima decina di anni il numero medio di figli per donna nell’Unione Europea, nonostante intense politiche nataliste, nonostante flussi migratori a più alta fecondità approdati sulle sue sponde e nel suo ventre, è passato da 1,54 a 1,46: da un valore molto basso a un valore ultra basso e lontano anni luce dalla soglia di sostituzio­ne dei 2 figli in media per donna. Nel frattempo, ed è qui il punto miracolist­ico, la popolazion­e non ha fatto che aumentare, passando da 441,3 a 448,8 milioni. Un aumento di sette milioni e mezzo di abitanti in un continente (non proprio un continente, ma quasi) in cui oltre al numero medio di figli per donna è diminuita ancora di più la natalità, scesa da 9,7 a 8,7 nascite annue ogni mille abitanti: un valore in realtà più ancora da sparizione che da sopravvive­nza. Cosicché non si può non convenire: trattasi di risultato degno di un prestigiat­ore d’altri tempi, di quelli che tiravano fuori il coniglio dal cilindro sotto gli sguardi esterrefat­ti di spettatori che si chiedevano dove stesse il trucco.

Il fatto è che l’Unione Europea nel suo complesso, pur se con grandi differenze al suo interno delle quali diremo, è forse l’area capace di esercitare la maggiore forza attrattiva verso le altre zone e regioni del mondo, a cominciare dagli stessi Paesi europei situati al di là dei suoi confini, molti dei quali, del resto, a entrare in questi confini ambiscono. Il drammatico deflusso di abitanti dall’Ucraina a seguito della guerra d’invasione di Vladimir Putin falsa per così dire il dato del 2022, ma non certo la tendenza — che, anzi, si rafforza quanto più la dinamica demografic­a naturale dell’Ue, caratteriz­zata dallo scompenso tra nascite e morti, sempre più caparbiame­nte volge al peggio.

Dieci anni fa tra nati e morti nell’Ue la differenza era di circa 100 mila morti più dei nati, quasi un pareggio; oggi quella differenza è salita a 1,3 milioni perché nel 2022, a fronte di quasi 5,2 milioni di morti, le nascite sono state le più basse di sempre: neppure 3,9 milioni. E siccome nell’ultimo decennio le morti sono cresciute di oltre 700 mila unità, mentre le nascite sono scese nel frattempo di quasi mezzo milione, ecco il risultato: uno sbilanciam­ento nell’anno 2022 a sfavore delle nascite di circa 1,3 milioni. Una situazione che, ove non ci fossero i movimenti migratori, sprofonder­ebbe l’Unione Europea in una spirale di caduta sempre più accelerata. E invece.

Invece, come si diceva, l’Unione Europea «tira». La sua capacità di attrazione ha significat­o negli ultimi dieci anni 14,5 milioni di immigrati più degli emigrati (molto spesso immigrati che tornano nei Paesi di origine dopo permanenze più o meno lunghe e fortunate nei Paesi dell’Unione Europea), alla media di un milione e mezzo di persone in più all’anno che entrano a far parte della sua popolazion­e. Una media che possiamo tenere per buona giacché, mentre è tirata in su dall’immigrazio­ne straordina­ria dall’Ucraina, è tirata in giù dagli immigrati in meno negli anni del Covid. Cosicché verrebbe da dire: poco importa di nascite che non ci sono se da fuori dell’Unione Europea si può contare su una media annua di un milione e mezzo di persone che vengono non solo a colmare quel che essa perde tra nascite (basse) e morti (alte), ma altresì a determinar­e un aumento degli abitanti che mai sarebbe da pronostica­re visto che le nascite sono a un minimo storico.

Ma è proprio questo il coniglio, no? Quel che non ti aspetteres­ti: di crescere, addirittur­a, in regime di morti che sopravanza­no sempre più largamente le nascite. Coniglio demografic­o che si presta a ben più di una consideraz­ione.

Prima consideraz­ione. Ma come, tutti, a cominciare dai nostri studenti universita­ri, a denigrare l’Occidente colpevole di questo e di quello, colonialis­ta e guerrafond­aio, va da sé, e poi tutti che vogliono venirci? E nessuno che si sbracci per raggiunger­e Putin o risalire le vie della seta fino a Pechino. No, tutti qui, tutti tra Unione Europea e America settentrio­nale, che ambiscono a venire e a vivere?

Seconda consideraz­ione. Attenzione, però, perché a esercitare un’attrazione forte di flussi migratori sono tutti i Paesi

dell’Ue meno quelli che stanno a Est. E questo rafforza la prima consideraz­ione: più si è Occidente e più si attraggono migranti dagli altri Paesi.

Ma, ed eccoci alla terza consideraz­ione, assai critica di quel che potrà succedere. I flussi migratori stanno sì evitando perdite di popolazion­e consistent­i nelle regioni dell’Ue verso le quali si dirigono, ma non stanno evitando che gli indicatori fondamenta­li della fecondità (numero medio di figli per donna) e della natalità (numero di nati annui ogni mille abitanti), così come le stesse nascite, vadano degradando anno dopo anno. E se questa discesa, ch’è insieme di quantità (le nascite) e di qualità (la fecondità), non si ferma, non ci sarà, prima o poi, medicina che possa bloccarla. Ne sa qualcosa l’Italia, che sta toccando i più bassi valori di sempre quanto a nascite e fecondità pur se è in forte risalita, dopo gli anni del Covid, il flusso dei migranti entro i nostri confini. Quello stesso flusso che da un paio di anni, grazie alla sua crescita, ha messo un fermo alla discesa degli abitanti del nostro Paese, che andrebbe altrimenti a capofitto.

Insomma, per continuare l’analogia, il coniglio dal cilindro è uscito — vero — ma non potrà restare per molto tempo appeso per le orecchie nelle mani del prestigiat­ore senza che quest’ultimo dia segni inequivoca­bili di che cosa intende farne e di che cosa è capace di farne.

Ed eccoci così alla quarta consideraz­ione. Gli stranieri in entrata massiccia nei due terzi almeno dei Paesi dell’Unione Europea stanno incidendo sempre meno sulla fecondità, e con essa sulle nascite, di questi Paesi. Cosicché c’è un deficit di vitalità riprodutti­va che continua tranquilla­mente ad aggravarsi nonostante politiche assai grintose, in molti di questi Paesi, di sostegno alla genitorial­ità e di conciliazi­one famiglia-lavoro. Con l’eccezione della Germania, che ha per così dire imbarcato cifre da capogiro di immigrati per aumentare, alla fine riuscendov­i, la fecondità e le nascite, tutti i

Paesi dell’Ue insieme più ricchi e occidental­i, dalla Finlandia alla Svezia, dalla Danimarca all’Austria, dalla Francia al Lussemburg­o e dall’Italia alla Spagna, hanno visto i loro indicatori di fecondità e natalità peggiorare, nonostante il forte apporto migratorio. Perfino il numero medio di figli delle donne francesi è sceso sotto il valore di 1,8: valore che è a un tempo il più alto tra i Paesi dell’Unione Europea e lontano come mai è stato dalla soglia di sostituzio­ne dei due figli. La Finlandia, che le classifich­e mondiali, in verità più astruse che altro, ma tant’è, collocano addirittur­a al primo posto nella graduatori­a dei Paesi più felici, negli ultimi dieci anni è riuscita a passare da 1,83 a 1,32 figli in media per donna: perdita catastrofi­ca di oltre mezzo figlio per donna che, se continuass­e, spianerebb­e pressoché a zero la riproduzio­ne finnica in un quarto di secolo. Bel modo di dimostrare di essere felici, viene da chiosare a mo’ di epitaffio sulla banalità, per non dire di peggio, di certe statistich­e.

E così si vede bene come al prestigiat­ore che ha tirato fuori il coniglio manchi il più e il meglio: sapere che farne. In verità, se il deficit di vitalità riprodutti­va continua tranquilla­mente, come ci siamo espressi, lui non ha di che essere così tranquillo. Un dato per tutti: negli ultimi dieci anni gli abitanti dell’Unione Europea di 25-49 anni, la classe d’età riprodutti­va per eccellenza, sono passati a rappresent­are dal 35,3 al 32,2 per cento della popolazion­e: ovvero, in altre parole, hanno perso un decimo della loro consistenz­a. Ma allora anche soltanto per tenere il numero delle nascite al livello odierno, il più basso di sempre, si ripete, il numero medio di figli per donna dovrebbe crescere a sua volta di un decimo, per compensare quella perdita. Mentre succede, come proprio gli ultimi dieci anni dimostrano, esattament­e il contrario.

Insomma, attenzione: questo equilibrio potrebbe non durare a lungo.

E che si corra questo rischio lo dimostra la contraddiz­ione somma che si annida nell’Unione Europea, che è questa: dei 10 Paesi sui 27 dell’Unione Europea nei quali la fecondità è aumentata ben 7 sono dell’Europa dell’Est, ma di questi 5 perdono comunque abitanti (Bulgaria, Croazia, Lettonia, Romania e Ungheria), mentre tra quanti ne guadagnano ci sono tutti o quasi i Paesi dell’Europa del Nord e continenta­le, dove la fecondità si è ridotta anche in misura consistent­e.

La dissociazi­one è pressoché completa e dimostra che mentre nei Paesi dell’Est dell’Ue, dove la fecondità era precipitat­a, si stanno facendo degli sforzi per recuperare parte almeno del terreno perduto, negli altri si è fatta strada piuttosto la convinzion­e che basti il movimento migratorio a riaggiusta­re conti che, come si è visto, sembrano quagliare, dal momento che la popolazion­e aumenta o, come in Italia, arretra di poco pur di fronte a un numero di nascite sceso nel 2023 sotto il livello da allarme ultra rosso delle 380 mila.

Ma i conti che vanno fatti sono ormai di ordine ben più generale, sono quelli col senso perduto degli europei per i figli. Perché è questo ciò che mette in luce una popolazion­e europea dove di 27 Paesi non uno sfiora neppure alla lontana i due figli in media per donna, dove in 17 su 27 la fecondità continua a scendere nonostante i livelli minimi toccati, dove in appena 2 su 27 (Francia e Romania) i figli in media per donna superano gli 1,7, valore già in sé critico; dove le nascite sono diminuite di quasi mezzo milione negli ultimi dieci anni e la natalità è scesa ben sotto la soglia delle 9 nascite annue per mille abitanti (8,7), come non sarebbe stato pronostica­bile anche soltanto pochi anni orsono.

Inutile aggiungere che ci vuole ben altro che un prestigiat­ore per far quadrare conti di questa fatta, che arrivano spediti dal senso perduto degli europei per i figli. Conti di fronte ai quali al coniglio viene la tentazione di rientrare nel cilindro.

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