Corriere della Sera - La Lettura

La Cina invecchia, gli Stati Uniti meno

La transizion­e verso la bassa fecondità avviene nei diversi Stati a ritmi molto diversi. Con rilevanti ricadute geopolitic­he: parla Massimo Livi Bacci

- Di ANTONIO CARIOTI

MASSIMO LIVI BACCI La geodemogra­fia. Il peso dei popoli e i rapporti tra stati IL MULINO Pagine 128, e 14

Nato a Firenze nel 1936, Massimo Livi Bacci (nella foto) è professore emerito dell’Università di Firenze. Esperto di demografia, è stato senatore per due legislatur­e eletto nelle liste del centrosini­stra e poi del Partito democratic­o. Tra i suoi libri più recenti, tutti pubblicati dal Mulino: Per terre e per mari (2022), I traumi d’Europa (2020), In cammino (2019), Storia minima della popolazion­e del mondo (2016) e Il pianeta stretto (2015)

La geopolitic­a comprende molti fattori, tra i quali la demografia. Si tratta di un tema su cui in Italia ha pesato l’eredità del fascismo con il suo slogan «il numero è forza», come ricorda il demografo Massimo Livi Bacci: «Quando mi dedicai a questi studi venivo visto da alcuni con una certa diffidenza». Ma una consideraz­ione attenta degli equilibri mondiali non può trascurare l’argomento, come il professore emerito dell’Università di Firenze dimostra nel suo libro La geodemogra­fia (il Mulino).

In che misura l’influenza di uno Stato dipende dalla demografia?

«A parità di sviluppo economico, un Paese più popoloso può mettere in campo risorse molto maggiori. Lo vediamo nella guerra tra Russia e Ucraina, con la prima avvantaggi­ata dalle sue capacità superiori in fatto di mobilitazi­one militare. In modo analogo, l’indebolime­nto del ruolo dell’Europa si deve anche alla riduzione del suo peso demografic­o. Agli inizi del Novecento contava il 25 per cento della popolazion­e mondiale, oggi è intorno al 9 per cento e nel 2050 scenderà al 7. Anche Cina e Giappone sperimenta­no situazioni simili. Per non parlare della Corea del Sud, dove si è scesi sotto la media di un figlio per donna».

Stanno meglio gli Stati Uniti?

«Sono un Paese ancora in espansione, anche per la loro capacità di attrarre immigrati. E questo può favorirli nella competizio­ne mondiale con la Cina, che registra invece un rapidissim­o invecchiam­ento della popolazion­e, con effetti deprimenti sulla crescita economica».

Dobbiamo aspettarci un’ascesa dell’India sullo scenario mondiale, dato che la sua popolazion­e aumenta?

«New Delhi negli ultimi anni ha raggiunto un ritmo di sviluppo economico elevato. Ma non bisogna sottovalut­are le tensioni interne anche di natura demografic­a, perché la popolazion­e musulmana ha un tasso di riprodutti­vità più elevato rispetto agli indù, che costituisc­ono la base del presidente nazionalis­ta Narendra Modi. Per giunta l’aumento della presenza islamica è più accentuato nelle zone di confine dell’India, con i connessi rischi di destabiliz­zazione».

Squilibri del genere sono ancora più stridenti a livello globale.

«Quasi tutti i Paesi del mondo seguono una traiettori­a per cui si passa da una condizione di mortalità e natalità molto alte a una dinamica contrasseg­nata da un’elevata speranza di vita e da un forte calo delle nascite. Ma ci sono notevoli differenze nella velocità con cui si verifica la transizion­e. Alcune parti del mondo sono partite presto, altre si muovono in ritardo. Ci sono Paesi che deperiscon­o e altri che esplodono. Tra 25 anni la popolazion­e dell’Africa subsaharia­na raddoppier­à, mentre quella europea diminuirà di oltre il 10 per cento».

C’è chi teme un’immigrazio­ne africana incontroll­abile.

«Si tratta di una minaccia esagerata, senza dubbio anche per i pregiudizi legati al colore della pelle. Quello che veramente preoccupa è che l’Europa diventi “nera”. Al momento però l’immigrazio­ne dall’Africa subsaharia­na nel nostro continente ha una portata relativame­nte modesta e gli spostament­i di popolazion­e, dovuti anche ai cambiament­i climatici, sono soprattutt­o interni all’Africa stessa. Dissento anche dal catastrofi­smo ambientale che prospetta un esodo di centinaia di milioni di africani. Non c’è un terremoto in arrivo: vedo semmai un rischio di impoverime­nto che si può contrastar­e attraverso un adattament­o alle nuove condizioni climatiche, con l’aiuto delle tecnologie più avanzate».

Però i flussi migratori crescono. E lei nel libro nota che possono essere usati come «un’arma impropria».

«Certo. Si pensi alla mossa compiuta dalla Bielorussi­a facendo affluire masse di rifugiati al confine con la Polonia. O alla posizione del leader turco Recep Tayyip Erdogan, che ha preteso dall’Europa ricchi finanziame­nti per trattenere sul suo territorio i profughi siriani. Lo stesso avviene con gli Stati del Nord Africa, che sovvenzion­iamo perché blocchino i migranti. Stiamo mettendo le chiavi dei nostri confini nelle mani di Paesi terzi: politica alla lunga pericolosa».

Sarebbe meglio organizzar­e un’accoglienz­a più generosa?

«L’allarme diffuso per l’immigrazio­ne fa parte della schizofren­ia dei nostri tempi. Tutti sanno che le famiglie e le imprese hanno la necessità di attrarre forza lavoro dall’estero. Ciò nonostante, alcune forze politiche alimentano la paura dell’immigrazio­ne per raccoglier­e consensi. Poi però lo stesso governo Meloni ha preso atto della realtà e ha approvato un decreto flussi che prevede 150 mila ingressi all’anno, che sono comunque pochi, nel prossimo triennio». Bisognereb­be cambiare approccio? «Non nego la necessità di controllar­e l’immigrazio­ne irregolare. Ma credo che soprattutt­o dovremmo investire nell’integrazio­ne degli stranieri. I migranti in prospettiv­a rendono, ma al tempo stesso costano: bisogna fornire loro un alloggio, dei servizi decenti, combattere l’abbandono scolastico dei loro figli».

Lei è a favore dello «ius soli»?

«La concession­e automatica della cittadinan­za a chiunque nasca sul territorio dello Stato è un istituto tipico dei Paesi vuoti, che vogliono attrarre popolazion­e. Oggi è stato fortemente limitato ovunque. Credo però nell’utilità dello ius scholae. Ai ragazzini di origine straniera che completano un certo ciclo di studi si dovrebbe assegnare la cittadinan­za senza problemi».

Il governo attuale punta piuttosto a un incremento della natalità.

«L’esperienza dimostra che è molto difficile indurre le persone a procreare. La Francia e i Paesi scandinavi hanno adottato misure per incentivar­e le nascite il cui effetto si è rivelato temporaneo: negli ultimi anni hanno registrato un nuovo calo della natalità».

Ma allora come si può contrastar­e l’invecchiam­ento della popolazion­e?

«A mio avviso la soluzione sta nel valorizzar­e gli anziani, non tanto come consumator­i da cui spremere risorse con la cosiddetta silver economy, quanto piuttosto come soggetti che possono mantenersi attivi e in buona salute per un lasso di tempo più lungo, in modo da costare di meno alla società e continuare a contribuir­e al suo sviluppo».

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