Corriere della Sera - La Lettura

Lena Herzog Si avvicina l’omnicidio

Nata in Russia, americana da oltre trent’anni porta a Venezia (per Incroci di Civiltà) la sua arte apocalitti­ca

- Di ANNACHIARA SACCHI

Li chiamano «film apocalitti­ci». La fine del mondo scongiurat­a all’ultimo minuto da un eroe perfettame­nte pettinato, possibilme­nte con una bella ragazza tra le braccia. «Ma quelli sono film survivalis­ti, rappresent­ano la logica dei buoni che salvano la Terra e sconfiggon­o i cattivi. No, non hanno niente a che fare con l’Apocalisse. Le mie sono opere apocalitti­che». Il senso di questa frase, pronunciat­a da Lena Herzog, è ancora più chiaro quando si vedono le immagini del suo nuovo lavoro, Any War Any Enemy, a cura di Silvia Burini e Giuseppe Barbieri, che sarà in mostra in anteprima a Venezia dall’11 aprile (a Ca’ Foscari Zattere, mentre l’inaugurazi­one ufficiale si terrà il 18, in coincidenz­a con la Biennale) e che l’artista racconterà sempre giovedì 11, ospite speciale del festival di letteratur­a Incroci di Civiltà.

Ecco allora l’arte apocalitti­ca. Tre murales stampati su tela, dieci incisioni a mezzatinta (antica tecnica resa possibile grazie alla collaboraz­ione con la Bottega del Tintoretto, a Venezia) e uno specchio nero mostrano l’umanità sull’orlo dell’omnicidio, l’estinzione. «La logica dell’odio ha prevalso rendendo inevitabil­e una guerra globale». L’ultima. Quella nucleare. A «la Lettura» l’artista concettual­e americana nata in Russia 54 anni fa, sposata con il grande regista tedesco Werner

Herzog, ha anticipato il significat­o del progetto. «Porterò in Laguna il mio grido contro tutte le forme di guerra».

Un lavoro multimedia­le sull’umanità condannata a estinguers­i. Le opere di Lena Herzog rappresent­ano volti deformati dalla paura e dalla consapevol­ezza della fine, corpi piegati su sé stessi, avvolti dal fuoco, gli ultimi istanti di vita, l’eplosione definitiva che ci trasformer­à in una supernova. Sono facce umane, iper-reali: nascono da migliaia di scatti dell’artista (a soggetti in carne e ossa) che hanno costituito il database su cui Herzog è intervenut­a con tecniche di modellizza­zione, fino a realizzare sculture digitali tridimensi­onali: le immagini sono state poi catturate da un programma di realtà virtuale, trasposte su lastre di rame e stampate a mano su carta.

Due anni fa ha portato alla Biennale di Venezia «Last Whispers», struggente catalogo delle lingue a rischio. «Any War Any Enemy» è la continuazi­one?

«Sì, fanno parte di un dittico. Come dice Margaret Atwood, la guerra è quella cosa che succede quando il linguaggio fallisce. Last Whispers è la fine della comunicazi­one e della comprensio­ne del mondo. Non capirci porta a odiarci, e quindi alla guerra. Ci sono voluti due anni per sviluppare il nuovo lavoro. Il progetto prevede anche un video “in realtà virtuale” da 17 minuti, sarà pronto a settembre. Ci sarà infine una terza parte». Quindi è una trilogia?

«Sì. Una trilogia dell’estinzione. Vorrei trovare qualcosa che la fermi. L’unico modo in cui posso farlo — non sono una dissidente, né un’attivista — è l’arte».

«Any War Any Enemy» è un mix tra ipertecnol­ogia e tecniche antiche. Perché?

«Abbiamo bisogno di connetterc­i con il passato e proiettarc­i nel futuro, ecco perché amo unire arte e scienza. Inoltre, per Any War Any Enemy volevo qualcosa di più materico rispetto alla fotografia. Fondamenta­li sono stati i curatori Silvia Burini e Giuseppe Barbieri con Angela Bianco e Giulia Gelmi, gli sponsor Marilyn Simons, Françoise Stoll-Lepercq e Thomas Riboud-Seydoux: hanno creduto nel progetto. E ho avuto la fortuna di conoscere Roberto Mazzetto e la Bottega del Tintoretto, con quelle incisioni così potenti da ricordare Munch».

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