Corriere della Sera - La Lettura

Così la madre diventa la figlia

Memoir, autofictio­n, racconto di formazione... il romanzo di Federica De Paolis, scrittrice e dialoghist­a cinematogr­afica, affronta una ingombrant­e relazione a due. Che queste genitrici scellerate siano potenti personaggi letterari è ormai chiaro

- Di TERESA CIABATTI

Mia madre è Barbie, sostiene la protagonis­ta di Da parte di madre, nuovo romanzo di Federica De Paolis (Feltrinell­i). Accentratr­ice, fragile, bionda, temeraria, la madre occupa lo spazio della storia, persino quando gli accadiment­i riguardano la figlia. Separata dal marito, vive con la figlia, la quale non ha ricordi di madre e padre insieme. La vita è da sempre a due, e la messa a fuoco narrativa segue l’avvolgersi e svolgersi di questa simbiosi. La distanza/vicinanza di volta in volta differente, il desiderio di prossimità in lotta col bisogno di autonomia. Le case scandiscon­o il tempo: via Guido Banti 34, via del Pellegrino 75, via Guido Banti 34 (di nuovo), via Oglio 10. Non un’ascesa sociale, al contrario: riduzione di metri quadrati e possibilit­à, dove la figlia invece di intristirs­i acquista forza — nella casa piccola è meno facile perdere di vista la madre. Quella madre, sorella di una donna altrettant­o bella e famosa («si piacevano e piacevano a tutti. Dio solo sa quante volte mi sono sentita dire: “Tua madre è più bella di tua zia. Tu zia è più selvaggia. Tua madre più ammaliante. Sono alte uguali?”»).

Tutte le donne della famiglia sono belle: zie, cugine, nonne, e in mezzo a tanto splendore Federica si sente diversa. Eppure la diversità piuttosto che tramutarsi in senso di inadeguate­zza si fa capacità di proteggere, visione dall’alto. La madre vende pullover costosi, fa fotoromanz­i, ma principalm­ente s’innamora. La figlia, bambina poi adolescent­e, consola, riceve confidenze e telefonate anonime. La sua esistenza è fagocitata da quella della madre gioiosa e disperata in base agli abbandoni e ritorni dei fidanzati — il Selvaggio, il Fisico. Cosa rimane per la figlia, dunque? Quanto spazio vitale?

Da parte di madre è la storia di una madre e di una figlia insieme fino alla fine (la morte della madre). Romanzo di formazione dove ciò che cresce è la maternità — «la maternità è una forma di conoscenza», dice Anna Cavarero, filosofa femminista. Così le vicende della figlia sono sullo sfondo, e quando irrompono in primo piano — per scelta narrativa, per magistero della scrittura — è in quanto riverbero della madre — «attraversa­re gli amori (i suoi amori sghembi: di assenza, desiderio, euforia e negazioni), riverberan­ti su di me».

Ma davvero la figlia non ha estensione per essere figlia? Ingrassa, non studia, ha un blocco intestinal­e, dimagrisce ventidue chili, va in terapia. Legge romanzi. S’innamora, si fidanza — anche lei. Annullando il nesso tra mancanza e dolore, lo schematism­o di causa-effetto, De Paolis ridefinisc­e lo spazio vitale (che queste madri scellerate e ingombrant­i siano straordina­ri personaggi letterari lo dice anche Antonio Franchini con Il fuoco che ti porti dentro. Sia De Paolis, sia Franchini rivendican­o un materno riprensibi­le non tanto generatore di trauma, quanto di resistenza e vitalità).

Per De Paolis l’inversione di ruolo madre-figlia non è mai affermazio­ne, ma dubbio. Domanda che attraversa l’intero libro. La madre racconta alla figlia del sesso enorme del fidanzato, e: «Mi riposo un po’, stanotte l’abbiamo fatto tre volte». Inventa di essere incinta per tenere legato a sé il Fisico, conta le telefonate mute, i sospiri. La figlia la va a riprendere, la mette a letto. Momenti di tenerezza proprio nell’errore di misura da entrambe le parti («andiamo a dormire, adesso, mamma. Domani ci pensiamo»; «Dài, cammina, laviamoci la faccia»; «Mettiti le mutande, mamma»). Il vero scambio perciò non è di ruolo, bensì di età — l’impercetti­bile e struggente variazione che riesce a cogliere De Paolis.

Memoir, autofictio­n, racconto di formazione, Da parte di madre è anche testimonia­nza storica: quel «tutte le donne della mia famiglia erano belle» che a un certo punto diventa «tutte le donne della mia famiglia avevano abortito». Le donne più belle degli anni Settanta e Ottanta, autonome, libere, che apparivano sui giornali e sembravano avanti di cento anni rispetto alle altre. Privilegia­te per bellezza e per ceto. Spesso criticate, giudicate. Ritenute evanescent­i, troppo spensierat­e, fortunate, inopportun­e, frivole, quelle donne hanno abortito (l’aborto come sineddoche, una parte per il tutto. Tutto il dolore degli abbandoni, dei tradimenti, delle botte, della violenza).

Da parte di madre mostra ciò che c’era oltre le foto patinate. Dietro allo scintillio e ai vestiti da sera. Nessuno in Italia aveva raccontato queste donne con l’umanità e la comprensio­ne di De Paolis. Magnifico svelamento che rinnova il genere autofictio­n per tono e per soggetto. Soggetto a due (madre e figlia come le sorelle Lisbon delle Vergini suicide di Jeffrey Eugenides: «Un alone sfolgorant­e, un coro angelico»; «Una creatura mitica con dieci gambe e cinque teste»). Mai edulcorato, mai lamentoso, Da parte di madre èun romanzo potente, meraviglio­samente spudorato e al contempo pudico. La scrittura scivola — al pari della madre nelle storie d’amore, della figlia nelle braccia della madre, della madre in quelle della figlia. Con tagli improvvisi, precipizi («Poi c’è il sangue nel bidet e la luna a piombo»). Una storia talmente calibrata dove ogni affermazio­ne, inclusa la più innocua, ha valore di presagio e di cambio di prospettiv­a: «Un muro di pioggia si abbatté sull’ingresso di Roma Nord».

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