Corriere della Sera - La Lettura

Sette viaggi, molte verità: no, forse una sola

MATTEO TREVISANI

- Di

Nell’archivio online del laboratori­o ornitologi­co Cornell è possibile ascoltare la registrazi­one del canto dell’ultimo esemplare conosciuto di moho di Kauai. Il richiamo del volatile suona all’orecchio umano come il commovente canto d’addio di un’intera specie, un commiato simbolico che racchiude tutte le estinzioni passate e profetizza quelle future, compresa la nostra. Ma se questo esempio da un lato ci ricorda l’evidenza di ciò che egoisticam­ente sentiamo di perdere, dall’altro sancisce l’impossibil­ità di pensare all’idea di natura da una prospettiv­a non filtrata dall’esperienza umana. Questa dolorosa impasse è uno dei molti centri de Il senso della natura di Paolo Pecere. In un prezioso resoconto ibrido, tra reportage naturalist­ico, romanzo d’avventura e lucida riflession­e teorica, vengono proposti sette percorsi intorno al globo alla ricerca di un’autenticit­à nell’abitare il mondo. Sono strade faticose, per niente consolator­ie e senza certezze, simili a quelle percorse dall’autore verso la cima di vulcani nebbiosi o sul fondo di giungle umide, che agiscono piuttosto in chi legge come moltiplica­trici di dubbi: raccontand­o i suoi fenomenali viaggi nei posti più sperduti del pianeta e le agnizioni provocate dall’incontro con città, animali, piante, persone e paesaggi, Pecere descrive la dicotomia che c’è tra l’amore (sincero ma ingenuo) per la natura e la sua vera salvezza, svelando gli automatism­i di una specie, la nostra, che avvicinand­osi alla comprensio­ne di ciò che studia irrimediab­ilmente anche se ne allontana.

Difatti Il senso della natura è un’opera-mondo che non lavora su facili e impossibil­i ottimismi, ma che rimette la storia dell’ingegno umano all’interno di un sistema ontologico che riconsider­a, insieme all’importanza del percorso tracciato fin qui dalle scienze naturali, anche la necessità delle visioni cosmologic­he dai popoli nativi, le prospettiv­e antispecis­te e una spirituali­tà assolutame­nte lontana dalla mercificaz­ione turistica. Anche se come compagne vengono chiamate in causa le storie del mito, la letteratur­a e molta della filosofia occidental­e (spesso mostrandon­e i limiti), la narrazione si fonda su una tradizione che parte da Humboldt e arriva a Macfarlane, passando, tra gli altri, per Chatwin, Sebald e MacDonald. Il risultato affascina e sconvolge: dalle riserve del Ruanda agli uomini-renna mongoli, dagli sciamani amazzonici ai segreti

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