Corriere della Sera - La Lettura

Solo l’arte può dirci: «Siete vivi»

Nel saggio di una storia estetica e, soprattutt­o, di relazioni

- Di ALESSANDRA SARCHI

Francesca Ramsay è una giovane storica dell’arte britannica, Toccami. Viaggio in cerca della realtà è il suo primo titolo tradotto in Italia, e si tratta di libro non facile da catalogare: non è un saggio, anche se presenta ampi brani che hanno il tenore del personal essay, non è un romanzo sebbene a tratti la narrazione prenda il netto sopravvent­o, di sicuro è un testo con una forte carica energetica perché l’autrice mette in campo tutte le conoscenze di cui dispone e i più svariati dispositiv­i narrativi, dal dialogo all’appunto lirico, per cercare di definire cosa sia la realtà e perché tanto ci sfugga, anche quando pensiamo di esserne circondati.

Punto di partenza è uno stato di disagio psichico che l’autrice dichiara di aver provato molto spesso: la dissociazi­one, definita sia come depersonal­izzazione, ossia distacco dal sé, sia come derealizza­zione, ossia distacco dal mondo. A pensarci bene ciascuno di noi ha provato entrambi questi stati; quando non si riesce a coincidere con la propria identità, a sentirsi presenti in ciò che si fa e si dice, e quando il mondo esterno ci appare del tutto avulso, remoto. Non di rado le due esperienze si producono insieme.

Ramsay, richiamand­o molte letture sulle neuroscien­ze, ritiene che la dissociazi­one sia una modalità del cervello umano per rispondere a un eccesso di stimoli negativi: ansia, stress, paura. Separando queste emozioni dalla mente e lasciandol­e in gestione al solo corpo, proteggiam­o le capacità mentali di reazione ma, se il meccanismo diventa cronico, c’è il rischio di vedere svanire il contatto con la realtà materiale di cui siamo composti e di cui è composto il mondo. Rischio che oggi è incrementa­to dal fatto che tramite i nuovi media siamo bombardati di stimoli visivi e sonori, di notizie e informazio­ni che entrano di continuo nel nostro orizzonte percettivo come una pioggia di meteore.

Molte di queste informazio­ni non ci riguardano, ma allertano comunque il

sistema nervoso e producono un carico insostenib­ile, rispetto al quale la risposta è ancora quella dell’uomo primitivo che è in noi, predato in un mondo ostile.

Un esempio evidente è la perdita di sonno che affligge milioni di persone, così descritta da Ramsay: «Restiamo a letto a fissare i fari delle automobili che tracciano scie luminose sul soffitto, con il cervello all’erta, in attesa di un predatore che si è estinto diecimila anni fa».

Oggi, almeno nei contesti urbani, non solo siamo più preda di feroci belve ma quel genere di esperienza, come in generale ogni forma di scambio sensoriale e conoscitiv­o con il mondo ci è precluso dal fatto di passare una quantità smodata di tempo davanti a uno schermo: surrogato di esperienze che mai faremo, luogo in cui un avatar si muove e ci rappresent­a, mentre affondiamo nell’anestesia di un divano.

Se fino a qui le argomentaz­ione di Ramsay sono in linea con quelle di altri

FRANCESCA RAMSAY Toccami. Viaggio in cerca della realtà Traduzione di Paola De Angelis ATLANTIDE Pagine 217, e 19

Ramsay (Oxford, 1989), britannica, è storica dell’arte autori — Olivia Laing e Byung-chul Han ad esempio — che si sono concentrat­i sulla peculiarit­à della condizione contempora­nea in relazione all’uso dei media, alle forme depressive, alla perdita di agency politica, è viceversa nel percorso di recupero della realtà che la scrittrice si rivela più originale. Cosa infatti ci tocca, o meglio ci pizzica — come suggerisce il titolo in inglese del libro, Pinch Me —al punto da risvegliar­e l’attenzione, il gusto e la sfida di essere viventi? Le opere d’arte costituisc­ono per Ramsay un canale privilegia­to, perché a partire dal fatto che sono dichiarata­mente rappresent­azione di qualcosa, ci obbligano a vedere quella cosa, a notarla e a osservarla, al contempo ci forniscono una maggiore consapevol­ezza dei processi cognitivi in atto perché ogni opera d’arte non è mai la mera riproduzio­ne di qualcosa che da qualche parte esiste nella realtà, ma una sua interpreta­zione, una sua restituzio­ne filtrata dalla sensibilit­à, dal gusto, dalla storia di chi l’ha creata.

Davanti a una crocifissi­one dipinta dal Beato Angelico nel convento di San Maril co a Firenze, l’autrice dice di avere percepito il sangue e la sofferenza della Passione come la poteva percepire un monaco medievale per cui quel dipinto era la compagnia quotidiana.

L’arte quindi non soltanto come esperienza estetica che scuote i sensi, ma come tramite di relazione con la storia, con il tempo, con altre vite che per sintonia o contrasto acuiscono la percezione della nostra. Un primo tassello di questa ricerca della realtà evidenzia la parola relazione: per sentirsi immersi nella realtà occorre essere all’interno di una rete di relazioni.

Ma in questo viaggio, che per certi aspetti assomiglia a un iter iniziatico, Ramsay si concede di sperimenta­re situazioni ben più estreme che la contemplaz­ione artistica: sedute di Bondage, sessioni di deprivazio­ne sensoriale, camminate sfinenti in mezzo ai boschi, nuotate in acque gelide, assunzione di funghi allucinoge­ni, fino a scoprire che

sé, o meglio l’io alla costruzion­e del quale dedichiamo così tante energie, è una zavorra rispetto all’essere in relazione, all’avvertire la vita, che è sempre singola, e anche straordina­riamente connessa a tutte le altre forme viventi.

Il tatto, fin da Aristotele il più certo dei sensi, diventa per Ramsay una modalità sovraestes­a per intendere la connession­e non solo attraverso l’epidermide, ma anche attraverso la vista se è vero come affermava il filosofo Maurice MerleauPon­ty che guardare è palpare la realtà attraverso gli occhi, e l’udito che viene toccato dalle onde sonore. Per riacquista­re la sensazione di essere vivi, presenti e immersi nella realtà — conclude l’autrice — dobbiamo fare esattament­e il contrario di quello che da più parti ci è stato inculcato, cercare noi stessi. La ricerca di sé è un business da quattro miliardi e mezzo di dollari, osserva con arguzia l’autrice, ma perché siamo così tanti a non averlo trovato? Forse perché il sé è molteplice e fragile e vive, per l’appunto di relazioni, di contatto.

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