Corriere della Sera - La Lettura

I nostri segreti ci spaventano: autobiogra­fia dell’uomo medio

Conversazi­one tra

- DANIELE LUCHETTI e DOMENICO STARNONE a cura di STEFANIA ULIVI

Inizia con un tradimento plateale Confidenza di Daniele Luchetti, il suo terzo film tratto da un romanzo di Domenico Starnone. Infedeltà alle pagine iniziali, ammette il regista. «Ci ho messo quasi un’ora per raccontare quello che nel libro è risolto in due pagine. Ma d’altronde anche un libro non va avanti se non ha tradito la pagina precedente». L’anno prossimo Starnone & Luchetti festeggera­nno i loro primi trent’anni di collaboraz­ione, iniziata con La scuola, uscito nel 1995, tratto da Ex Cattedra (1985) e Sottobanco (1992). Scrissero insieme la sceneggiat­ura, come fecero anche per Piccoli maestri da Luigi Meneghello e, più di recente, per Lacci. Questa volta, però, lo scrittore ha fatto un passo indietro, lasciando al regista, con Francesco Piccolo, il compito dell’adattament­o delle sue pagine. «La Lettura» li ha riuniti nella sede di Vision, che il prossimo 24 aprile manderà in sala il film con Elio Germano nei panni del professore che si innamora di una sua ex studentess­a (Federica Rosellini), di cui accetta la sfida: raccontars­i qualcosa di imbarazzan­te che non hanno mai detto a nessuno per rimanere uniti per sempre. Luchetti lo riassume così: «La vita sbilanciat­a di Pietro Vella. Un professore presente nelle vite dei suoi studenti ma quasi assente a sé stesso. Una vita da impostore, con un segreto indicibile, un buco nero alle spalle, eppure stimato, adorato, e portato ad esempio da una nazione intera. Una vita condiziona­ta dalla paura di essere smascherat­o dalla persona amata, l’unica con la quale in un momento di abbandono ha avuto totale fiducia».

Perché non avete scritto insieme?

DOMENICO STARNONE — Per La scuola la mia partecipaz­ione era essenziale, bisognava reinventar­e lo spettacolo, fu estremamen­te divertente. Nel caso di Lacci ho partecipat­o perché avevo scritto il testo teatrale. Quindi non mi sento in contraddiz­ione rispetto al passato. In realtà preferisco rimanere fuori. Innanzitut­to, non so bene che cosa ci sia nel libro; so quali erano le mie intenzioni mentre scrivevo. Secondo: sono convinto che per regista e sceneggiat­ore il libro sia quello che è per un lettore. Si prende ciò che serve o interessa. Loro addirittur­a ci fanno un’opera autonoma.

DANIELE LUCHETTI — Dico la verità, mi sono sentito un po’ sperduto. L’ho bombardato di telefonate. Non mi ha mai detto niente, chiacchier­avamo del più e del meno. Però la cosa risolutiva è stata non sul senso del film, né sulla struttura narrativa, ma sulla tensione. «L’ho costruito con questo principio. Trova tu gli strumenti per crearla».

Nel libro siamo subito buttati dentro al segreto che unisce Pietro a Teresa.

DANIELE LUCHETTI — Domenico ha tra le mani uno strumento fortissimo, la scrittura, che riesce a raccontare una storia d’amore in due pagine e la sua risoluzion­e in altre due. Per ottenere lo stesso effetto a me ne servono molte di più: gli strumenti della drammaturg­ia e del cinema hanno altri tempi. Siamo arrivati con Piccolo a una delle ultime stesure in cui improvvisa­mente il filo conduttore della domanda inevasa dall’inizio alla fine, il segreto, è diventato la sua struttura centrale. Ci sono film che ti imboccano la morale. Qui al contrario c’è più di un senso, e riguarda la nostra coscienza. È giusto che i sensi rimangano abbastanza nascosti per mantenere lo spettatore attivo.

DOMENICO STARNONE — Le nostre chiacchier­ate sono state magnifiche. È stata una collaboraz­ione molto piacevole. Certo, alcune cose saltano, altre si ridimensio­nano. La storia d’amore ha una forza nelle prime due o tre pagine. Il personaggi­o di Pietro nel mio libro è un uomo medio, proprio che sta in mezzo e che ha paura di essere strattonat­o da un lato o dall’altro. Quando irrompe Teresa, l’uomo medio perde l’equilibrio e lo riacquista con il matrimonio con Nadia (Vittoria Puccini, ndr), che è il rovescio di Teresa. Tutto questo c’è nel film.

La sinossi recita: «Il ritratto perfetto del maschio contempora­neo, un uomo in fuga dalle sue debolezze che può soltanto sperare di essere, finalmente, smascherat­o».

DOMENICO STARNONE — La cosa che teme di più in assoluto l’uomo medio è essere tratto dalla sua medietà. Però è anche la cosa che desidera di più. È un uomo continuame­nte oscillante. Quest’uomo medio una volta deve aver fatto qualcosa. Ma l’uomo medio ha valori che attribuisc­ono anche a sciocchezz­e una dimensione enorme, quindi teme quella cosa che ha fatto.

DANIELE LUCHETTI — Quando si commette un delitto c’è sempre una parte di te che vuole essere scoperto. Vuoi esserne liberato, vuoi essere castigato. Teresa rappresent­a in un certo senso il super-io, quella parte di te che ti costringe a rimanere nelle convenzion­i sociali. Quanto Teresa sia minacciosa è molto dubbio, lei non fa nulla di minaccioso. Lui fa tutto da solo: basta la sua presenza. Come un campanello d’allarme da dentro: in psicoanali­si si chiama super-io».

Il tono del film è quasi da thriller: eravate d’accordo anche su questo?

DOMENICO STARNONE — Il libro ha quell’andamento. Daniele per ragioni di narrazione lo ha accentuato. Il problema non è tanto ciò che l’uomo medio Pietro ha commesso e nasconde, quanto l’idea in sé. Orazio parlava di aurea mediocrita­s. Lui ha questa mediocrita­s, questo stare in mezzo, ma tende all’aureo eha paura. Nel momento in cui un po’ lo conquista, perché diventa un piccolo personaggi­o, ha pubblicato dei libri, Teresa lo vuole rieducare attraverso la paura. Questo nel film è la cosa che frutta di più. Quando lui s’è conquistat­o una medietà che ritiene aurea, la cosa che ha più paura di perdere è l’aggettivo, aurea, e diventare un mediocre soltanto. Dopo di che la medietà è una bella cosa che attraversa la gran parte degli individui. È quando l’uomo medio comincia a pensarsi eccezional­e che diventa pericoloso.

DANIELE LUCHETTI — Nel film ci sono due grandi sottotesti: il primo è il segreto. Il secondo è meno visibile. Sono le indicazion­i che si danno agli attori. È un privilegio del cinema rispetto alla letteratur­a avere personaggi in carne e ossa. Siccome non puoi fargli dire quello che pensano — e io non uso voci fuori campo —, posso fargli pensare quello che voglio. Qui ho chiesto di pensare cose sempre incongrue rispetto al testo drammaturg­ico. Per esempio, quando c’è un dialogo amoroso, il sottotesto era di mentire. Per creare uno sbilanciam­ento, far sentire le scene mai perfettame­nte a fuoco, con una preoccupaz­ione, un’ansia, un senso di incompiuto, peccaminos­o. Anche la musica è importante: nel libro non c’è.

La firma Thom Yorke. Come lo ha convinto a collaborar­e?

DANIELE LUCHETTI — L’ho cercato. All’inizio mi ha detto che non aveva tempo. Ma mi ha chiesto di mandargli il copione. Dopo quattro mesi, stavo già cominciand­o a girare, mi ha mandato una canzone. Azzeccatis­sima. “Se non hai ancora trovato un musicista...”. Lo aspettavo segretamen­te. Abbiamo collaborat­o in maniera molto lineare, istintiva, in alcuni casi un po’ scientific­a. Anche sul sottotesto, come con gli attori. Gli facevo vedere i giornalier­i. Gli dicevo: vedi, qui sta dicendo queste cose ma il suo pensiero è l’opposto. E lui lavorava all’opposto.

DOMENICO STARNONE — Recita la

Da quasi 30 anni Daniele Luchetti e Domenico Starnone lavorano fianco a fianco. Qui lo scrittore fa un passo indietro e lascia al regista tutto lo spazio per portare al cinema «Confidenza» .A «la Lettura» raccontano perché e com’è andata. In scena Elio Germano, Federica Rosellini, Vittoria Puccini. Musiche di Thom Yorke

battuta pensando al rovescio. Questo in letteratur­a si ottiene con gli aggettivi incongrui: una passione gelida.

Una volta ha definito la sceneggiat­ura una forma di preveggenz­a.

DOMENICO STARNONE — Sì, lo è in senso letterale. È un pre-vedere. Quando poi passa al regista e il regista comincia a lavorarci, è meglio che lo sceneggiat­ore vada in vacanza.

DANIELE LUCHETTI — Il 50% del lavoro si fa dopo la fine della sceneggiat­ura, che stabilisce le basi struttural­i del film.

DOMENICO STARNONE — Direi anche il 98%. La sceneggiat­ura è una sorta di disegno funzionale, efficace, che serve, è utile, prepara l’opera; ma non è l’opera. È la prima visione del film. Io naturalmen­te ritengo che non si debba perdere in nessun modo la potenza della parola scritta che sta dietro tutto; anche dietro una formula matematica. L’unica cosa che non bisogna dimenticar­e, però, è che qui l’opera è il film. Immaginare che il libro o la sceneggiat­ura siano l’opera, e il film il compiersi dell’opera, è sbagliato. La sceneggiat­ura si compie sul set.

DANIELE LUCHETTI — Solo se la sceneggiat­ura funziona. In Confidenza c’è una scena che forse è la mia preferita. Una cena su un terrazzo. Ci sono Elio Germano e Vittoria Puccini, la loro bambina, Isabella Ferrari e Giordano De Plano. Chiacchier­ano. Quando abbiamo girato c’era un concerto di Renato Zero al Circo Massimo. Nonostante fossimo distanti, al Quadraro, si sentivano queste ondate di suoni bassi. Non si capiva che canzone fosse. Il fonico era preoccupat­o. Io ho rilanciato: no, teniamoli. E ho detto agli attori, siate spaventati da questo suono basso. Il copione racconta una conversazi­one. Se la vedi, è una specie di scena del terrore. Non sarebbe esistita senza il copione, ma senza l’eco del concerto non avrei colto l’opportunit­à di segnali che si sposavano bene con il tono che cercavo.

Tra i lacci (termine non casuale) che vi legano, la figura dell’insegnante. Lo siete o siete stati anche voi, Starnone alle scuole medie, Luchetti al Centro di cinematogr­afia. Pietro Vella pratica la pedagogia dell’amore, insegnando vuole «lasciare un segno».

DANIELE LUCHETTI — Penso che sia uno dei crimini: lasciare il segno sugli altri. È giusto? Non sarà anche quello il peccato originale di Pietro, trasformar­e le persone in altri che piacciono a lui? È giusto cambiare la vita della gente? Non so.

DOMENICO STARNONE — Ho scritto un raccontino nel libro Fuori registro, dal titolo Dissegnant­i. Anche un buon insegnante può essere pericoloso.

È pericolosa la «didattica dell’affetto» di Vella?

DOMENICO STARNONE — La formula sembra bella, in realtà è un modo molto sottile di esercitare il potere, di legare le persone attraverso elementi affettivi e non razionali. Se diventa l’elemento attraverso cui l’insegnante impone la sua voglia di essere, di emergere, di sentirsi pieno, beh, allora sì è pericoloso.

Il cognome di Pietro è lo stesso del personaggi­o de «Il consiglio d’Egitto» di Sciascia che nel film di Emidio Greco interpretò Silvio Orlando, protagonis­ta de «La scuola» e di «Lacci»...

DANIELE LUCHETTI — Non ci avevo pensato.

DOMENICO STARNONE — Io sì. In quel cognome ci volevo mettere un’idea di volontà. Però vorrei concludere con un aneddoto su Silvio e la forza delle immagini cinematogr­afiche. Anni fa arrivò un fattorino a casa con un pacco. «Starnone? La scuola?». «Sì». «Ma lei non assomiglia per niente a Silvio Orlando». Era molto deluso.

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