Corriere della Sera - La Lettura
L’avventura colombiana di un ippopotamo rapito
La vicenda di partenza è reale. La sua ambientazione anche. Il risultato: una storia d’immaginazione che unisce riflessioni filosofiche e rappresentazione naturalistica. Nel 2009 il governo colombiano ordinò l’uccisione di un ippopotamo di due tonnellate che stava creando non pochi problemi agli animali e alla popolazione locale. Divenne un caso nazionale e i media lo ribattezzarono Pepe. Anni prima si era allontanato dalla riserva di Pablo Escobar (1949-1993), dove il signore della droga aveva creato il suo zoo personale con animali sottratti alle loro terre di origine. Nel caso di Pepe, l’Africa subsahariana.
Dopo aver sentito la storia da un amico, il regista dominicano Nelson Carlos de los Santos Arias (1985) ha dedicato a Pepe un film. Anzi, ha fatto di più: gli ha dato una voce e gli ha fatto narrare la sua storia in un sorprendente ibrido tra documentario e finzione, Pepe (sottotitolo: Estudios de la imaginacíon), che ha debuttato in concorso alla Berlinale 2024, dove l’autore ha vinto il Leone d’argento per la migliore regia. Coproduzione tra Repubblica Dominicana, Francia, Germania e Namibia, la pellicola sabato 20 aprile passerà nella sezione Special del Bolzano Film Festival Bozen, che torna dal 12 al 21 aprile con la 37ª edizione (info e programma completo sul sito filmfestival.bz.it).
La voce narrante che sentiamo nel film è attribuita proprio a Pepe, che parla la lingua degli uomini. Non sa bene dove si trovi e neppure chi sia. Non sa orientarsi nel tempo, ma sa che il passato lo ha ferito. Riporta gli spettatori nella Namibia del 1981 dove Escobar, grande appassionato di animali esotici, fece sottrarre tre ippopotami, antenati di Pepe. Ne ripercorre il viaggio in elicottero, nei container di una nave, su un camion scassato che li conduce all’Hacienda Nápoles del trafficante colombiano. Quando Pepe nasce, ricorda, erano già 18 gli ippopotami. Dopo una lotta per il controllo del branco, Pepe abbandona la tenuta e raggiunge il fiume Magdalena. Qui si scontra con i pescatori. E il film cambia prospettiva. La storia di Pepe si intreccia con la loro e il regista restituisce la realtà della vita locale.
L’ippopotamo infine spiega perché ha ripercorso la sua vicenda: la sua è una storia che continua a ripetersi. Quella di chi, a causa dell’ostentazione del potere e della dittatura del capitalismo, si è trovato a morire senza neppure capire bene dove si trovasse. «Questi ippopotami sono uno dei tanti esempi di migrazione storica», ha dichiarato Nelson Carlos de los Santos Arias: «Viviamo in un mondo progettato dalla cultura occidentale, dalla colonizzazione. Non esite un “noi”, ma c’è sempre un “loro”, l’altro». Ma la storia di Pepe si può raccontare solo nell’intreccio con quella degli «altri». Nel ritirare il premio a Berlino il regista ha inoltre sottolineato come il suo sia stato uno «studio di immaginazione». Ed è questo che ha voluto fare: tra le immagini spettacolari e documentaristiche della Namibia e della Colombia, si è addentrato nei territori della favola e della fantasia — un ippopotamo fantasma parlante, del resto, non si incontra tutti i giorni — «perché l’immaginazione non è dominio esclusivo della Disney».