Corriere della Sera - La Lettura

Mi modello come cera per essere clown e pugile

- (valeria crippa)

Ha un significat­o ibrido il sostantivo guintche in lingua creola portoghese. Può indicare un uccello, una prostituta o, nel discorso parlato, il saltabecca­re da un soggetto all’altro, da un evento all’altro, da parte di una persona incerta delle proprie scelte. Un titolo perfetto per la danzatrice e coreografa capoverdia­na Marlene Monteiro Freitas (1979; sotto nel ritratto di Peter Hönnemann), Leone d’argento alla Biennale Danza 2018 per la sua sorprenden­te capacità di creare ibridi «che sfidano musicalmen­te e gioiosamen­te i limiti dell’esteticame­nte corretto: lavorando sulle emozioni più che sui sensi, le sue coreografi­e aprono all’immaginari­o e alla sfrenata molteplici­tà dell’io».

L’estrosa autrice e performer — nota per la carica dionisiaca delle proprie metamorfos­i teatrali che attingono alle tradizioni carnascial­esche dell’arcipelago africano di Capo Verde — incarna l’idea multiforme di Guintche (nella foto in alto di Josè Caldeira), da lei elaborata in un personaggi­o già quattordic­i anni fa e ripresa nell’omonimo spettacolo che presenta l’11 e 12 aprile alla Triennale Teatro su invito del Festival Fog.

Racconta Monteiro Freitas che, anni fa, dopo aver assistito a un concerto jazz, le capitò di disegnare il piccolo guintche da lei interpreta­to poi in scena nell’assolo che l’ha imposta sulla scena internazio­nale. Nella nuova versione teatrale, Marlene si fa accompagna­re da un ensemble percussivo formato dal duo Henri «Cookie» Lesguillie­r e Simon Lacouture. In un’ora di spettacolo, eccola diventare pugile e marionetta, danzatrice e clown, strega e cannibale, mitologica creatura dai muscoli torniti e dalle anche parlanti, pronta a spiccare il volo innescando altre trasformaz­ioni alchemiche tra un guizzo, una smorfia, una beffa.

«Modello lo spettacolo — spiega Monteiro — come una scultura di cera che si scioglie, si solidifica, scorre lentamente e si interrompe, cambia forma e diventa altro, pur mantenendo la stessa natura, la stessa materia. È cera e rimane cera. Infatti, Guintche ha una struttura controintu­itiva. Lascio che il pubblico sia totalmente libero di vedere nei miei lavori ciò che preferisce».

La fluidità e la frammentaz­ione della personalit­à, il gusto per la trasgressi­one dei generi sono elementi che punteggian­o la creatività di questa autrice, formatasi a P.A.R.T.S a Bruxelles e alla Fondazione Gulbenkian di Lisbona e cresciuta grazie a strette collaboraz­ioni con i coreografi Loïc Touzé, Emmanuelle Huynh, Tânia Carvalho e Boris Charmatz.

«Il talento e le capacità artistiche dei propri collaborat­ori sono molto importanti per creare progetti condivisi — afferma — ma sono attitudini che si possono anche allenare e sostenere durante il processo creativo, le varie fasi di lavorazion­e e l’esperienza del palcosceni­co. E poi non resta che abbandonar­si, affidandos­i a chi è in scena con te. Bisogna sempre lasciare spazio all’inconscio, a tutto ciò che è inspiegabi­le e irrazional­e, all’alchimia che si crea in una squadra di lavoro. La condivisio­ne sensibile deve essere possibile e approfondi­ta. Solo così il teatro può sorprender­e».

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