Corriere della Sera - La Lettura
L’America che ama Parigi Québec, la sfida è l’identità
Non il Canada, che non è nemmeno menzionato, ma una regione del Canada è quest’anno il Paese ospite del Festival del libro della capitale francese (l’anno scorso era stata l’Italia). Dice il direttore Jean-Baptiste Passé: «Attraverso la difesa della lingu
Dopo l’Italia nell’edizione 2023, il Québec è quest’anno il Paese invitato d’onore al Festival del libro di Parigi, dal 12 al 14 aprile. Del Canada, di cui pure il Québec fa parte, non c’è menzione, e già questo indica l’importanza anche politica della presenza autonoma a Parigi della provincia francofona, erede della Nuova Francia esplorata nel 1524 da Giovanni da Verrazzano e poi da Jacques Cartier per conto del re Francesco I.
«È il governo del Québec che sostiene la manifestazione dal punto di vista finanziario — dice il direttore del Festival, Jean-Baptiste Passé —. Se ne occupano tre ministeri: degli Affari esteri, della Lingua francese e della Cultura. Questo dà l’idea di quanto sia forte il loro impegno. Il Québec a Parigi è per loro una questione identitaria, che ha a che fare con la sovranità o quasi». Dopo i due referendum del 1980 e del 1995, l’ipotesi dell’indipendenza non è mai tramontata. Nel frattempo il Québec si è conquistato un’autonomia sempre più larga, lungo un cammino cominciato con la «rivoluzione tranquilla» degli anni Sessanta e incoraggiato dal famoso Vive le Québec libre! scandito il 24 luglio 1968 da Charles de Gaulle, dal balcone del municipio di Montréal.
A Parigi saranno presenti una quarantina di autori del Québec che scrivono in francese, e la questione della lingua è da sempre al cuore del processo di autonomia. «Attraverso la difesa della lingua francese, parlata da otto milioni di persone, si cerca di tutelare una singolarità del Québec, coriandolo di francofonia nell’oceano anglofono del Nordamerica — dice Passé —. A Montréal questo colpisce: gran parte degli abitanti parla francese, ma a parte qualche ricordo di architettura bretone si ha sempre la sensazione di trovarsi in America». Una New York che parla francese? «Una metropoli nordamericana dove la difesa e la trasmissione del francese di generazione in generazione è sempre più importante. Il Québec è una terra di immigrazione che conosce il pieno impiego. E in un Paese che si costruisce sull’immigrazione, la questione della lingua è centrale e diventa politica».
Gli italiani hanno avuto un ruolo, sia pure relativamente misconosciuto e di opposizione, in questo per
corso. Negli anni Sessanta, il problema linguistico in Québec esplose con la «crisi di Saint-Léonard», un comune a nord-est di Montréal abitato da francofoni (circa il 55%), immigrati italiani arrivati dopo la guerra (40%) e qualche anglofono (5%). Gli italiani iscrivevano i figli nelle scuole di lingua inglese, perché l’inglese era «la lingua del pane», quella che facilitava la ricerca del lavoro e l’integrazione economica in Canada e nel Nordamerica. La priorità degli italiani erano i jobs, quella dei francofoni l’identité. Ne nacquero scontri anche violenti, nell’ambito di una rivoluzione poi non così tranquilla, con decine di arresti e un centinaio di feriti.
Le autorità locali intervennero per ridurre le classi anglofone e bilingui e promuovere il francese, dando il via a un processo culminato nella cruciale legge 101 del 1977, che stabilisce il francese come unica lingua ufficiale del Québec. L’ossessione per il francese come strumento di identità e autonomia ha finito per ispirare anche qualche grande autore anglosassone, dall’americano David Foster Wallace con i separatisti quebecchesi Les Assassins des Fauteuils Rollents in Infinite Jest (Fandango; poi Einaudi Stile libero) al canadese di Montréal Mordecai Richler, che nella Versione di Barney (Adelphi) ma prima ancora nel saggio Oh Canada! Oh Quebec! Requiem for a Divided Country espone la sua avversione per la politica linguistica del Québec, diventando lo scrittore più odiato dai francofoni della sua città.
In Francia, il Québec e Montréal in particolare sono diventati negli ultimi anni una sorta di altrove possibile, il sogno di un’America certo dei grandi spazi e dei grattacieli, ma più accessibile anche grazie alla lingua comune, con le opportunità del Nuovo Mondo ma senza gli eccessi e le violenze degli Stati Uniti. In virtù degli accordi tra il governo del Québec e della Francia, gli studenti francesi pagano meno degli altri stranieri alla McGill e nelle altre università di Montréal, il che contribuisce a fare del Québec la prima meta per gli studi all’estero dei ragazzi francesi.
La letteratura quebecchese arriva a Parigi ricca di onori, con un discorso che sarà pronunciato sotto la Coupole dell’Institut de France da Dany Laferrière, haitiano e canadese del Québec, Immortale di Francia dal 2013 sulla poltrona numero 2 dell’Académie française. «Ad Haiti vivevo da mia madre e lei mi proteggeva anche dalla vita quotidiana: non dovevo cucinare o rifarmi il letto. A Montréal ho avuto una vita dura, in fabbrica, e ho capito che quella era la mia chance per essere scrittore — ha raccontato qualche anno fa a “la Lettura”, in occasione dell’uscita in Italia del suo Diario di uno scrittore in pigiama (66thand2nd) —. Ho deciso di esistere nello sguardo degli altri e mi sono messo a scrivere», ovviamente in francese. Laferrière dà la sua visione della letteratura: «Trovare una storia originale non è decisivo, conta di più lo sguardo. Il punto non è la brillantezza della dimostrazione né l’originalità del tema ma l’umiltà di credersi singolari. Normalmente quando ci si sente unici è per megalomania, ma esiste anche un’umiltà di credersi singolari. Un artista è una mente ottusa, qualcuno con uno spirito ristretto, che va in profondità, all’opposto dell’erudito che ha uno sguardo largo. Bisogna accettare di essere limitati, di suonare la propria piccola musica e affidarsi all’orecchio altrui. I libri arrivano perché i lettori li reclamano in silenzio nella loro stanza».
Un mercato di 8 milioni di persone non potrebbe sopravvivere senza l’aiuto del governo, che sostiene anche finanziariamente la produzione letteraria mettendola al centro della politica culturale. Questo non sembra essere un ostacolo al gradimento del pubblico: «In Québec, un libro venduto su due è scritto da un quebecchese nel territorio del Québec. I lettori apprezzano molto i libri locali, che poi vengono esportati direttamente in Francia oppure ripubblicati da case editrici francesi acquistando i diritti», dice ancora il direttore Passé.
Tra gli autori più letti presenti a Parigi, Eric Chacour — «la rivelazione dell’ultima rentrée» secondo Passé —, Michel Jean con il romanzo Kukum e le radici Inuit, e la poetessa Hélène Dorion la cui raccolta Mes Forêts è studiata per il baccalauréat nelle scuole francesi.
La scelta del Québec permette al Festival di rispettare un’alternanza di principio, dopo l’Italia l’anno scorso, tra Europa e altri continenti, e di inserirsi nella preparazione del Summit della Francofonia, in ottobre a VillersCotterêts, celebrazione dei 321 milioni di persone che nel mondo parlano la lingua francese.