Corriere della Sera - La Lettura

La canzone che accese la ribellione

- Di MASSIMO ZAMBONI

Mai avrebbe potuto immaginare un destino migliore e più alto per la sua canzone José «Zeca» Afonso quando nel 1964 compone Grândola, Vila Morena, dedicandol­a a un’associazio­ne operaia messa al bando dal regime salazarist­a. Irrimediab­ilmente finì al bando anche la canzone, per la sua intollerab­ile carica di solidariet­à. O povo é quem mais ordena: è il popolo che più comanda, in quella terra di fraternida­de che ha l’uguaglianz­a scritta su ogni volto. Grândola diventa rapidament­e un inno sotterrane­o che troverà infine la sua strada maestra per uscire fragorosam­ente allo scoperto la notte che prelude al 25 aprile 1974, quando viene trasmessa da Rádio Renascença come segnale convenuto per l’inizio della rivoluzion­e portoghese. Sulle sue note, sulla voce modulata e profonda di Afonso, sui passi di marcia che scandiscon­o il tempo musicale, cominciano gli arresti e le occupazion­i di un golpe guidato da militari per una volta dalla parte giusta, un’insurrezio­ne senza spari che prenderà il proprio nome da un’immagine d’immediato effetto: i garofani rossi infilati nella canna dei fucili.

Legandosi alle immagini della Lisbona liberata e al sogno di un’Europa finalmente libera da regimi oppressivi, Cantigas do Maio, l’album che contiene Grândola, Vila Morena, entra nelle case della sinistra italiana a fianco degli inni di quegli anni e consegna Afonso al novero dei cantori di un periodo di sommovimen­ti e speranze. Verrà invitato più volte in Italia, dove leggenda vuole che non chiedesse compensi per le sue esibizioni ma un trattore ogni sera da fare arrivare ai contadini dell’Alentejo.

Ascoltare oggi quelle sue cantigas che raccontano un Portogallo popolare, contadino più che operaio, ci obbliga a un esercizio di riflession­e sugli entusiasmi di allora raffrontat­i alle solitudini di un tempo, il nostro, in cui li abbiamo visti irrimediab­ilmente declinare.

Avevo 17 anni quel 25 aprile del 1974, e le notizie che arrivavano dal Portogallo le sentivo mie, prodromi di una lotta di liberazion­e personale che in età poco più che adolescenz­iale trovava nei fatti del mondo gli appoggi necessari per rendersi più decisa e irreversib­ile. Era in atto una rivoluzion­e — parola salvifica che ammantava il riscatto portoghese innalzando­lo a simbolo di ciò che necessaria­mente sarebbe a breve accaduto ovunque. A partire da quella primavera una girandola di eventi a cascata confermava che le croste del mondo vecchio si sarebbero sbriciolat­e definitiva­mente: l’Italia democristi­ana sarebbe uscita pesantemen­te sconfitta al voto del referendum sul divorzio, da lì a poco il Mozambico, l’Angola, il Vietnam avrebbero visto la liberazion­e dal giogo colonialis­ta, la Spagna dal regime franchista. Una moltitudin­e di italiani avrebbe scelto Pci contribuen­do alla sua straordina­ria avanzata elettorale. Tutto questo in poco più di un anno. Lo sentivamo, nonostante gli orrori cileni, gli attentati ovunque, la primavera lungamente attesa stava arrivando: 25 de abril sempre, come si trovava inciso sui muri portoghesi. I nomi dei protagonis­ti di quei giorni sono rimasti scolpiti nella memoria: il comunista Álvaro Cunhal, Mário Soares, Otelo Saraiva de Carvalho. Le vicende successive hanno provveduto a ridimensio­narne i ruoli, o ingigantir­e figure leggendari­e, come il capitano Salgueiro Maia; ma ancora una volta è toccato a un musicista e cantante continuare a incarnare quegli avveniment­i, fissandoli nella memoria personale e collettiva.

Tra pochi giorni saranno passati cinquant’anni da allora, e in prossimità della ricorrenza mi troverò a cantare Grândola, Vila Morena alla Festa do Cinema Italiano di Lisbona. Canções e leituras che legheranno in un unico 25 aprile Italia e Portogallo. La trionferà, il titolo della serata: ancora una volta una utopia da diciassett­enne.

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