Corriere della Sera - La Lettura
Sardine decapitate e pagine di libertà
José Saramago, futuro Nobel, António Lobo Antunes & C.: la letteratura accompagnò la rivolta e la guerra nelle colonie, un Vietnam lusitano
Molti anni fa, a Lisbona, in una serata di luglio, stavo seduta a un tavolo del Pavilhão Chînes con Antonio Tabucchi. Mi raccontò di una sera di tanti anni prima, in cui si ritrovò a casa del poeta Alexandre O’Neill (grande oppositore del regime), in rua da Saudade, dove aveva fatto abitare il suo famoso Pereira. Tabucchi era lì per consegnargli dei documenti importanti e clandestini. Proprio quel giorno, la Pide — la polizia segreta del regime — aveva arrestato la moglie del poeta che Tabucchi trovò ben vestito, davanti a una tavola apparecchiata, ma con un colorito terreo. Su un piatto di porcellana Vista Alegre c’era una scatola di sardine aperta. Con la forchetta in mano e un’espressione smarrita, Alexandre O’Neill gli disse: «Posso offrirle una sardina decapitata?».
Erano gli anni dell’Estado Novo di António de Oliveira Salazar, un fascismo del quale si è parlato meno rispetto all’Italia e alla Germania, ma che certo non è stato di minor portata. Se non altro per la durata, oltre quarant’anni, dal 1933 al fatidico 25 aprile del 1974 quando al grido della canzone Grândola, Vila Morena di José «Zeca» Afonso, fino ad allora proibita perché associata al comunismo, un gruppo di ufficiali di basso rango organizzò all’alba l’insurrezione che fece cadere l’eterna dittatura riuscendo a far versare pochissimo sangue. Fu la Rivoluzione dei Garofani. La poetessa Sophia de Mello Breyner lo definì subito, a caldo: «Il giorno iniziale, integro e pulito».
Dopo quel vivere che Salazar aveva a lungo imposto con la famosa espressione viver habitualmente, cioè a testa china, uscirono infine le voci degli scrittori dissidenti che tanto avevano taciuto ma mai smesso di pensare e scrivere. Nacque così un movimento di tale intensità di cui ben poche letterature possono vantarsi.
Infatti, fu proprio un mese prima della rivoluzione del 25 aprile, esattamente il 16 marzo, quando un gruppo di militare cercò di rovesciare il regime senza successo, ma spandendo un’aria già foriera di libertà, che José Saramago — che nel 1998 avrebbe ricevuto il Nobel — scrisse il primo dei trenta componimenti del libro L’anno mille993. Non «mille974», perché preferì spostare nel futuro la storia che stava vivendo, quella di un popolo oppresso che resiste subendo la perdita di migliaia di persone. Mai viene nominato il Paese al quale tali sofferenze e speranze sono ispirate. Ma non vi è dubbio, perché quella del Portogallo è stata una storia di grande oppressione. Diceva lo stesso Saramago che la democrazia «nella visione perfetta che se ne ha, non esiste o è irraggiungibile». Ecco il perché della trasposizione nel futuro: sperava di essersi messo a narrare le ultime sofferenze degli uomini. Lo aveva
fatto, invece, da veggente, con un po’ di anticipo.
Spesso ci si chiede se il Portogallo abbia trovato la forza e il coraggio di chiudere con il fascismo più duraturo d’Europa grazie alle colonie d’Africa. Se le guerre di liberazione di Angola, Mozambico e Guinea-Bissau siano in realtà state di liberazione non dal Portogallo, ma per il Portogallo. È quel che ci racconta António Lobo Antunes, parlando dei suoi anni di militare in Angola, e non solo nel libro In culo al mondo, opera che lo ha reso famoso, ma con quasi tutti i suoi romanzi.
Le guerre nelle colonie furono il Vietnam portoghese, nessuno tornò come era partito. Antunes elabora l’angoscia di quegli anni con un linguaggio spesso vaneggiante, entra nell’animo dei soldati che perdono la ragione per gli orrori visti e compiuti, per aver combattuto una guerra non compresa.
L’approccio di Lydía Jorge ne I memorabili è molto diverso, è una rivisitazione fatta nel 2004 sui miti fondatori della rivoluzione, ricreando anche l’illusione rivoluzionaria. In un certo senso lo stesso concetto di impossibile democrazia già manifestato da Saramago. Affermò lei stessa: «Non scrivo mai nulla di storico, ma di ciò che diventa storico».
Impossibile non ricordare il magnifico Dinosauro Eccellentissimo di José Cardoso Pires (autore immenso), una specie di favola-parodia in cui ritrae la vita di Salazar e la sua dittatura con un tono tra l’ironico e l’amaro. Ma senza fare sconti all’atrocità di una dittatura che rimase in disparte dal conflitto mondiale, pur cercando di collaborare dando la caccia a coloro che su quell’ultima striscia della penisola iberica tentavano la fuga inseguendo il sogno di raggiungere l’America.
Necessario è ricordare Agostina Bessa-Luís e il suo straordinario Le persone felici sulla grande metafora del nascere infelici ma voler diventare felici. E dunque sulla forza di volontà per dismettere un destino. Romanzo premonitore, che vede nella rivoluzione il coronamento di un processo già in atto.
Da non dimenticare Il ritorno di Dulce Maria Cardoso. Storia di un bambino che abbandona l’Angola e va in Portogallo senza mai aver visto la madrepatria, e della sua difficile integrazione anche se portoghese. E poi il recente Revolução di Hugo Gonçalves (classe 1976) che rielabora quel passato con il disincanto di oggi: «Tutto passa, le ideologie sono come un taglio di capelli, cambiano insieme alla moda. Solo una cosa resta. Il carattere».