Corriere della Sera - La Lettura

Il Corano degli storici sfida il Corano dei teologi e dei fedeli

Arriva in Italia un’impresa editoriale rivoluzion­aria: il libro dell’islam, considerat­o per tradizione «increato» e dunque sottratto alla dimensione umana, è studiato in termini filologici, letterari e religiosi. «La Lettura» ha interpella­to i curatori

- Di MARCO VENTURA

Storia del Corano. Contesto, origine, redazione e

I curatori Mohammad Ali AmirMoezzi (1956) è docente e directeur d’études all’École Pratique des Hautes Études di Parigi ed è senior research fellow all’Institute of Ismaili Studies di Londra. Guillaume Dye (1974), cofondator­e e codirettor­e dell’Early Islamic Studies Seminar, è professore di Islamologi­a presso l’Université libre de Bruxelles. Entrambi studiano le origini dell’islam L’immagine Frammento del in lingua araba (911 circa, pergamena), New York, Morgan Library and Museum

L’angelo Gabriele detta il Corano. Il Profeta ascolta il testo, talvolta addirittur­a lo vede. Poi a sua volta detta ai seguaci. Nella prefazione al Corano da lui tradotto nel 1955, Alessandro Bausani spiega: «Non solo la iniziale misteriosa “ispirazion­e” più o meno vaga della Parola spetta a Dio, ma persino la forma esatta delle parole, il loro ordine, la loro dichiarazi­one e spiegazion­e in forme intellegib­ili agli uomini». Per il Profeta Muhammad — Maometto — si trattò di un’esperienza «teopatica», dal greco pateo scritto con la lettera tau, «frequentar­e», «percorrere», dunque di visitazion­e divina. La dettatura angelica gli procurava «fenomeni di febbre, di freddo e di tremito». Ancora con Bausani: «Quando veniva investito dalla Rivelazion­e divina», il Profeta «cadeva febbricita­nte a terra e gridava zammiluni, zammiluni, “avvolgetem­i in un manto!”». Per una tradizione lunga quindici secoli, il Corano è dunque «increato»: sottratto a ogni contingenz­a umana, immutabile e immutato, attributo di Dio nella forma e nel contenuto. La sfida è di conseguenz­a enorme per chi si propone di comprender­e il Corano nel contesto in cui fu prodotto e recepito.

Dal mese scorso il pubblico italiano ha a disposizio­ne un esempio unico in proposito nella Storia del Corano curata da Mohammad Ali Amir-Moezzi e Guillaume Dye (Mimesis, collana Mnesis, curatore dell’edizione italiana e traduttore è Silvano Facioni). Nelle 1.054 pagine del volume, i ventuno autori applicano al testo sacro dei musulmani l’approccio filologico-storico; ne ricostruis­cono, come indica il sottotitol­o, Contesto, origine, redazione. Il libro nasce da un’opera più ampia intitolata Le Coran des historiens, il «Corano degli storici», pubblicata in 3 volumi da Les éditions du Cerf nel 2019. Dell’opera, il libro appena uscito riprofonti duce il primo volume rivisto e aumentato da due nuovi capitoli, e pubblicato sempre da Cerf nel 2022 (Histoire du Coran. Contexte, origine, rédaction).

Agli antipodi del Corano senza contesto della tradizione, il Corano degli storici è la storia, specifica l’introduzio­ne, di «un documento storico, letterario, linguistic­o e religioso del VII secolo», il cui testo raggiunge soltanto verso il X secolo la forma oggi riconosciu­ta dai musulmani. Gli autori del volume, tra cui i curatori, si sentono eredi di due secoli di elaborazio­ne storico-critica occidental­e sul Corano, in particolar­e degli studi fioriti nel mondo anglosasso­ne negli anni Settanta e anche altrove negli ultimi decenni. Tra i ricercator­i si è consolidat­o un consenso su alcuni punti chiave come la consapevol­ezza della «natura altamente problemati­ca della credibilit­à storica delle fonti musulmane», la necessità di «integrare criticamen­te» nello studio del Corano le fonti non musulmane, soprattutt­o quelle contempora­nee al Profeta, di conoscere filologica­mente le «lingue bibliche» (tra cui ebraico, aramaico/siriaco, greco, latino, etiopico) e le lingue dell’Arabia preislamic­a, nonché i testi religiosi della tarda antichità nella vasta regione che oggi chiamiamo Vicino e Medio Oriente. Ancora, è fondamenta­le conoscere «la distinzion­e tra il movimento religioso di Muhammad e la costituzio­ne dell’islam come religione istituzion­ale», e il ruolo di ’Abd al-Malik, il quinto califfo omayyade, «nella nascita dell’islam come religione dell’impero» e nella stessa elaborazio­ne del Corano.

Se il principio stesso dell’opera degli studiosi — la storicità del Corano — è una sfida epocale, gli esiti della ricerca non lo sono di meno. Si disegna infatti un Corano quasi indipenden­te dalla figura storica di Muhammad, circolato in una pluralità di versioni ben maggiore rispetto a quella accettata di norma, costituito più che da «un libro» da «un corpus» estremamen­te eterogeneo, risultato di una profonda contaminaz­ione con di altre religioni e frutto di una determinat­a strategia politica.

Sentito da «la Lettura», il curatore Guillaume Dye prende le mosse dalla differenza tra il lavoro dei teologi e quello degli storici per far notare quanto sia difficile fare i conti con le fonti per i musulmani, il cui sistema di fede si basa su una «teologia del dettato». Gli storici, precisa Dye, studiano gli autori del Corano e mettono in discussion­e persino il suo legame con il Profeta; per l’islam tradiziona­le, di contro, il concetto stesso di autore del Corano è problemati­co e comunque da ricondursi al solo Allah.

Cinquanten­ne, francese, islamologo presso l’Université libre de Bruxelles, Dye pare scettico circa il dialogo con chi oggi occupa posizioni di responsabi­lità teologica nel mondo arabo-musulmano. Sottolinea la poca libertà accademica e la pressione politica dei ricercator­i. Nota tuttavia che «le idee passano» e che a ogni modo, dopo tanta ricerca occidental­e, «ora tocca ai musulmani». L’altro curatore, Mohammad Ali Amir-Moezzi, anch’egli sentito da «la Lettura», si dice convinto che si possano edificare ponti tra credenti e storici. Sessantott­o anni, di origine iraniana sciita, professore all’École Pratique des Hautes Études di Parigi, Amir-Moezzi non nasconde le resistenze insite nell’approccio islamico, soprattutt­o di parte sunnita. Menziona in tal senso la critica alla Storia del Corano da parte di al-Azhar, il prestigios­o ateneo del Cairo, ma insiste sugli scambi fecondi da lui avuti in merito al libro con tanti intellettu­ali, anche credenti, del mondo musulmano. Del resto, chiosa, «l’islam è plurale ed è sempre stato plurale».

In apertura, i due curatori insistono sulla natura «civica e politica» della loro iniziativa, diretta al «più ampio pubblico possibile». Contro islamofobi e islamisti, «per calmare gli animi, ridurre le tensioni, neutralizz­are i fanatismi e le incomprens­ioni», scommetton­o sull’approccio scientific­o, «con tutta la sua freddezza e il suo distacco». È vero che il metodo storico è percepito dai musulmani come una «minaccia per la fede», Amir-Moezzi confessa a «la Lettura»; e tuttavia esso può «mettere in discussion­e delle credenze», non certo «la fede stessa». All’uscita della versione originale dell’opera nel 2019, la polizia chiese alla casa editrice parigina di rafforzare le misure di sicurezza. Meno appariscen­te delle caricature di «Charlie Hebdo», meno spettacola­re, il Corano degli storici è in realtà ben più dirompente. Va confinato, confutato, boicottato, per salvare l’esperienza «teopatica» del Profeta? O saranno proprio le sue prossime edizioni a fare ancor più grande l’islam?

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Edizione italiana a cura di Silvano Facioni MIMESIS Pagine 1.054, 48
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MOHAMMAD ALI AMIR-MOEZZI GUILLAUME DYE (a cura di) Edizione italiana a cura di Silvano Facioni MIMESIS Pagine 1.054, 48 Corano

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