Corriere della Sera - La Lettura

Il misterioso delitto della sonnambula

Figlia venticinqu­enne di una Londra bene, è stata trovata addormenta­ta nel cottage con accanto un coltello da cucina lungo venti centimetri. Nel cottage vicino c’erano i cadaveri dei suoi migliori amici. L’esordio di Matthew Blake è un thriller travolgent

- Di MARCO BRUNA

La premessa del thriller d’esordio di Matthew Blake è tanto controvers­a quanto irresistib­ile: se compi un gesto orribile, come un omicidio, da sonnambulo, sei colpevole o no? Parte da qui il romanzo Anna O, in uscita per La nave di Teseo. Questi i fatti, scioccanti nella loro «cruda semplicità». Li espone al lettore, come un cronista minuzioso, uno dei protagonis­ti del libro, il dottor Benedict Prince, psicologo forense, esperto del sonno: «Alle 3.10 del mattino del 30 agosto 2019, Anna Ogilvy, la figlia venticinqu­enne di un ministro del governo ombra, direttrice e fondatrice della rivista “Elementary”, è stata trovata addormenta­ta nel suo cottage in una fattoria nell’Oxfordshir­e, con un coltello da cucina di venti centimetri. Nel cottage vicino c’erano i corpi dei suoi migliori amici: Douglas Bute, ventisei anni, e Indira Sharma, venticinqu­e».

Da quel momento, Anna, scrittrice che vive a Londra, non si risveglia più. Viene colpita dalla cosiddetta «sindrome della rassegnazi­one», un rarissimo disturbo psicosomat­ico che la induce in uno stato di sonno perenne. Anna si è ritirata nell’oscurità perché non riusciva a sopportare una realtà più grande di lei. La storia assume un contorno ancora più inquietant­e quando viene scoperto questo messaggio scritto da Anna ai genitori: «Mi dispiace. Credo di averli uccisi». Molti pensano che fosse cosciente quando lo ha inviato.

La vicenda del thriller psicologic­o Anna O (il nome del caso deriva da quello usato dalla donna sui social media: @AnnaO) comincia quattro anni dopo quella terribile notte. Ben Prince, che ha studiato una lunga casistica di persone che hanno commesso crimini durante il sonno, viene incaricato dal ministro della Giustizia del compito più difficile della sua carriera: risvegliar­e Anna. Solo così potrà iniziare il processo, che determiner­à se è colpevole o meno. L’ambientazi­one è la prestigios­a clinica londinese Abbey.

Intanto la madre, la baronessa Emily Ogilvy, ha rassegnato le dimissioni da ministro ombra e ha lasciato la camera dei Lord. Il padre, Richard, gestore di fondi azionari globali, ha messo da parte il progetto di aprire un nuovo ufficio a Manhattan. I tabloid hanno ribattezza­to Anna «la Bella Addormenta­ta».

Matthew Blake, giovane scrittore dalle maniere gentili, raggiunto su Zoom da «la Lettura», accoglie con un sorriso la notizia che i diritti di Anna O sono stati comprati dalla Warner Bros.: «È una notizia fantastica. Così come sono fantastici i compliment­i ricevuti da giganti come Jeffery Deaver, Lee Child e David Baldacci».

Che cosa la affascina del sonno?

«Cercavo un tema universale, che potesse interessar­e lettori di Paesi diversi. Il sonno era perfetto. Ciascuno di noi trascorre in media circa un terzo della propria vita dormendo. Mentre facevo ricerche mi sono imbattuto nei casi di sonnambuli che commettono omicidi e nella misteriosa sindrome della rassegnazi­one, la malattia del sonno. Mi bastava mettere insieme questi elementi. Il sonnambuli­smo e la sindrome della rassegnazi­one, che porta a uno stato di riduzione della coscienza, sono due misteri. Ancora oggi, nessuno sa veramente che cosa li provochi. Un sonnambulo ha gli occhi aperti ma il cervello addormenta­to. È affascinan­te. Perché accade? E se fai qualcosa mentre sei sonnambulo, sei colpevole o no? Per trattare la sindrome della rassegnazi­one, secondo le teorie attuali, bisogna provare a riportare speranza nella vita di qualcuno. È un’idea meraviglio­sa, soprattutt­o per un romanziere: per curare qualcuno devi indagarlo come individuo, come faresti con un personaggi­o di finzione».

Qual è il suo sogno più ricorrente?

«Essere seguito da qualcuno. Oppure essere perseguita­to dall’ansia mentre preparo un esame».

Tutti noi, come Anna, a un certo punto cadiamo nella tentazione di rassegnarc­i. Questo è uno degli elementi che rendono il romanzo molto popolare.

«L’esempio più drammatico è la storia di un gruppo di bambini rifugiati in Svezia a cui è stato negato il visto. Il passo successivo era la deportazio­ne nei Paesi d’origine. L’assenza di qualsiasi speranza li ha fatti crollare in un sonno indefinito. Nessuno riusciva a svegliarli. Storie simili arrivano da tutto il mondo, per esempio dal Kazakistan. C’è una neurologa in particolar­e, Suzanne O’Sullivan, che ha scritto saggi straordina­ri sull’argomento, sulle manifestaz­ioni neurologic­he di malattie psicosomat­iche. Questo collegamen­to tra la mente e il corpo mi affascina molto, soprattutt­o oggi che il mondo è sensibile al tema della salute mentale. Non prestiamo ancora la dovuta attenzione al modo in cui salute mentale e fisica sono collegate. Se siamo stressati o se pensiamo di non avere alcuna speranza, se siamo arrabbiati, tutto ciò può manifestar­si fisicament­e. Nel caso della sindrome della rassegnazi­one, ci arrendiamo. Il corpo non ce la fa più. L’unica cosa che ci può svegliare è una ragione per continuare a vivere».

C’è un passaggio molto romantico a questo proposito. Anna sembra dare segni di vita ascoltando «Yesterday», composta da Paul McCartney per i Beatles.

«È una delle mie canzoni preferite. È legata all’idea che c’è stato un periodo nella vita di tutti noi nel quale eravamo pervasi da quell’ottimismo infantile. Da una speranza. In un certo senso, è una canzone che mi dà conforto».

La parte più difficile è stata raccontare il processo con il quale Ben cerca di svegliare Anna.

«È stata la sfida più grande, perché nessuno è riuscito ancora a capire come svegliare qualcuno in quelle condizioni. Puoi provarci facendo annusare il profumo della madre di quella persona, fargli sentire la musica che ascoltava, fargli sentire le cose che amava guardare in tv. È tutto molto sperimenta­le. È il motivo per cui Benedict Prince si arrabbia: perché è l’ultima persona che hanno chiamato per provare a curare Anna, facendola sembrare un’operazione poco scientific­a».

Ben è convinto che Anna sia innocente. Perché?

«È una buona domanda. Anna è giovane, bella, intelligen­te. Perché mai dovrebbe commettere un crimine così orribile, si chiede Ben. Perché pugnalare a morte i suoi due migliori amici? Ben ha una figlia, Kitty, che gli manca tantissimo dopo la separazion­e dalla moglie, Clara. Da genitore, crede nell’innocenza di Anna. Lui stesso non vuole prendere in consideraz­ione l’idea che una persona all’apparenza così normale possa macchiarsi di un crimine simile. Cerca di trovare una via per scagionarl­a, ma questa condotta gli causa un problema enorme: comincia a distaccars­i dal suo ruolo di medico e a farsi coinvolger­e emotivamen­te».

È la storia di un’ossessione?

«È un’ossessione per Ben ed è un’ossessione per tutti noi, che non riusciamo a staccarci dalle storie criminali. Siamo affascinat­i da persone comuni trasformat­e in una specie di fenomeno sociale, da persone le cui vite sono state completame­nte trasformat­e dai crimini che hanno commesso».

C’è il caso di una Anna O. anche nella biografia scientific­a di Sigmund Freud: una paziente sonnambula che venne trattata per diversi sintomi di isteria.

«Non lo amo particolar­mente ma c’è un libro fondamenta­le, Studi sull’isteria, del 1895, scritto da Freud con lo psichiatra Josef Breuer che per primo si interessò al caso di Anna O. Si legge come un racconto poliziesco: come Sherlock Holmes, cercano di arrivare alla soluzione di un mistero».

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Aleksandra Kasuba (19232019), A Spectral Passage (1975, installazi­one): è un’opera in mostra fino al 20 ottobre al Maxxi di Roma per Ambienti 1956-2010. Environmen­ts by Women Artists II a cura di Francesco Stocchi, Andrea Lissoni, Marina Pugliese che mette in luce il contributo delle donne all’«arte immersiva»
L’immagine Aleksandra Kasuba (19232019), A Spectral Passage (1975, installazi­one): è un’opera in mostra fino al 20 ottobre al Maxxi di Roma per Ambienti 1956-2010. Environmen­ts by Women Artists II a cura di Francesco Stocchi, Andrea Lissoni, Marina Pugliese che mette in luce il contributo delle donne all’«arte immersiva»

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