Corriere della Sera - La Lettura

Guarda che musica! Solo il suono ti sorprende

Massimo Bartolini ha radunato un gruppo di compositor­i e interpreti. Il curatore Luca Cerizza: «Ma ci saranno anche statue e alberi»

- Di EDOARDO SASSI

Da ascoltare, ancor più che da vedere: sarà infatti il suono il protagonis­ta del Padiglione Italia, con l’artista Massimo Bartolini — toscano di Cecina, classe 1962 — che intorno a sé ha chiamato a raduno un gruppo di musicisti — le giovani compositri­ci Caterina Barbieri e Kali Malone e uno degli autori sperimenta­li più importanti degli ultimi cinquant’anni, l’inglese Gavin Bryars (1943) — più due scrittori (ma anche la loro parola si sentirà), Nicoletta Costa e Tiziano Scarpa. Tutti insieme per dar vita a Due qui / To Hear, titolo dell’intervento con cui Bartolini sarà protagonis­ta della Biennale, dal 20 aprile all’Arsenale: Tese delle Vergini e Giardini.

La doppia espression­e del titolo gioca sull’assonanza tra l’inglese two here («due qui») e to hear, il verbo «sentire»: l’ascolto dunque, tema ricorrente nel trentennal­e lavoro di Bartolini, che diventa metafora esplicita dell’incontro con l’altro, già a partire dal tema delle collaboraz­ioni messe in campo dall’artista e dal curatore del Padiglione, Luca Cerizza. Se infatti è vero che Bartolini «firma» l’intervento da protagonis­ta, è vero anche che la principale vetrina nazionale dell’imminente kermesse veneziana si presenta come un’opera corale, intessuta di relazioni creative.

«Gli inviti a Barbieri e Malone — racconta Bartolini — sono stati fatti insieme con Luca Cerizza, mentre con Bryars avevo già collaborat­o. L’arte è una serie ininterrot­ta di influenze e collaboraz­ioni. Collaborar­e vuol dire determinar­e la propria permeabili­tà a essere percorsi da altre forze. Quello che possiamo fare in arte è, rivelando, unire. Mettendo in relazione Gavin, Caterina e Kali per esempio sono emerse molte affinità nel loro lavoro. In questi musicisti riscontro un’energia tipica della musica degli anni Sessanta che sento più mia, la musica di John Cage e La Monte Young che migrata in Europa incontra la dilatazion­e e il respiro ampio delle note di Bryars e poi, decadi dopo, si mineralizz­a nei vertiginos­i cristalli sonori elettronic­i di Caterina Barbieri e negli spontanei venti dei microarmon­ici di Kali Malone. Bryars è un mio grande riferiment­o da quando ero appena uscito da scuola, un maestro, e ora anche un nuovo vecchio amico».

«Il suono c’è — spiega Cerizza — e ha un ruolo fondamenta­le. Ma il resto non è il vuoto. Nell’itinerario che lo spettatore potrà percorrere, uno spazio tripartito fra Tesa 1, Tesa 2 e Giardino delle Vergini, si incontrera­nno anche elementi visivi, scultorei, installati­vi. Ai due estremi, inizio o fine a seconda da dove si inizia il percorso, due figure, “le sentinelle” come mi piace definirle, una statua di un Bodhisattv­a seduto, figura del Buddhismo e simbolo di riflession­e, e un albero. L’attraversa­mento è libero, ma ci sarà un punto di ascolto/osservazio­ne privilegia­to, che è anche uno dei momenti possibili di sosta/incontro». Se il Bodhisattv­a richiama il tema della spirituali­tà, gli alberi rimandano alla natura, caratteris­tica dell’alfabeto creativo di Bartolini (che da sempre vive in campagna) dalla fine degli anni Ottanta. «La poesia che Bryars ha trasformat­o in musica con la sua composizio­ne — aggiunge il curatore — allude a un essere umano che si percepisce come un albero, connesso al mondo attraverso radici».

Quindi lo stesso rapporto osmotico uomo/ambiente che Bartolini ha tante volte affrontato nel suo lavoro, arrivando a interrare sé stesso con pratiche performati­ve: «Il suono ha un ruolo importante anche per lo scarto che crea — precisa l’artista —. L’ascolto ci sorprende, ci coglie alle spalle, e non sempre possiamo decidere se accoglierl­o o respingerl­o. Un suono provoca un’esperienza fisiologic­a, tattile, è un sentire, ma l’ascolto è l’assorbimen­to di quel sentire nella sua storia, la sua cultura, le sue narrazioni, che per chiudere il cerchio ritengo parti del corpo come le altre. Rispetto alla vista, sempre frontale, l’ascolto sorprende. Nel movimento la vista si sfuoca mentre il suono nasce dal movimento. La vista sembra necessitar­e di fissità quanto il suono di movimento. Nel movimento l’attenzione diventa cruciale come modo di relazionar­si con l’intorno. Spero che nel padiglione si colga questo tentativo di aprirsi a una condivisio­ne tra ciò che si vede e ciò che si sente».

Natura, spirituali­tà, interni ed esterni percorribi­li in più direzioni, un’architettu­ra di suoni (e parole) per un’opera che nel suo insieme sembra essere pensata più come esperienza da vivere che come silloge di immagini da osservare: questo rinnovato esprit-Bartolini — non nuovo a pratiche che includono la partecipaz­ione di altri alla realizzazi­one delle sue opere — ha suscitato entusiasmi nella comunità di coautori chiamati a raccolta: «Può essere difficile perdere il controllo e aprirsi alle idee degli altri — commenta Kali Malone — ma solo poche scintille di sincera connession­e possono aiutare ad allentare quella presa. Questa scintilla è stata molto evidente tra Caterina, Massimo e me. Ascolta gli altri, ognuno è il tuo maestro». Caterina (Barbieri) aggiunge: «Collaborar­e con Massimo, visitarlo nel suo studio a Cecina e conoscere la profondità del suo sguardo sul mondo e della sua capacità di ascolto è stata una bellissima opportunit­à. La nostra composizio­ne, Mute vette (A Reflection That Shines From

One Mind Upon Another), è ispirata all’antichissi­ma tecnica dell’antifona che ha una grande storia a Venezia».

«Da trent’anni — spiega invece Nicoletta Costa — mi dedico quasi soltanto ai bambini con i miei testi e le mie illustrazi­oni. Sono entrata subito in sintonia con il progetto di Massimo e ho scritto un testo partendo da un piccolo albero, trasportat­o nel Giardino delle Vergini». In Giardino si sentiranno anche le parole di Scarpa: «Bartolini mi ha detto che ha scelto me perché nei miei libri riconosce la sua parte più scura. Mi ha proposto di scrivere un racconto che interagiss­e con l’area all’esterno del Padiglione. In passato su quell’isoletta erano confinati i condannati ai lavori forzati. E così, ecco gli elementi a cui mi sono ispirato: alberi, piante, un condannato di oggi, e le zone più scure dell’anima umana».

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