Corriere della Sera - La Lettura
Il saluto di Kiev viene dal cuore
Come ci si può augurare buongiorno o buonasera in un Paese stremato da due anni di guerra? Al padiglione ucraino hanno pensato di affidarsi a quindici artisti neurodivergenti. «Le loro parole sul mondo possono cambiare il mondo»
Farsi gli auguri di buon compleanno in tempo di guerra. Darsi la buona notte, dirsi arrivederci salvo poi rendersi conto che non era il caso, che era meglio evitare. Certe frasi perdono senso durante un confitto. Soprattutto se dura da più di due anni. Diventano cliché, «ci siamo accorti che si facevano sempre più ingombranti, inadatte, inadeguate». Katya Buchatska (Kiev, 1987) è l’autrice di Best Wishes, progetto multidisciplinare ospitato nel padiglione ucraino alla Biennale. Lo ha immaginato e realizzato con quindici artisti neurodivergenti. Insieme hanno ripensato le convenzioni del salutarsi, sottolineato gli stereotipi basati su convenzioni anziché sul reale bisogno di connettersi. «Persone con sindrome di Down e con disturbi dello spettro autistico — dice — usano il linguaggio in modo diverso da noi. A volte strano, incomprensibile. Però, durante la catastrofe, riescono a pensare e a comunicare con più precisione». E autenticità.
Video, tappeti, disegni, fotografie, incisioni nel legno, quadri, storie, cartoline, perfino cibo, cuscini. Approcci diversi, di artisti e artiste che hanno condiviso con Katya Buchatska workshop, incontri, conversazioni in tempo di guerra. «All’inizio erano dialoghi semplici. Discutevamo e dipingevamo. Più i giorni passavano più alcune parole perdevano valore. Altre lo riacquistavano». Arte collettiva che esplora i cambiamenti del linguaggio «quando la sopravvivenza è minacciata». Per raggiungere un livello più profondo di comunicazione e comprensione. Di tolleranza. Per «diventare esseri umani migliori». Riflette l’artista: «Certi modelli espressivi non funzionano quando la vita a cui eravamo abituati non esiste più. Mi sono ritrovata a chiedermi: cosa possiamo augurarci sotto le bombe? È possibile che gli auguri che si fanno uomini e donne neurodivergenti, così ripetitivi, poetici, assurdi, siano più efficaci a catturare la realtà odierna? Il loro sguardo sul mondo mi ha conquistato. Di fronte alla guerra sono fragili e spaventati». E allora «bisogna pensare ai loro desideri». E continuare ad augurare e augurarsi il meglio, «ma soffermandosi sul senso di quello che si dice».
Su un grande tappeto (nella foto sopra è in fase di lavorazione) l’artista Anna Sapon (è lei nell’immagine) ha ricamato una serie di versi dedicati al curatore della Biennale Arte: «Con caldi raggi/ caldo, riscalda,/ Adriano Pedrosa mi congratulo/ per l’apertura delle porte della Biennale,/ spero che tu passi bene il giorno della mostra,/ prega Dio,/ affidagli/ l’anima dei tuoi desideri». Commenta Buchatska: «Il nostro è un progetto di speranza, lo possiamo definire in qualche modo ottimista: gli auguri hanno a che fare con il futuro, che per noi ucraini oggi è così difficile da immaginare...».
Best Wishes è uno dei lavori del padiglione ucraino, Net Making, costruire reti. Il nome ha a che fare con le reti mimetiche tessute dalla popolazione — autonomamente, senza imposizioni dall’alto — per coprire mezzi di trasporto e oggetti, per nascondersi. Spiegano i curatori Viktoria Bavykina e Max Gorbatskyi: «Net Making è un’azione terapeutica e collettiva, una grande metafora che consente di parlare dell’Ucraina oggi. Come succede con le reti, qui proviamo a unire idee ed esperienze reali. In linea con il tema della Biennale, Stranieri Ovunque, vogliamo proporre un progetto socialmente impegnato, coinvolgere comunità, sensibilità, prospettive, curiosità diverse per andare oltre il contesto artistico. Il nostro è un padiglione socialmente impegnato, questa è l’arte oggi per gli ucraini».
Dopo l’esperienza del 2022 con la mostra di Pavlo Makov, l’Ucraina in guerra è alla sua seconda Biennale Arte. «E da due anni — osservano i curatori — il nostro Paese è sotto i riflettori dei media, in qualche modo sovraesposto. Con Net Making lo raccontiamo da un’altra prospettiva. Chiamiamola arte utile».
Il padiglione ucraino alla Biennale, all’Arsenale, è strutturato attorno all’installazione Work di Oleksandr Burlaka: tessuti in lino degli anni Cinquanta formano uno spazio circolare. All’interno, tre progetti d’arte. Il primo è il film Civilians. Invasion di Daniil Revkovskyi e Andrii Rachynskyi, che racconta i primi giorni dell’invasione dell’Ucraina: gli artisti hanno realizzato l’opera usando video trovati da fonti open source e canali YouTube privati, «un’enciclopedia dell’orrore che racchiude esperienze strazianti vissute durante un’invasione su vasta scala». Insiste sulla tematica dei cliché e dell’alterità (come Best Wishes) Comfort Work di Andrii Dostliev e Lia Dostlieva, video sulle percezioni stereotipate nei confronti dei rifugiati ucraini all’estero: attori professionisti sono stati chiamati a recitare davanti alle telecamere il ruolo di rifugiati ucraini, rappresentandoli nel modo in cui vengono visti dalle società dei Paesi ospitanti: «Sono ritratti che corrispondono ai desideri degli europei, con i loro preconcetti sugli immigrati».
Nei primi giorni della Biennale (dal 17 al 22 aprile), oltre ai curatori del padiglione ucraino e ai responsabili dei singoli progetti, a Venezia ci saranno anche i quindici artisti neurodivergenti (e i loro accompagnatori) che hanno lavorato per Best Wishes. «Saremo un gruppone!». Katya Buchatska sorride: «Per loro è fondamentale esserci. E anche per me : la loro presenza in Laguna vale molto di più della riuscita della mostra».