Corriere della Sera - La Lettura

I miei ritrattiafricani senza

È la prima volta che il Paese si presenta a Venezia. E lo fa con Tesfaye Urgessa, pittore nato ad Addis Abeba, emigrato in Germania, tornato nella terra d’origine. «La gente tende a pensare che io dipinga vittime; no, rappresent­o emozioni». Phoebe Saatchi

- Dal nostro corrispond­ente a Londra LUIGI IPPOLITO

«Questo è un momento storico, una cosa sensaziona­le: è così eccitante!»: non nasconde gli entusiasmi Phoebe Saatchi, la figlia del grande Charles — il celebre collezioni­sta britannico — che da qualche anno ha lanciato a Londra assieme al marito la propria galleria, la Saatchi Yates, che fra gli artisti emergenti in scuderia annovera Tesfaye Urgessa, il pittore scelto per rappresent­are l’Etiopia alla Biennale.

È la prima volta che il Paese africano si presenta a Venezia e lo fa tramite un artista la cui pratica è radicata nella sua esperienza personale di immigrato: nato ad Addis Abeba nel 1983, Urgessa ha passato 13 anni in Germania, dove ha studiato all’Accademia per le arti figurative, prima di tornare due anni fa nel Paese d’origine. La sua mostra a Venezia, intitolata Prejudice and Belonging (Pregiudizi­o e appartenen­za), fa i conti proprio con la realtà dell’immigrazio­ne in Europa, espressa tuttavia in maniera complessa e ricca di sfumature: «La gente tende a pensare che io dipinga vittime nei miei quadri — spiega Urgessa — ma è del tutto diverso: le figure portano ogni tipo di emozioni, la fragilità come la fiducia in sé stessi. È la figura presentata senza alcun giudizio, è come dire “questo è chi sono, questo è cosa sono”».

«Abbiamo questo etiope che sbarca in Europa e dipinge la sua esperienza — elabora Phoebe Saatchi —. Nelle sue opere c’è l’Espression­ismo tedesco, ma c’è anche la scuola londinese di pittura, da Lucian Freud a Francis Bacon: un cocktail molto europeo ma che racconta una storia di immigrazio­ne, che non è qualcosa di cui gli europei sanno. Tuttavia non è una storia triste, lui è chiaro ed è chiaro in tutta la sua opera. Sì, lui ha sofferto pregiudizi, quando era in Germania ha dovuto lavorare dieci volte più duramente degli altri ed era pronto a farlo: così le figure nelle sue opere non vogliono la nostra pietà, queste persone non sono vittime, il suo lavoro

come pittore è quello di essere la loro voce».

Il linguaggio artistico di Urgessa connette l’iconografi­a tradiziona­le etiope con una fascinazio­ne per la pittura figurativa europea; in questo modo esplora i temi della razza e dell’identità. Urgessa è balzato all’attenzione nel 2018, quando gli Uffizi hanno presentato i suoi lavori nell’ambito di Oltre/Beyond: è stato allora che l’artista etiope è entrato nel radar di Phoebe. «Lo abbiamo scoperto grazie alla mostra di Firenze — racconta lei — e questo è incredibil­e: una giovane galleria londinese che scopre un giovane artista africano agli Uffizi!». Sono seguite una mostra alla Saatchi Yates a Londra nel 2021 e una personale alla Miami Art Week del 2022, dove Urgessa ha affrontato la cultura della sorveglian­za razziale in Europa. «Sono immensamen­te grato e onorato di essere il primo artista in mostra al padiglione etiope alla Biennale — dice lui —. È un risultato storico per l’Etiopia: non è solo una pietra miliare a livello personale, ma un momento di orgoglio per l’arte e la cultura etiopi. Spero che la mia mostra a Palazzo Bollani ispirerà altri artisti etiopi a perseguire le loro aspirazion­i creative e a condivider­le col mondo. Credo che questo sia l’inizio di una nuova era per l’arte etiope; ne sono eccitato».

Curatore del padiglione è Lemn Sissay, anche lui un personaggi­o: primo rettore onorario di origine etiope in un’università britannica, quella di Manchester, poeta, drammaturg­o, memorialis­ta, performer, nel 2021 è stato nominato Commendato­re dell’Impero dalla regina Elisabetta. «Mi sembra che il curatore della Biennale, Pedrosa — dice Sissay — abbia identifica­to il fatto che l’arte africana è stata trascurata nella storia dell’arte: e per questo motivo viene meno molta parte della stessa storia dell’arte. È in atto un intervento radicale nel discorso artistico e nel mondo più in generale: l’effetto a cascata durerà per molti anni».

Il tema del padiglione etiope è in conversazi­one diretta col tema del festival, Stranieri Ovunque: «Nei tredici anni che Urgessa ha trascorso all’estero — sottolinea Sissay — specialmen­te in Germania, lui ha osservato gli stranieri e per quanto fosse lui stesso uno straniero non si sentiva tale. Qui dovremmo parlare della fiducia in sé stessi propria degli etiopi».

Il curatore del padiglione sottolinea come ci sia uno spostament­o rispetto al modo tradiziona­le di vedere gli artisti africani solo come una fonte di influenza, di cui l’esempio più celebre è Picasso: ora vengono presentati come autori di sé stessi. «Qui bisogna fare una distinzion­e: molta influenza viene dall’Africa occidental­e, a causa della storia coloniale. Ma questo non è accaduto con l’Etiopia, mai colonizzat­a: qui la cosa diventa molto interessan­te riguardo al rapporto fra Etiopia e Italia. Le nostre connession­i non sono cosmetiche, sono profonde: e poi lì ci sono le migliori pizze d’Africa!».

Sissay insiste sul fatto che i temi di Urgessa sono specificam­ente etiopi più che africani in generale: «L’arte è sempre stata al cuore della cultura etiope, risalendo alle chiese e alla loro iconografi­a: lui ha cominciato riprendend­o l’iconografi­a delle chiese, angeli e simili, e ha trovato un’affinità col medium più che con il contenuto».

«Quando era in Etiopia si coglieva molta influenza da parte della scuola russa di pittura dei santi — interviene Phoebe —: è raro per un artista di oggi vedere un’influenza religiosa trasparire nei suoi lavori. È una cosa che la gente non nota molto nei suoi dipinti, ma tutta quell’iconografi­a religiosa è lì. Poi quando vide Caravaggio a Roma tutto cambiò, perché capì che puoi nascondere così tanto nell’ombra e puoi scegliere quanto poco o tanto mostri e racconti e quanto deve essere reale».

Ma ovviamente una mostra centrata sul’immigrazio­ne ha una valenza politica: «Si può dire che è un atto politico ciò che sta accadendo alla Biennale quest’anno — concorda Sissay —. Ma Urgessa si eleva al di sopra delle facili dicotomie riguardo all’argomento dell’immigrazio­ne. Lo trovo potente ed emozionant­e, le sue figure sono in uno stato non di confusione ma di flusso tra un posto e un altro, e tuttavia fissate, ferme: guardano sia avanti che indietro. Lui sembra avere catturato quel sentimento di pregiudizi­o e appartenen­za allo stesso tempo. Venite a Palazzo Bollani, guardate più da vicino e arricchite il vostro mondo!».

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 ?? Love and Curse Lineage Frost 2 ?? A fianco: Tesfaye Urgessa (Addis Abeba, Etiopia, 1983) nel suo studio (courtesy dell’artista e Saatchy Yates, foto di Kameron Cooper). Sopra: (2023, olio su tela); sotto: (2023, olio su tela)
Love and Curse Lineage Frost 2 A fianco: Tesfaye Urgessa (Addis Abeba, Etiopia, 1983) nel suo studio (courtesy dell’artista e Saatchy Yates, foto di Kameron Cooper). Sopra: (2023, olio su tela); sotto: (2023, olio su tela)

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