Corriere della Sera - La Lettura
QUANTE LOCOMOTIVE SFRECCIANO SUI BINARI DEL CINEMA
Difficile sfuggire al destino se la storia del cinema si apre con L’arrivo di un treno nella stazione di La Ciotat (nell’immagine qui sopra), 50 secondi in bianco e nero con cui i fratelli Lumière hanno terrorizzato decine di spettatori (a dire il vero, non è stato il primo film, fu proiettato nel gennaio del 1896, ma come nel West quando la leggenda supera la realtà...).
Da allora locomotiva e binari hanno accompagnato il cinema offrendo spunti fantastici (Voyage à travers l’impossible di Georges Méliès, 1904), avventurosi (L’assalto al treno di Edwin S. Porter, 1903), storici (Il cavallo d’acciaio di John Ford, 1924), comici (Come vinsi la guerra di e con Buster Keaton, 1926), drammatici con Greta Garbo nel 1927 e poi ancora nel 1935, seguita da Vivien Leigh, Sophie Marceau, Keira Knightley, tutte destinate a fare i conti con una locomotiva).
Col sonoro il treno diventa strumento di salvezza (Rotaie di Mario Camerini, 1929) e di progresso (Treno popolare di Raffaello Matarazzo, 1933), di avventura esotica (Shanghai Express di Josef von Sternberg con l’indimenticabile Marlene Dietrich) o di seduzione (Ventesimo secolo di Howard Hawks, 1934).
Nel dopoguerra il cinema popolare lo usa per raccontare chi li fa funzionare (La bestia umana di Fritz Lang, 1954, e Il ferroviere di Pietro Germi, 1956) o come palcoscenico per le esibizioni di Antonio de Curtis (Totò a colori di Steno, 1952); il cinema resistenziale ne racconta le lotte (Il treno di John Frankenheimer,
1964) mentre il western, dopo averlo usato per esaltare il progresso (La via dei giganti di Cecil B. DeMille, 1939), lo trasforma in un sostituto del destino (Mezzogiorno di fuoco di Fred Zinnemann, 1952, e Quel treno per Yuma di Delmer Daves, 1957).
Ma è curiosamente col giallo e con il noir che il treno diventa davvero protagonista in prima persona, trasformandosi in una specie di gabbia che a volte protegge e a volte soffoca. Hitchcock ha usato magnificamente le sue potenzialità claustrofobiche in La signora scompare (1938), accompagnandolo con qualche sfumatura psicoanalitica in L’altro uomo/Delitto per delitto (1951) per poi farne un rifugio in Intrigo internazionale (1959). Agatha Christie lo ha trasformato in palcoscenico per il suo Hercule Poirot (Assassinio sull’Orient Express, prima Sidney Lumet nel 1974, poi Kenneth Branagh nel 2017).
Ma non va dimenticato Le jene di Chicago (di Richard Fleischer, 1952), girato per le quasi totalità su un treno, sempre sul punto di trasformarsi in una trappola mortale. E questa «maledizione» (dal treno non si fugge) torna sempre più spesso per aumentare la tensione, come hanno saputo fare molto bene in anni recenti, prima Snowpiercer (di Bong Joon-ho, 2013) e poi Bullet Train (di David Leitch, 2022).
dovrebbe e questo è terribile per gli agricoltori e ci sono inondazioni frequenti anche nelle città. Il mio film è simbolico: la demone madre è la Madre Terra; i passeggeri siamo noi che viviamo sulla Terra, rappresentata dal treno. Lo abbiamo scelto perché è un luogo isolato dal quale non puoi scappare se non quando arrivi in stazione; e qui non ci sono fermate intermedie, solo la destinazione finale. Per salvarti puoi al massimo provare a cambiare carrozza. Per noi è lo stesso, se succede qualcosa al nostro pianeta non possiamo andarcene...».
Da Alfred Hitchcock a Bong Joon-ho, da «Assassinio sull’Orient Express» a «Cassandra Crossing», sui treni sono ambientati molti film di tensione. Che cosa rende questo mezzo così affascinante per il cinema?
«Il treno è ristretto e soffocante, spesso affollato, e i luoghi angusti sono perfetti nel creare tensione. Puoi solo procedere in linea retta, a volte puoi andare verso l’alto, ma di sicuro non verso il basso. Nella narrazione queste restrizioni creano inquietudine. L’ambientazione perfetta anche per Kereta Berdarah».
Si è ispirato ad altri film ambientati su un convoglio ferroviario?
«Sì, in particolare a due film di registi coreani: Train to Busan di Yeon Sang-ho (2016), sempre horror, e Snowpiercer di Bong Joon-ho (2013), con la suo straordinario microcosmo diviso in classi sociali. Amo poi molto Dario Argento che per me è sempre una grande ispirazione».
In «Snowpiercer» le ultime carrozze sono occupate dai più poveri, mentre in testa i ricchi vivono nel lusso. In «Kereta Berdarah» i primi a soccombere in modo cruento sono gli ultimi vagoni...
«Anche nella crisi climatica le prime vittime appartengono alla popolazione più povera. Volevamo in qualche modo riportarlo nel film».
Le sue sage horror, «Jelangkung» e «Kuntilanak», hanno avuto molto successo. Che cosa la affascina di questo genere?
«È un genere che permette di esplorare il male da vari punti di vista, non solo quello che si coglie negli altri ma quello che si nasconde. E per contrasto ci porta ad analizzare la natura del bene».
«Kereta Berdarah» è tra i film più visti quest’anno in Indonesia. Cosa rende l’horror un genere così amato?
«Il nostro immaginario non si costruisce attorno ad alieni, Frankenstein o mummie: abbiamo i nostri mostri come Kuntilanak (il fantasma di una donna incinta, ndr) o i Jinn. Ogni cultura ha i suoi... Il pubblico indonesiano si riconosce in quelli che proponiamo sullo schermo e inoltre nell’horror trovano il fantastico e una via di fuga».
Bara, l’uomo spietato che ha supervisionato i lavori e ignorato i presagi, ripete spesso: «Siamo tutti coinvolti». Perché questa frase è così centrale?
«Per la sua ambivalenza: sembra positiva ma poi suona come una minaccia».
Altro tema centrale è quello della malattia. La protagonista Purnama ha un cancro al fegato che dovrebbe ucciderla, ma il suo destino sarà diverso... Perché avete deciso di inserire anche questo elemento?
«Ci permette di esplorare la mortalità: anche se sei malato questo non significa che sarai il primo ad andartene. La malattia terminale toglie a Purnama la paura».
Alla fine in «Kereta Berdarah» i veri mostri sono gli uomini?
«Torniamo alla riflessione sul male. Un mostro è in sé malvagio? Oppure malvage sono le azioni compiute dagli altri personaggi? Qui abbiamo i demoni della foresta che si ribellano per quanto hanno subito. E gli uomini di potere che con le loro decisioni provocano sofferenza. Questa è malvagità».
Il destino del treno, lungo i binari, sembra inevitabile...
«Lo è. Anche per noi. Non possiamo più aspettare. Dobbiamo fare dei cambiamenti adesso».