Corriere della Sera - La Lettura
Pizzi in giro per Venezia in cerca dello zoo di vetro
Novantaquattro anni da compiere a giugno, il regista allestisce al Goldoni il capolavoro di Tennessee Williams. I suoi animaletti saranno soffiati a Murano, mai così rari e belli; i suoi protagonisti «tutti prigionieri dei sogni. Incoraggio gli attori a s
Loz oo di vetro è uno dei primi classici di Tennessee Williams, il suo capolavoro «cechoviano», andato in scena in un nevoso 26 dicembre 1944 a Chicago e rimbalzato in Italia, il 13 dicembre 1946, all’Eliseo di Roma nel folgorante e scandaloso dopoguerra di Luchino Visconti che scopriva le nuove drammaturgie americana e francese (Adamo di Marcel Achard, I parenti terribili di Jean Cocteau). Anticipava Un tram che si chiama desiderio e Morte di un commesso viaggiatore di Miller, e Lo zoo fu anche nel 1950 il primo film, di Irving Rapper, ispirato al teatro del famoso scrittore americano, che partecipò alla sceneggiatura: bisognerà attendere fino all’87 per il remake diretto da Paul Newman con Joanne Woodward, Karen Allen e John Malkovich, omaggio a una famosa edizione americana.
Nel dramma ai quattro cantoni psicologici, con angolo buio edipico, sono infatti quattro protagonisti: una mamma dominatrice e castratrice ma con tanto amore, una figlia claudicante avviata triste alla carriera di zitella, il fratello Tom (era il giovane Kirk Douglas, in Italia Paolo Stoppa), che vuol evadere andando ogni sera al cinema; e infine un suo amico invitato a cena che non tornerà mai più, ed era De Lullo. La povera Laura, serbatoio di emozioni per grandi attrici (la prima fu Rina Morelli, poi Annamaria Guarnieri diretta da Vittorio Cottafavi in tv) ha una collezione di animaletti di vetro cui tiene molto.
Mai nella storia di questo testo glorioso, scritto da Williams in sei mesi quando la Metro Goldwyn Mayer lo assunse a 250 dollari la settimana (ne prendeva 17 come usciere di un cinema), la collezione dello zoo di vetro sarà bella e rara come in questa che Pier Luigi Pizzi sta preparando per lo Stabile del Veneto. Dice a «la Lettura»: «Ho girato tutte le calli di Venezia per scovare gli animaletti di vetro e li ho trovati finalmente, soffiati nel vetro di Murano, eccetto l’unicorno che è stato fatto su commissione perché in estinzione. In genere oggi la produzione è industriale per turisti cinesi, quindi non è stato facile, ma per fortuna qualche maestro vetraio di tradizione c’è ancora e alla fine la mia Laura avrà il suo zoo di vetro da portare in scena con mani tremanti».
Con l’allestimento di questo dramma familiare in cui Williams sguazzava identificandosi vorticosamente quasi con tutti, Pizzi conclude una trilogia dedicata allo scrittore nato nel 1911 nel Mississippi: «Ho messo in scena il Tram che si chiama desiderio con Mariangela D’Abbraccio, La dolce ala della giovinezza con Elena Sofia Ricci e ora Lo zoo, rifacendomi spesso alle emozioni provate vedendo gli spettacoli di Luchino Visconti che ci rivelarono un altro mondo, un altro teatro, un altro linguaggio. La felice esperienza con Mariangela D’Abbraccio merita un bis con uno scrittore che amiamo e infatti il miracolo si ripete. Qualcuno dice che questo tipo di teatro è datato, certo funziona ancora molto bene, i personaggi vivono di vita propria e la comunicano al pubblico, portatori sani di sentimenti eterni, che non hanno epoca: insomma, sono universali. Ci sono una Amanda, una Laura, un Tom in ogni epoca, i loro sogni resistono ed è questa l’attualità del testo, sono le loro psicologie più che l’intreccio. Io, pur utilizzando la storica traduzione di Gerardo Guerrieri, con qualche libertà di linguaggio, ho eliminato i riferimenti all’America degli anni Quaranta, i miei attori parlano una lingua più attuale, esprimono gli stessi dolori ma con un dialogo più vero da ascoltare oggi».
Non è stato solo un peccato di Recherche, tornare sui passi di quegli spettacoli storici di Luchino Visconti che fecero fremere il milanese architetto Pizzi, ora giovane 93enne che si è raccontato in Non si può mai stare tranquilli. Incontri di vita e di teatro (a cura di Mattia Palma, Edt,2023): «Impossibile non ricordare quelle serate di teatro e l’imponenza, l’irruenza artistica di Tatiana Pavlova che fa la madre e riempiva la scena, come poi faranno Sarah Ferrati e Katharine Hepburn in tv, fino a Isabelle Huppert».
Lo zoo di vetro è un piccolo grande classico, si sono cimentate anche Marina Malfatti e Piera Degli Esposti, mentre l’edizione sconsacrata è quella di Leonardo Lidi: «Mi colpiva e mi colpisce ancora l’abilità con cui Williams rende vivi i personaggi soprattutto femminili in cui si identifica, avendo avuto per casa gli stessi caratteri cui si è ispirato». E anche i nuovi attori sono conquistati da questo scrittore che dopo tanti successi — La gatta sul tetto che scotta, Improvvisamente l’estate scorsa, La notte dell’iguana — finì preda di barbiturici ed alcol e il 25 febbraio 1983 fu trovato morto nella sua stanza all’hotel Elysèe di New York, strangolato dal tappo di un tubetto di collirio inserito tra i denti e scivolato in gola. Anche il modo di recitare cambia: «Gli attori di Visconti, la Morelli, Stoppa, la Pagnani, che apparve così diversa, avevano già allora una personalità decisa, ma oggi i miei giovani reagiscono con naturalezza al testo, non oppongono resistenza, perché si tratta di un teatro abile, che tocca corde inconsce e con grandissime doti di scrittura. C’è qualcosa in scena che si vive con molto fervore perché lo spettacolo, se funziona, ti coinvolge per intero».
Pizzi cura regia, scene e costumi di questo spettacolo che, recitato senza intervallo «per rispettarne l’incredibile fluidità», dopo il debutto al veneziano teatro Goldoni dal 18 al 21 aprile, si ferma in attesa di una lunga tournée nella prossima stagione.
Per quattro sere potremo entrare dunque in casa della famiglia Wingfield, la madre possessiva Amanda e i suoi figli, Tom e Laura, oltre a un amico, ma l’epicentro è il cuore ferito di Laura che colleziona animaletti di vetro, restando intrappolata nel suo stesso zoo. Da famoso scenografo regista Pizzi confida che in Williams «sono tutti prigionieri dei sogni, Tom vorrebbe essere poeta ma finirà per andare via di casa come aveva fatto il padre. Incoraggio i ragazzi a seguire il loro modo di reagire, il loro lato naturale, non c’è bisogno di tecniche particolari, senza i vizi del mestiere sono più spontanei e ricchi di verità, senza Actors Studio, senza tormentarsi più di tanto l’inconscio, i giovani ci ascoltano e realizzano senza sforzi ciò che sentono: con la D’Abbraccio abbiamo ormai una storia in comune, Gabriele Anagni, il fratello, è stato con me nella Dolce ala ed è credibile, commovente ma non patetico, Elisabetta Mirra vive benissimo le sue fragilità e i suoi complessi e il polacco naturalizzato italiano Pavel Zelinskiy è un amico molto credibile: i loro sentimenti, le loro parole ci attraversano il cuore, ieri come oggi».
In fondo, con questo gran teatro di pulsione femminile, Williams aveva già denunciato in anticipo la condizione della donna e le sue vendette, quelle a lui ben note di matrice sudista: «La protagonista ha visto scappare di casa il marito senza lasciare indirizzo e teme, come infatti sarà, che il figlio segua l’esempio del padre, mentre Laura si nutre solo di sogni e di illusioni, Tom cerca la salvezza al cinema, tutti uniti appassionatamente per uscire dalla morsa del troppo amore».