Corriere della Sera - La Lettura
Canto, grido, brucio: ho fame di vita
Chitarrista e cantautrice di talento (ha vinto tre Grammy), capace di lavorare con re del rock (Dave Grohl dei Foo Fighters) e regine del pop (Taylor Swift), St. Vincent torna con il nuovo album: «Urlare è la prima forma di protesta»
La regina delle maschere St. Vincent, pseudonimo della cantautrice e chitarrista Anne Erin Clark, ha deciso di abbandonare ogni travestimento nelle dieci tracce del suo nuovo album All Born Screaming («Tutti nati gridando»), in uscita il 26 aprile per Virgin Music Group. «La Lettura» la incontra negli studi di registrazione Metropolis di Londra: «Volevo attaccare il pubblico e sconvolgerlo. Mi sentivo affamata di vita, e la vita può essere brutale».
Un grido. Il titolo dell’album, All Born Screaming, è una riflessione sull’esistenza: «Urlare è anche la nostra prima forma di protesta». St. Vincent è una innovatrice del linguaggio rock contemporaneo e delle possibilità offerte dalla chitarra elettrica. Per il marchio Ernie Ball Music Man ha anche disegnato un modello per le chitarriste donne: «Volevo che fosse leggera senza sacrificare il suono ed elegante come un vestito. La chitarra deve suonare bene e starti bene addosso».
Nata a Tulsa, Oklahoma, il 28 settembre 1982 e cresciuta a Dallas, in Texas, St. Vincent ha iniziato a esibirsi nel coro rock The Polyphonic Spree prima di entrare nella band del cantautore indie-folk Sufjan Stevens. Ha esordito nel 2007 con l’album Marry Me prendendo il proprio nome d’arte da una strofa di un pezzo di Nick Cave del 2004, There She Goes, My Beautiful World, in cui Cave descrive la morte del poeta Dylan Thomas nel 1953 («Dylan Thomas è morto ubriaco nell’ospedale St. Vincent») e da allora ha continuato a trasformarsi, passando dalla collaborazione con il raffinatissimo David Byrne nell’album Love This Giant del 2012 a quella con la superstar pop Taylor Swift per cui ha scritto nel 2019 la hit Cruel Summer. Nei suoi album ha mischiato generi e creato personaggi, dalla decadente diva newyorkese immersa in un mondo a tinte pastello anni Settanta dell’album Daddy’s Home del 2021 (in cui ha raccontato la storia di suo padre Richard Clark, in carcere per nove anni per frode e reati fiscali) alla cinica e iconoclasta star futurista in rosso acceso del suo album più elettronico, Masseduction, che l’ha portata al successo nel 2017 e con cui ha vinto uno dei suoi tre Grammy. «Questa volta volevo essere reale. In All Born Screaming non ci sono astrazioni o fantasie psichedeliche. Volevo il dubbio e la paura. Dobbiamo amarci o moriremo. Possiamo anche fallire ma almeno abbiamo cercato la trascendenza».
La prima parte dell’album si apre con l’atmosfera narcotica di Hell Is Near edè un tentativo di gestire la solitudine e l’abbandono, la seconda rappresenta la voglia di farcela, scavando nella rabbia, nel desiderio di avere tutto e nell’istinto a sopravvivere. In Flea l’artista descrive il sentimento come una pulce ostinata che dice «sarai mio per l’eternità», in Violent Times canta: «Nelle ceneri di Pompei gli amanti scoprono un abbraccio che dura in eterno», in The Power’s Out evoca un’apocalisse urbana in cui cercare comunque la bellezza, infine trascina l’ascoltatore verso una chiusura epica ma delicatamente pop rock con i sette minuti di All Born Screaming scritta insieme alla cantautrice gallese Cate Le Bon.
In mezzo c’è l’aggressività industrial rock del singolo Broken Man, lanciato da un videoclip firmato dall’artista di origine venezuelana Alex Da Corte che ha curato il progetto artistico dell’album, in cui St. Vincent si contorce per liberarsi dalle fiamme che la avvolgono. Una marionetta disperata su una base ritmica creata da Dave Grohl, batterista dei Nirvana e leader dei Foo Fighters, un amico da quando nel 2014 i Nirvana (20 anni dopo la morte di Kurt Cobain) la chiamarono a cantare e a suonare la chitarra in Lithium per il loro ingresso nella Rock and Roll Hall of Fame. «A volte devi camminare sull’orlo del precipizio tra amore e morte. In questo album volevo descrivere il bianco, il nero e tutti i colori del fuoco che brucia». Non si sa quanto di questo racconto sia autobiografico o un esercizio letterario.
St. Vincent ha un aspetto etereo. Parla per immagini, insegue pensieri e riferimenti, dalla pittura alla musica, sembra perseguitata dalla profondità della sua visione. Ha prodotto l’album All Born Screaming da sola, chiusa in studio, ossessionata dalla ricerca di suoni e distorsioni («Voglio essere — dice — il primo e l’ultimo filtro di ogni cosa. Un album è il frutto di una serie di decisioni che prendi al momento»), sperimentando con la chitarra elettrica di cui è considerata una delle migliori interpreti al mondo e mettendo insieme frammenti di idee in una musica senza generi, avanguardia rock definita soprattutto dal suo atteggiamento: «La mia mente — sorride — funziona in modo poco lineare. Il bello di essere artisti è cambiare identità ogni tre anni».
Il prossimo passo di St. Vincent è creare un nuovo mondo sul palco, il luogo in cui la sua creatività genera ogni volta un’estetica diversa («Al momento sono affascinata dal Brutalismo e dal movimento Bauhaus»), ma per adesso vuole continuare a essere quello che definisce «uno specchio in cui il mondo si riflette. Il compito di un artista secondo me non è dire alle persone cosa devono pensare, ma farle sentire meno sole».
All Born Screaming è un album in cui vuole «vivere ancora per un po’». Anche a costo di bruciare: «Perdere qualcosa o qualcuno è un’esperienza rivelatrice di ciò che è fondamentale e ciò che è inutile». Suoni e parole di questo album, dice, sono essenziali, veri e definitivi. C’è l’idea di distruggere e ricostruire, ci sono immagini legate alle fiamme: la caccia alle streghe, la fenice che risorge. Ma non c’è niente di esoterico. «Volevo solo dire che devi attraversare il fuoco per arrivare dall’altra parte e capire che l’amore è l’unica cosa per cui vale la pena vivere».