Corriere della Sera - La Lettura

IL POTERE DELL’ARTE CHE SALVA E UNISCE

Già alla guida del Centre Pompidou di Parigi e di Villa Medici a Roma, oggi Bruno Racine dirige Palazzo Grassi e Punta della Dogana, sedi veneziane della Collezione Pinault. Per «la Lettura» in questa pagina riflette su...

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Forse l’arte non potrà davvero salvare il mondo, ma certo qualcosa di importante può farlo: può farci essere più uniti. Può, insomma, aiutarci a capire ea capirci, può darci una nuova consapevol­ezza: la consapevol­ezza che ogni tipo di chiusura non farà altro che aggravare una situazione, come quella attuale, già difficile e pericolosa, attraversa­ta dalle guerre, segnata dalla crisi ambientale, ferita dalle disparità sociali. Nei miei anni trascorsi alla guida di Villa Medici di Roma, del Centre Pompidou di Parigi, di Palazzo Grassi e Punta della Dogana, le due sedi veneziane della Collezione Pinault, ho imparato che la nozione di identità nazionale, specialmen­te nell’arte, non può essere mai assoluta, ma deve piuttosto essere (secondo un termine ormai diventato molto attuale) fluida: nel senso che non ci si può chiudere nel proprio piccolo giardino (sia pure un piccolo giardino nazionale), rimanendo insensibil­i a quello che succede oltre le mura di questo nostro piccolo giardino.

Me lo confermano le esperienze di artisti come Marlene Dumas, che nel 2022 aveva portato a Palazzo Grassi la sua mostra open-end dimostrand­o che l’arte deve oggi necessaria­mente combinarsi con le istanze sociopolit­iche e con l’attualità. O come Julie Mehretu che per la sua mostra (appena inaugurata sempre a Palazzo Grassi) ha voluto un titolo che è già un invito all’unità: Ensemble, insieme. O ancora come Pierre Huyghe che con Liminal (in corso a Punta della Dogana) ha trasformat­o in una sequenza di installazi­oni artistiche affascinan­ti il suo profondo e costante desiderio di superare i confini. Ma il loro racconto è solo l’ultimo tassello di un mosaico che ho iniziato a comporre quando sono arrivato a Villa Medici, all’Accademia di Francia a Roma: un’Accademia creata nel 1666 da Luigi XIV che doveva sin dagli inizi accogliere giovani artisti nominati dal re per dare loro la possibilit­à di accrescere la formazione grazie al contatto con Roma e l’Italia, un modo per imparare guardando gli altri (e magari, come avrebbe voluto Luigi XIV, anche per superarli). Con il passare del tempo mi sono sempre più convinto (e i miei anni successivi al Centre Pompidou me lo hanno confermato) che ogni tipo di legame culturale-artistico è inevitabil­mente utile e che mettere al bando Dostoevski­j o Tolstoj solo perché russi non ha senso, perché la loro è un’opera che appartiene a tutti, è un’opera universale. L’artista non ha più paura di confrontar­si con i grandi problemi, adottando un approccio inedito verso la realtà da cui potrebbero arrivare nuove possibili soluzioni. Prima di molti politici, gli artisti sembrano avere compreso che l’arte può essere utile per avvicinare gli estremi.

Proprio inseguendo questa idea il Centre Pompidou ha inaugurato (nel 2010) la sua sede sorella a Metz, cittadina europea per eccellenza per la sua posizione in Francia tra Germania, Belgio e Lussemburg­o. Un’esperienza che dimostra, con il suo successo, che questa è la strada giusta. Ma bisogna avere umiltà, bisogna volere annullare ogni idea di superiorit­à, bisogna avere voglia di capire. Solo così l’arte potrà anche (davvero) salvare il mondo.

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