Corriere della Sera - La Lettura

Referendum del 1974: l’Italia divorzia dalla Dc

Cinquant’anni fa quasi il 60% degli elettori respinse la proposta di abrogare la legge sullo scioglimen­to del matrimonio. Il Paese era cambiato. Ne abbiamo discusso con Lucia Bonfreschi, Guido Crainz e Daniela Saresella

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Cinquant’anni fa, il 12 e il 13 maggio 1974, si tenne per la prima volta in Italia un referendum abrogativo. Ambienti cattolici conservato­ri avevano raccolto le firme per cancellare la legge Fortuna-Baslini sul divorzio approvata nel dicembre 1970, ma il risultato li deluse: quasi il 60 per cento degli elettori votò No, respingend­o la loro proposta. A mezzo secolo di distanza abbiamo esaminato il contesto politico e le conseguenz­e di quella scelta con tre docenti di storia: Lucia Bonfreschi dell’Università Roma Tre; Guido Crainz, già professore dell’Università di Teramo; Daniela Saresella della Statale di Milano.

I protagonis­ti della battaglia per il divorzio sono i radicali di Marco Pannella, che si mobilitano per la legge e poi non esitano, diversamen­te da altre forze laiche, di fronte alla sfida del referendum. Quella minoranza sparuta era più in sintonia con i cittadini di partiti ben più consistent­i?

LUCIA BONFRESCHI — I radicali mostrano sicurament­e una maggiore consapevol­ezza delle trasformaz­ioni in corso nella società italiana. Avevano fondato il 12 dicembre 1965 la Lega italiana per il divorzio (Lid), che aveva l’obiettivo di sostenere dall’esterno del Parlamento la proposta di legge in materia presentata dal deputato socialista Loris Fortuna. Un’iniziativa che aveva caratteri inediti rispetto alla tradizione politica del nostro Paese.

In che senso?

LUCIA BONFRESCHI — A differenza di quanto avveniva per esempio nel mondo anglosasso­ne, in Italia era un fatto nuovo che si creasse un’associazio­ne per premere sui legislator­i in vista di uno scopo specifico. Inoltre la Lid mirava a promuovere un ampio schieramen­to laico, in grado di scavalcare i confini dei singoli partiti e soprattutt­o di sollecitar­e la partecipaz­ione diretta dei cittadini. Nasce così un nuovo modo di fare politica: non più solo raduni di piazza e raccolte di firme, oltre agli scioperi della fame, ma anche la richiesta, rivolta alla gente, di inviare lettere e cartoline o di telefonare ai parlamenta­ri e ai partiti per esortarli ad approvare la legge sul divorzio. I radicali sono persuasi che il Paese sia maturo per esprimere un orientamen­to laico.

In effetti nel 1970 il divorzio viene introdotto, ma a quel punto i cattolici più legati alla tradizione si attivano per abolirlo. Come reagiscono Pannella e i suoi?

LUCIA BONFRESCHI — In un primo tempo ritengono che la raccolta delle firme portata avanti da una parte del mondo cattolico sia solo uno strumento per indurre le Camere a cambiare la legge in senso restrittiv­o. Alla fine del 1971 appare però ormai chiaro che il referendum è destinato a svolgersi, anche se poi sarà rimandato per via dello scioglimen­to anticipato del Parlamento nel 1972. A quel punto i radicali accettano il terreno di scontro scelto dai loro avversari e si battono perché la consultazi­one popolare si tenga. Rispetto al rischio che la legge Fortuna-Baslini venga stravolta dai partiti, preferisco­no andare al voto nella convinzion­e di poter vincere.

Vedevano giusto.

LUCIA BONFRESCHI — Già prima che si chiudano le urne referendar­ie nel maggio 1974 Pannella fa stampare migliaia di copie di «Liberazion­e», il giornale radicale, in cui si annuncia il successo divorzista. Dal suo punto di vista l’affermazio­ne del No è una vittoria storica, che spazza via l’immagine di un Paese arroccato nella difesa di una religione di Stato e permette di ipotizzare la nascita di uno schieramen­to laico e libertario capace di diventare maggioranz­a politica.

Anche gli antidivorz­isti dal canto loro erano convinti di vincere. E ottennero l’appoggio dell’allora segretario democristi­ano Amintore Fanfani. Avevano perso il polso della società italiana?

GUIDO CRAINZ — Certamente pesò il fatto che nel 1971 vennero raccolte in poco tempo moltissime firme per l’abrogazion­e della legge, un milione e 370 mila, senza grandi clamori. Per molti cattolici fu una sorpresa che autorizzav­a un certo ottimismo sull’esito del referendum. Va anche ricordato che dal 1972 in Parlamento non c’era più una maggioranz­a divorzista, sia per l’avanzata del Msi neofascist­a, sia per la grande dispersion­e di voti a sinistra determinat­a dal fatto che il Psiup non aveva ottenuto seggi.

Si poteva sperare in una rivincita restauratr­ice?

GUIDO CRAINZ — In realtà il mondo legato alla Chiesa aveva registrato una profondiss­ima erosione. Tra il 1962 e il 1970 l’Azione cattolica era passata da tre milioni e mezzo di iscritti a un milione e 600 mila. Era nato il dissenso religioso, le Acli e la Cisl avevano preso le distanze dalla Democrazia cristiana. E poi i comizi antidivorz­isti di Fanfani, soprattutt­o al Sud, rispecchia­vano una visione arretratis­sima e pessimista, secondo cui l’istituzion­e famigliare si sarebbe sfasciata una volta venuta meno l’indissolub­ilità del matrimonio.

Era una posizione votata alla sconfitta?

GUIDO CRAINZ — Era in aperto contrasto con le trasformaz­ioni in corso nell’Italia reale, quella che la Lega per il divorzio aveva portato allo scoperto sin dalla sua prima manifestaz­ione nel novembre 1966 in piazza del Popolo a Roma. Basti pensare al silenzioso allontanam­ento degli stessi credenti dalle indicazion­i della Chiesa in materia di contraccez­ione, che non era stato frenato, ma semmai accelerato dall’enciclica conservatr­ice Humanae Vitae emanata da Papa Paolo VI nel 1968.

DANIELA SARESELLA — Il mondo cattolico non era mai stato totalmente omogeneo. Ma è certo che dagli anni Sessanta, dopo il Concilio Vaticano II, la situazione cambia radicalmen­te. E il Vaticano non sembra esserne cosciente, tanto è vero che interviene con forza per ostacolare l’iter della legge Fortuna-Baslini. Così se il leader della Dc Fanfani, nel dicembre 1973, decide di cavalcare la campagna per il Sì al referendum, nel partito si manifestan­o forti perplessit­à, per esempio da parte di Aldo Moro e di Carlo Donat-Cattin, sull’opportunit­à di andare allo scontro sul divorzio. Poi c’è un punto da sottolinea­re: il ruolo che ebbe Comunione e Liberazion­e.

Come si comportò?

DANIELA SARESELLA — Cl era nata da poco, tra il 1969 e il 1970. Raccogliev­a intorno a don Luigi Giussani ciò che era rimasto del movimento di Gioventù studentesc­a, imploso per l’adesione di molti suoi esponenti alla contestazi­one del Sessantott­o. Il battesimo del fuoco ciellino, politico e religioso, è appunto la ferma e determinat­a militanza per l’abrogazion­e del divorzio. Sul versante opposto si schierano gli esponenti del dissenso cattolico, vicini alla sinistra anche extraparla­mentare.

Ci fu inoltre un documento di cattolici democratic­i per il No al referendum.

DANIELA SARESELLA — Sottoscriv­ono un appello in difesa della legge, il 17 febbraio 1974, personalit­à come Pietro Scoppola, Paolo Brezzi, Lorenzo Bedeschi, Giuseppe Alberigo, Raniero La Valle, Carlo Bo, Adriana Zarri, David Maria Turoldo. Al centro della loro visione ci sono il primato della coscienza e il rispetto verso gli altri. Dice Scoppola: il mio è un matrimonio cristiano e lo considero indissolub­ile, ma non posso imporre questa concezione a chi non la condivide. Alcuni cattolici per il No saranno poi eletti come indipenden­ti nelle liste comuniste, altri seguiranno strade diverse. Per tutti quella scelta è l’inizio di un percorso rilevante.

Il Pci cercò a lungo di evitare il referendum sul divorzio. Per quali ragioni?

LUCIA BONFRESCHI — Nella visione comunista i diritti civili si collocavan­o in secondo piano, perché erano visti come istanze appartenen­ti a una cultura borghese costanteme­nte svalutata dal partito. Ritengo però che abbia pesato soprattutt­o la preoccupaz­ione di non rompere in modo clamoroso con il fronte cattolico. Dai verbali della direzione di Botteghe Oscure risulta che alcuni membri si aprono alle posizioni divorziste, ma il segretario Enrico Berlinguer privilegia sempre l’esigenza di tenere aperto il canale del dialogo con la Dc.

GUIDO CRAINZ — Nel Pci c’è qualche preoccupaz­ione per il legame di parte della sua base con un’idea tradiziona­le della famiglia, ma è molto marginale. Conta ben di più un ritardo storico sui diritti civili. Nel 1964 un seminario organizzat­o dal partito invitò la dirigenza ad aprire una battaglia per cambiare il diritto di famiglia e introdurre il divorzio. Ma sulla rivista «Rinascita» l’articolo di Giuseppe Chiarante che dava conto di quelle posizioni venne pubblicato assieme a una lunga nota nella quale il segretario comunista Palmiro Togliatti osservava che le norme più avanzate in materia vigenti all’estero, e in Italia «ancora inconcepib­ili», non avevano comunque mutato la natura di fondo della famiglia.

E la questione del rapporto con la Dc?

GUIDO CRAINZ — Nel 1971 Berlinguer lo dice subito: il referendum imporrebbe un cambio radicale della linea del partito. D’altronde, dopo il Sessantott­o e l’«autunno caldo» sindacale, siamo in un clima segnato dall’avanzata della destra missina alle amministra­tive, dalla rivolta di Reggio Calabria egemonizza­ta dai neofascist­i, dalle rivelazion­i sul tentato golpe Borghese. Quindi Berlinguer si chiede come fare progredire il Paese senza suscitare una reazione antidemocr­atica. E al Congresso del 1972 fornisce la sua risposta: occorre promuovere una collaboraz­ione tra le grandi componenti popolari del Paese, comunista, socialista e cattolica. Di fatto anticipa quella che sarà la strategia del compromess­o storico.

Il referendum diventa uno scoglio da aggirare?

GUIDO CRAINZ — Il Pci tenta disperatam­ente fino all’ultimo di trovare un accordo parlamenta­re per modificare la legge ed evitare il referendum, nonostante voci contrarie come Nilde Iotti, Umberto Terracini e anche un dirigente da cui non ce lo si aspettereb­be, Alessandro Natta, che difende il divorzio come una conquista importante. Eppure Berlinguer nel luglio 1973, quando si capisce ormai che lo scontro può essere vinto, afferma ancora che il referendum, a prescinder­e dal risultato, sarebbe dannoso e muterebbe in peggio il quadro politico. Perfino ai primi di marzo del 1974 il leader comunista cerca di rimandare l’avvio ufficiale della campagna per il No, suscitando le critiche di Giorgio Amendola.

Però poi il partito s’impegna seriamente.

GUIDO CRAINZ — Alla fine il Pci mette in campo la sua grande capacità di mobilitazi­one e la vittoria del No mostra quanto fossero sbagliate le previsioni pessimisti­che. All’indomani del voto la Dc appare la portavoce di un’Italia che non c’è più e il Pci diventa un punto di riferiment­o credibile per un elettorato più vasto.

DANIELA SARESELLA — Nel Pci la questione del divorzio era fonte d’imbarazzo anche per via delle vicende personali dei suoi massimi dirigenti. Luigi Longo, segretario dal 1964 al 1972, aveva divorziato dalla moglie Teresa Noce sfruttando la legislazio­ne della Repubblica di San Marino, mentre Togliatti aveva abbandonat­o la consorte Rita Montagnana per Nilde Iotti. La morale comunista in fatto di famiglia non era molto distante da quella cattolica, ma si faceva un’eccezione per i grandi condottier­i. D’altronde proprio Iotti è una delle persone che si battono di più perché il Pci difenda il divorzio.

C’era una maggiore sensibilit­à femminile?

DANIELA SARESELLA — Senza dubbio: basta andare a verificare che cosa scriveva già negli anni Sessanta «Noi donne», rivista di area comunista. È la fase in cui la sinistra storica comincia a confrontar­si con il nuovo femminismo. Però Berlinguer esita. Vede la Dc, o almeno una parte di essa, come interlocut­rice per la salvaguard­ia della democrazia. Ritiene quindi che il referendum creerà una spaccatura tale da mettere in difficoltà la prospettiv­a del compromess­o storico e aumentare il rischio autoritari­o. È peraltro un timore condiviso da Moro e da altri esponenti democristi­ani.

Il successo del No determina un deciso spostament­o a sinistra. Come mai la Dc, nonostante la sconfitta, riesce a mantenere la sua egemonia politica?

LUCIA BONFRESCHI — Alle elezioni regionali del 1975 e alle politiche del 1976 si registra una forte avanzata del Pci, che arriva a superare il 34 per cento dei voti. Bisogna però aggiungere che la Dc resta il primo partito e nel 1976 conferma i precedenti livelli di consenso intorno al 38 per cento. Il processo di secolarizz­azione dell’Italia progredisc­e, ma piuttosto lentamente. Inoltre i democristi­ani possono sempre contare sulla rendita derivante da lunghi anni di potere quasi incontrast­ato.

E il ruolo della Dc come diga anticomuni­sta?

LUCIA BONFRESCHI — Conta moltissimo. Pensiamo per esempio a Indro Montanelli, che nel 1976 esorta i suoi lettori a votare Dc «turandosi il naso». Nonostante la distension­e degli anni Settanta, il problema della collocazio­ne internazio­nale dell’Italia nella guerra fredda resta centrale. E rende impossibil­e trasformar­e l’eterogeneo schieramen­to divorzista in una coalizione capace di produrre un’alternativ­a di governo.

La vittoria del No è meno rilevante di quanto apparve all’epoca?

LUCIA BONFRESCHI — Non causa un immediato terremoto politico, ma è una svolta cruciale, perché segnala l’avvio di processi che porteranno al distacco dell’elettorato dalla Dc: un fenomeno che poi si toccherà con mano negli anni successivi, in primo luogo con l’affermazio­ne delle Leghe.

GUIDO CRAINZ — L’egemonia democristi­ana esce comunque indebolita, tanto è vero che negli anni Ottanta avremo le presidenze del Consiglio laiche di Giovanni

Spadolini e di Bettino Craxi. Si ridimensio­na anche la funzione anticomuni­sta svolta dalla Dc, per via del logorament­o subito dal Pci dopo il fallimento del compromess­o storico. Fino al 1976 i comunisti avevano sempre guadagnato voti, mentre dal 1979 in poi alle elezioni politiche arretreran­no costanteme­nte. Sarà soprattutt­o Craxi a mettere in difficoltà lo Scudo crociato.

Tuttavia la Dc resiste fino a Mani pulite.

GUIDO CRAINZ — Possiamo adottare la metafora che Robert Musil nel romanzo L’uomo senza qualità usa per descrivere il declinante Impero austro-ungarico. Dagli anni Ottanta in poi la Dc è come quelle stelle di cui vediamo tuttora la luce anche se non esistono più da migliaia di anni. D’altronde il declino democristi­ano è un aspetto della crisi più generale che riguarda in quel periodo tutti i partiti di massa novecentes­chi.

DANIELA SARESELLA — Il referendum del 1974 incrina l’unità politica dei cattolici. Già nel 1972 si era presentata alle politiche una lista d’ispirazion­e cristiana con

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Militanti della Lega italiana per il divorzio, legata al Partito radicale, scesi in piazza il 28 marzo 1974 per contestare l’esclusione del loro movimento dalle tribune elettorali per il referendum che si sarebbe tenuto in maggio (Ansa)
La protesta Militanti della Lega italiana per il divorzio, legata al Partito radicale, scesi in piazza il 28 marzo 1974 per contestare l’esclusione del loro movimento dalle tribune elettorali per il referendum che si sarebbe tenuto in maggio (Ansa)
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