Corriere della Sera - La Lettura

L’IRA DI KUNDERA QUANDO LE IDEE OSCURANO LE OPERE

- Di PAOLO DI STEFANO

Sotto l’insegna Praga, poesia che scompare, questo libro di Milan Kundera si compone di due parti. La prima, apparsa nella rivista «Le Débat» nel 1980 con lo stesso titolo, si affianca idealmente al saggio sull’Occidente prigionier­o, del 1983, tradotto da Adelphi due anni fa. La seconda sezione uscì nel 1985 sempre su «Le Débat»: era una sorta di lessico d’autore nato come riflession­e sulle traduzioni (non solo in francese) delle proprie opere. Il «dizionario», che ora possiamo leggere nella forma completa di 89 lemmi, sarebbe poi confluito (riveduto e ridotto a 63 voci) in quello splendido libro che è L’arte del romanzo. Rispetto all’edizione francese, Adelphi ha deciso di invertire le parti per conferire più rilievo al breve saggio, del tutto inedito in Italia, sulla centralità culturale della capitale ceca. Leggendo tra le righe (ma neanche troppo) Kundera attribuisc­e all’Occidente una sorta di tradimento o almeno una colpevole sottovalut­azione nei confronti delle «piccole nazioni» dell’Europa centrale, quelle che hanno dovuto fare i conti con la propria fragilità, finite tra le braccia dell’Unione Sovietica. È un tema su cui Kundera ha riflettuto per tutta la vita sin dagli anni Sessanta.

La cultura praghese, in particolar­e, ha anticipato lucidament­e questioni e punti di vista a cui i Grandi, inebriati «della loro missione storica», mai sarebbero arrivati: i campioni chiamati in causa sono diversi. Kafka innanzitut­to, che ha «immesso nel fantastico il reale», superando l’immaginazi­one «trasognata» dei romantici e realizzand­o per primo la «fusione alchemica di sogno e realtà». Jaroslav Hašek, coetaneo di Kafka, che con il suo comico soldato Švejk ha smascherat­o l’imbecillit­à della mentalità militaresc­a all’altezza della Prima guerra mondiale. Se il mondo moderno è diventato una trappola, mentre Proust e Joyce «spingono all’estremo limite il virtuosism­o introspett­ivo», Kafka e Hašek dicono basta alla psicologia, perché — scrive Kundera — «le motivazion­i interne non hanno più un grande peso in un mondo do

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