Corriere della Sera - La Lettura

Cagé & Piketty Salvate le campagne

- Dal nostro corrispond­ente a Parigi STEFANO MONTEFIORI

Nello studio di Julia Cagé, a Sciences Po, l’economista e il collega e marito Thomas Piketty accolgono «la Lettura» per parlare di Una storia del conflitto politico (La nave di Teseo), volume di quasi 900 pagine scritto a quattro mani. A dieci anni dal bestseller mondiale di Piketty Il capitale nel XXI secolo, a sinistra si torna a guardare al mondo attraverso il prisma della lotta di classe. Anzi, della «geoclasse»: l’analisi dei flussi elettorali francesi degli ultimi due secoli suggerisce agli autori che l’antica contrappos­izione tra destra e sinistra, data per morta da Emmanuel Macron, è più viva che mai. Si è trasformat­a, aggiornata e associata a una spaccatura tra città e campagna che è possibile, anzi doveroso, superare.

Come avete fatto a incrociare voto e territori dalla Rivoluzion­e francese a oggi?

JULIA CAGÉ — C’è voluto qualche anno. Volevamo capire chi vota per chi, e perché, partendo da un approccio storico. In Francia si vota dal 1789, è una tra le più antiche democrazie del mondo, e ci sono 36 mila comuni, più del totale dei comuni di tutti gli altri Paesi dell’Unione Europea. Io e Thomas ci siamo detti che avremmo potuto usare questa enorme massa di dati, conservati negli Archivi nazionali, e incrociarl­a con le caratteris­tiche dei comuni per capire il comportame­nto alle urne. Abbiamo digitalizz­ato i dati e li abbiamo messi su internet, a disposizio­ne di tutti. Poi abbiamo ripercorso la storia elettorale per raggruppar­e tutti i candidati per grandi aree politiche, consultand­o la stampa dell’epoca.

Sembra un’impresa gigantesca, avete usato molti collaborat­ori?

JULIA CAGÉ— Sì, ma in gran parte lo abbiamo fatto noi due. Abbiamo avuto finanziame­nti pubblici ed europei, specie per digitalizz­are i dati. Ma molte cose abbiamo preferito non delegarle ad altri. Per fortuna eravamo entrambi piuttosto maniacali nel consultare la stampa dell’epoca.

Ma è possibile applicare le stesse etichette politiche nello spazio di oltre due secoli? E che cosa avete scoperto?

THOMAS PIKETTY — Nelle etichette e nel posizionam­ento politico ci sono trasformaz­ioni, ma anche molte regolarità. Il risultato forse più interessan­te delle nostre ricerche è che ritroviamo nelle elezioni di oggi una divisione elettorale tra voto rurale e voto urbano che non si osservava dall’Ottocento, quando grosso modo il voto popolare urbano era per i partiti socialisti, operai, radicali, e quello popolare rurale andava agli esponenti conservato­ri, talvolta monarchici. Nel corso del XX secolo questo clivage urbano/rurale si è molto attenuato, ma è tornato negli ultimi anni.

Siamo quindi alla vigilia di nuove trasformaz­ioni politiche?

THOMAS PIKETTY — È il messaggio ottimista del libro, almeno per chi come noi ha una prospettiv­a di sinistra. Oggi il mondo rurale e quello urbano sono divisi a causa di problemi socio-economici, che però possono essere risolti da corrispond­enti politiche socio-economiche. Non crediamo che dietro queste divisioni nel voto popolare ci siano conflitti identitari irrisolvib­ili. Introducia­mo la nuova nozione di «geoclasse».

Che cos’è la geoclasse ?

JULIA CAGÉ —È un modo per incrociare le diseguagli­anze sociali con quelle territoria­li. È interessan­te rileggere cosa diceva Karl Marx a metà Ottocento, quando parlava dell’elettore di campagna come di una specie di contadinot­to tra il patetico e il ridicolo, ossessiona­to dalla piccola proprietà privata. Per lui gli interessi dei contadini e degli operai sono inconcilia­bili, e del resto pensa che i contadini siano destinati a sparire dalla storia. La geoclasse parla di questa rinnovata separazion­e, che però è superabile.

La sinistra ha abbandonat­o il mondo rurale, seguendo Marx?

THOMAS PIKETTY — Almeno una parte della sinistra ha considerat­o il mondo rurale come irrecupera­bile: sono dei reazionari che fanno barbecue, non c’è niente da fare, sono sempre stati e saranno sempre così. Non è vero. C’è stato un momento in cui, per esempio durante l’era Mitterrand, lo snodo destra/sinistra ha quasi cancellato quello rurale/urbano e le classi popolari di entrambi i mondi erano convinte che ciò che le univa era più importante di ciò che le divideva. Potrebbe essere di nuovo così.

E qui torniamo alla questione dell’Europa.

JULIA CAGÉ — È centrale, se la sinistra vuole provare a riconquist­are le classi che si sentono abbandonat­e. Io e Thomas siamo europeisti convinti, ma dobbiamo essere più esigenti nei confronti delle istituzion­i europee. Servirebbe attuare un’altra politica, protezioni­sta e redistribu­tiva insieme. Le persone che si comprano una maglietta a un euro o a 5 euro non sono responsabi­li del riscaldame­nto climatico e delle ingiustizi­e planetarie, non possono permetters­i una maglietta da 50 euro perché c’è un problema di inflazione e di potere d’acquisto. E sappiamo bene che, se mettiamo misure protezioni­stiche alle frontiere, queste magliette costeranno di più. Certo, possiamo sempre dire che bisogna consumare meno e riciclare meglio. È vero, ma le persone preferisco­no farlo quando non sono obbligate. Se manca un messaggio chiaro di redistribu­zione, le classi popolari non potranno fare affidament­o sul fatto che i salari più bassi verranno alzati, e che verrà fatta una tassazione progressiv­a tale da permettere loro di prendere con una mano quel che viene tolto dall’altra. Se facciamo protezioni­smo alle frontiere, le casse dello Stato si riempirann­o in modo da rendere possibile una certa redistribu­zione.

THOMAS PIKETTY — Noi siamo assolutame­nte a favore dell’integrazio­ne europea, ci rivendichi­amo come social-federalist­i. Ma osserviamo che finora siamo andati troppo avanti nella de-industrial­izzazione e nell’assenza di protezione sociale, i cittadini sono stati

La coppia (anche nella vita) di economisti ha esaminato i risultati elettorali in tutta la Francia dal 1789 e ha concluso che la frattura politica tra mondo rurale e città di oggi è reversibil­e. Ecco perché ha formulato una nuova categoria, la «geoclasse», che incrocia disuguagli­anze sociali e territoria­li: «Europa e sinistra hanno sbagliato»

lasciati soli davanti al dumping ambientale e fiscale. Fintanto che resterà la regola dell’unanimità, le misure di protezione per le persone saranno sempre insufficie­nti. E allora alcuni Paesi dovranno avere il coraggio di andare avanti da soli, con misure unilateral­i, se vogliono parlare di nuovo alle classi popolari.

Anche nelle questioni ambientali?

THOMAS PIKETTY — Credo che il mondo urbano dovrebbe smetterla di dare la colpa al mondo rurale. A inquinare non sono tanto gli abitanti dei piccoli centri che devono prendere l’auto per andare a scuola o al lavoro, ma le classi privilegia­te che abitano nelle grandi città e prendono l’aereo per il weekend.

Negli ultimi anni si è parlato moltissimo di battaglia delle idee, di valori culturali, di questioni post-materialis­te, di identità, dal matrimonio degli omosessual­i all’utero in affitto. Dalla

vostra analisi, sembra che per voi questi temi siano sopravvalu­tati, e che contino di più le tradiziona­li categorie socio-economiche, materialis­te. È così?

JULIA CAGÉ — La nostra ricerca dimostra che le questioni identitari­e e migratorie in realtà hanno perso di importanza negli ultimi anni. Non sono determinan­ti. L’elettorato rurale che oggi vota per Marine Le Pen, da un punto di vista struttural­e, socio-economico, assomiglia a quello urbano che vota per la sinistra.

Su quali temi, per esempio?

JULIA CAGÉ — Le zone con pochi medici, un tema molto sentit0 in Francia. La Creuse, zona rurale, periferica, isolata, e la Seine-Saint-Denis, alle porte di Parigi, hanno gli stessi interessi e problemi quanto a servizio sanitario e scuola pubblica. È sbagliato pensare che da una parte ci siano elettori rurali brutti e cattivi che sarebbero fondamenta­lmente razzisti, e bravi elettori urbani che chiedono solo giustizia sociale. Le preoccupaz­ioni sono comuni, e quindi le risposte politiche potrebbero essere comuni. La sinistra, la parte politica che ci sta a cuore anche se non abbiamo tessere di partito e non siamo militanti, potrebbe riconquist­are quell’elettorato rurale molto più facilmente di quanto creda.

THOMAS PIKETTY — Le classi sociali, anzi geosociali, votano soprattutt­o in base a divisioni materiali, che poi a forza di essere trascurate possono diventare anche culturali. Ma il nocciolo sono le questioni materiali, che arrivano a spiegare il 70 per cento delle differenze di voto tra i comuni. Se tu abiti in una piccola cittadina e hai l’impression­e che il mondo urbano disprezzi la tua auto famigliare e la tua piccola casa con giardino, il tuo status di operaio rispetto all’impiegato, questo finisce per diventare una differenza culturale, identitari­a. Ma alla radice ci sono le questioni dell’alloggio, del trasporto, del lavoro, dell’accesso alla proprietà, al servizio sanitario e all’educazione superiore. La sinistra deve affrontare queste differenze materiali e abbandonar­e quella sufficienz­a verso il mondo rurale che aveva già Marx nel 1848.

JULIA CAGÉ — Prendiamo il mariage pour tous, le nozze aperte agli omosessual­i con la legge del 2012, o il dibattito attuale sulla Gpa (la maternità surrogata). Non è che il mondo rurale sia contro e quello urbano a favore. Ma se in certe zone della Francia mancano i medici e gli ospedali per partorire, e si parla solo della Gpa, chi abita lontano dalle città può avere l’impression­e che il dibattito ignori le sue preoccupaz­ioni primarie. Diventa una questione culturale, quando invece il punto vero che interessa tutti è l’accesso al servizio sanitario. Questo è stata il dramma di François Hollande all’Eliseo.

Siete molto severi con la sinistra liberale di Hollande.

THOMAS PIKETTY — Perché è stato artefice di quella politica di austerità europea, condotta assieme alla Germania, che ha fatto precipitar­e l’Europa in reces

sione. Poi, certo, ha fatto il mariage pour tous che non costava niente, una misura simbolica di sinistra, positiva, ovvio. Ma come diceva Julia, non ci sono medici, non ci sono reparti di maternità, non ci sono scuole, ma ecco, facciamo il mariage pour tous. Da questo punto di vista è stato catastrofi­co.

Poi è arrivato Macron e la fine, secondo voi provvisori­a, del «clivage» destra-sinistra.

JULIA CAGÉ — Il primo macronismo si è venduto come un superament­o della distinzion­e destra/sinistra, e come il centro in una tripartizi­one della scena politica. Ma il bipolarism­o sta tornando, perché di fatto il macronismo si è spostato a destra e sta ricostitue­ndo una grande alleanza tra centro, destra ed estrema destra. Molte leggi ormai vengono votate assieme dai macronisti, dalla destra gollista dei Républicai­ns e dall’estrema destra del Rassemblem­ent national.

THOMAS PIKETTY — E il ritorno a un bipolarism­o destra-sinistra secondo noi è auspicabil­e, perché solo in questo modo possiamo avere alternanze politiche chiare. Io e Julia votiamo più a sinistra che a destra, ma siamo soprattutt­o militanti dell’alternanza democratic­a tra destra e sinistra. La tripartizi­one instaurata da Macron impedisce l’alternanza. Si propone come il club della ragione contrappos­to agli eccessi delle ali estreme, e questo è molto nocivo per la democrazia.

Le dinamiche che avete rilevato in Francia sono all’opera anche nel resto d’Europa?

JULIA CAGÉ — È in Europa che la sinistra deve avere il coraggio di associare un nuovo protezioni­smo, come del resto fanno Cina e Stati Uniti, alla redistribu­zione. Oggi il problema della sinistra è che non contesta abbastanza l’attuale status quo europeo. È il tallone di Achille di un europeista di sinistra come Raphaël Glucksmann, per esempio. François Ruffin ci sembra più critico, senza per questo auspicare una Frexit. Nella prospettiv­a della corsa all’Eliseo del 2027, alcuni sondaggi danno Ruffin molto ben piazzato. Non siamo suoi militanti, ma è uno dei politici di sinistra che si muovono meglio sulla base delle geoclassi, territorio per territorio, industria per industria, e che è più esigente nei confronti delle istituzion­i europee.

THOMAS PIKETTY — La nostra ricerche mostra che le linee di faglia politiche in Francia e in Europa si ri-definiscon­o di continuo. Tutto quello che sembra acquisito non lo è, e la questione sociale torna sempre di attualità. Non siamo in grado di predire il futuro in Italia o in Francia, ma quel che possiamo dire ai nostri potenziali lettori è che la situazione è in movimento, e che il miglior modo di prepararsi alle trasformaz­ioni del futuro è tornare a leggere la storia.

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