Corriere della Sera - La Lettura
Le vostre orecchie vedono gli Hobbit
Massimo Popolizio ha letto «La Compagnia dell’Anello», prima parte della saga di J. R. R. Tolkien (l’intero cofanetto entro l’anno). Niente suoni, solo voce: «Il mio compito è creare immagini, surfando tra la fantasia dello scrittore e la mia»
Certo, Tolkien è un maestro nella descrizione: «Gli Hobbit indossavano vesti di colori vivaci, con una predilezione per il giallo e il verde; ma di rado portavano scarpe perché avevano i piedi dalla pianta dura come cuoio e ricoperti di peli folti e ricci, proprio come i capelli, di solito castani». Però provate a chiudere gli occhi, e allora la voce — profonda, calda — di Massimo Popolizio vi farà vedere anche le sfumature delle casacche, la scorza di quei piedoni, gli occhi vispi delle allegre e ospitali creature che abitano la Terra di Mezzo. L’attore e regista ha letto per Bompiani Il Signore degli Anelli (nella traduzione di Ottavio Fatica). A «la Lettura» spiega il senso di questa operazione: «Il mio compito è creare immagini. Devo farvi vedere con le orecchie».
Frodo, Sam, Meriadoc, Peregrino, Gandalf, Legolas, Gimli, Aragorn, Boromir: ecco i leggendari componenti della Compagnia dell’Anello, la prima parte della saga, disponibile dal 7 maggio su Audible e le altre piattaforme (l’intera «audiotrilogia» sarà pronta entro l’anno). Sono personaggi amatissimi, eroi di un fantasy che ha stregato generazioni, sedotto cineasti e scrittori (Albus Silente di Harry Potter si ispira a Gandalf), «anche se i nomi dei protagonisti — precisa Popolizio — assomigliano tanto a quelli dei medicinali». Non è certo un problema per uno che ha letto Pastorale americana di Philip Roth, «e una principale si diramava in quaranta subordinate...». Anzi, rispetto a certi romanzi Il Signore degli Anelli è semplice da seguire, «ma gli scambi sono veloci, bisogna variare tono a seconda di chi parla, significa che devi essere versatile e veloce mantenendo il filo del discorso. Insomma, devi mostrare quello che succede». Personaggio preferito? «Il tempo. Tolkien sa usare i flashback come pochi. Ma anche il clima». Il più difficile da interpretare? «Frodo, perché è normale e quindi più complesso da rendere, serve leggerezza». E le donne (poche)? Come si rendono? «Non ne puoi fare una parodia, devi essere sempre credibile, quando leggi devi “indicare” ogni personaggio con la voce. Attenzione però: il passo da “indicazione” a caratterizzazione è strettissimo».
Potere di una voce. Di una carriera brillantissima — premi Ubu, Nastri d’argento, Ciak d’oro — che salta tranquillamente dal teatro (recitato e diretto) al cinema al doppiaggio. E di una tecnica speciale che ha a che fare con il surf: «Sei chiuso per ore a leggere in una stanzetta di due metri per due e però stai correndo in un bosco, poi sei in mezzo alle rupi, in un torrente, e allora devi usare l’immaginazione dell’autore e la tua per surfare nel racconto. No, non è difficilissimo, ma come diceva un amico, ci vuole gente pratica. E un buon fonico». Popolizio ha letto La Compagnia dell’Anello per quattrocinque ore al giorno in circa venti giorni
Attore, regista, doppiatore, Massimo Popolizio (a destra, foto di Riccardo La Valle) è nato a Genova il 4 luglio 1963. Ha esordito a teatro nel 1984 in Santa Giovanna di Luca Ronconi L’appuntamento
di
consecutivi di lavoro. Il risultato, «pulito»: ventidue ore e quarantacinque minuti di audiolibro.
Leggere Tolkien e scoprirne la sconfinata maestria, la capacità di costruire mondi, il ritmo. Quel talento fantasy tipico degli autori inglesi che Popolizio conosce bene visto che ha doppiato anche il cattivissimo Lord Voldemort nella saga cinematografica di Harry Potter. «I britannici hanno nel Dna questo genere di scrittura. Anche la lingua li aiuta. Invece quando noi ci lanciamo nelle fiction fantasy — con qualche attore romano, un torinese, un altro di Napoli — c’è da mettersi le mani nei capelli, facciamo ridere, e infatti l’unico testo che per noi italiani abbia un senso è Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile, che richiama una radice popolare forte. Poi loro, gli inglesi dico, hanno un faro, William Shakespeare. E una solida predisposizione teatrale». Requisiti per un successo globale. «Mi è chiaro il perché ci sia, intorno al romanzo, tutto questo movimento. No, non dico politico (il riferimento è all’enorme seguito che Tolkien ha nella destra italiana, a partire dalla premier Giorgia Meloni, ndr). Ma probabilmente oggi si sente il bisogno di saghe, di qualcosa in cui perdersi. Capisco quel tipo di fascinazione».
Non sentirete porte che sbattono, tuoni, cavalli al galoppo nella Compagnia dell’Anello letta da Popolizio. E nemmeno basi musicali, accompagnamenti ritmici, «quella è un’altra cosa, è una sceneggiatura radiofonica». No. Qui c’è solo la voce. Che, naturalmente, precisa lui, «non potrà mai sostituire un attore sul palco», ma che tiene insieme capacità, sudore, affabulazione, «altrimenti sei uno speaker della televisione». E il risultato è un viaggio fantastico dentro un romanzo che vale la pena di «vedere con le orecchie», leggere attraverso la voce altrui. Per emozionarsi se non lo si conosce. Per stupirsi se lo si è già letto: «Perché solo ascoltandolo recitato, come una fiaba da bambini, scatta un meccanismo che fa scoprire aspetti nuovi, cogliere sfumature sfuggite a una prima lettura». Voce sola. E pathos. «Se togli la partecipazione e fai una cosa neutra, significa che l’ascoltatore è neutro». Il segreto: «La disponibilità a narrare. E l’uso della voce: la bella voce è quella che ti fa capire un piano, un pianissimo, un fortissimo...».
Altra questione il doppiaggio. «È un fatto tecnico. E anche il migliore sarà sempre inferiore all’originale, per quanto rinomata sia la scuola italiana». Obiezione: scusi Popolizio, lei ha prestato la voce a Tom Cruise in Eyes Wide Shut, a Kenneth Branagh in Hamlet, a Tim Roth in La leggenda del pianista sull’oceano... «Ma il lavoro lo hanno fatto loro!». Quindi meglio leggere libri? «Sì. Poi ti capita di doppiare i grandi e da loro impari, penso ad Harvey Keitel, un mito. Ma mica succede sempre». Aneddoto: «Per Eyes Wide Shut spedirono la maschera dall’Inghilterra: pretendevano che per doppiare la indossassi, come nell’originale, non vi dico come reagì il fonico. Alla fine non la usammo. Dal punto di vista artigianale noi italiani siamo bravissimi».