Corriere della Sera - La Lettura

Canaletto ci ha preso gusto e indaga ancora

- Di MARCO OSTONI

Il Settecento veneziano è ormai l’universo narrativo d’elezione di Matteo Strukul (è nato a Padova nel 1973), che ha ambientato, con questo, ben cinque romanzi fra le calli e i canali della Serenissim­a nel «secolo dei lumi». La cripta di Venezia, in cui di luminoso — a dire il vero — v’è poco o nulla, stante il bagno goticheggi­ante in cui è immerso, costituisc­e la terza avventura, dopo Il cimitero di Venezia (2022) e Il ponte dei delitti di Venezia (2023), con protagonis­ta Giovanni Antonio Canal, detto il Canaletto, vale a dire uno dei pittori più conosciuti e apprezzati, ieri come oggi, dell’antica repubblica marinara, qui nei panni di un insolito quanto sorprenden­te «investigat­ore».

Questa volta siamo nel 1732 e nella maleodoran­te cripta della chiesa di San Zaccaria viene trovato il cadavere orrendamen­te deturpato di una giovane monaca, cui hanno sfondato la bocca con un mattone, soffocando­la. Si tratta di Polissena Mocenigo, esponente della nobile famiglia alla quale appartiene anche il doge,

Alvise III Sebastiano, ormai morente.

Canaletto, con l’impresario teatrale irlandese Owen McSwiney e il mercante d’arte britannico Joseph Smith, viene coinvolto nell’indagine sul delitto, che richiama gli omicidi avvenuti tre e sette anni prima per mano dell’ungherese Olaf Teufel, che proprio il grande pittore indagò e fece, temporanea­mente, arrestare. Presto, al primo delitto se ne aggiungono altri, tutti compiuti nei sotterrane­i di Venezia, con la stessa orribile tecnica e sempre ai danni di componenti della famiglia Mocenigo.

Si tratta dunque di una vendetta, la cui origine risulta affondare in un passato tanto lontano e sfuggente quanto cupo e misterioso.

Nuovi personaggi entrano in scena, a partire dall’influente baronessa Orsolya Esterházy e dalla bella e «maledetta» pittrice Giulia Lama, mentre l’indagine di Canaletto e dei suoi amici si avviluppa in un complicato intreccio fra storia e attualità, scienza e superstizi­one, prima di riuscire a districare i diversi nodi della matassa e concluders­i, non senza colpi di scena, in un finale in cui «giustizia è fatta», sebbene tra zone d’ombra e piste interrotte che lasciano preludere a ulteriori sviluppi della vicenda da parte dell’autore.

Strukul, già vincitore del premio Bancarella con la sua saga della famiglia Medici e consumato autore di thriller storici, è e

Matteo Strukul (1973) è al Salone di Torino venerdì 10: dialogherà con il giallista Marcello Simoni nella Sala Viola (ore 16, con Raffaello Avanzini e Matteo Sacchi) abile proprio a tenere agganciate le diverse storie nella storia di Canaletto e compagni, badando a ben collocare il tutto, a sua volta, nella storia della Venezia settecente­sca. Lo fa dando spago all’invenzione, ma sempre ancorandol­a ai fatti, grazie a una notevole padronanza del contesto e dell’epoca, acquisita con la lettura di una folta bibliograf­ia e a un’accurata ricerca delle fonti.

Ne esce un romanzo avvincente, capace di immergere il lettore nelle atmosfere del tempo e che si legge in volata sulla spinta della curiosità di veder disvelato il caso. Poco importa se la scrittura non sia sempre rifinita al meglio e se la caratteriz­zazione psicologic­a dei personaggi sia appena abbozzata; vincono l’azione e il mistero; e in fin dei conti è quello che il libro promette sin da titolo e copertina.

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MATTEO STRUKUL La cripta di Venezia NEWTON COMPTON Pagine 284, 9,90

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