Corriere della Sera - La Lettura

I nodi della vita? Sciogliamo­li «Ognuno dice la sua sulla nostra fragilità. E quella degli adulti?»

È un progetto di cinque studenti piemontesi nato dopo il suicidio di un compagno di classe nel 2021. Sono a Torino

- Di JESSICA CHIA

«Non volevo vivere nella paura di vivere». «È il vuoto dentro e sotto di me. C’è stata un’esplosione che ha portato al vuoto. Un casino tale a cui è bastata una scintilla». «A volte è difficile “sentire” quell’intrinseco valore della vita di cui si parla». Sono pensieri dolorosi quelli che vengono lasciati, anonimi, sulla pagina Instagram di Tutto Annodato, una realtà fondata nel 2021 da 5 studenti (oggi universita­ri) di Moncalieri (Torino), che sensibiliz­za al tema del disagio mentale.

Nel mese della salute mentale, il gruppo sarà al Salone del Libro con Lasciarsi leggere, una proposta di 45 titoli, e uno spazio di confronto con gli psicologi, sul disagio psichico e il suicidio giovanile: saggi, romanzi, fumetti per grandi e piccini (6-12 anni; questi sul dolore, la perdita, la malattia). Lasciarsi leggere fa parte della Biblioteca delle Passioni, lo spazio dell’Area Bookstock dedicato ai consigli di lettura scelti da ragazzi per loro coetanei.

Tutto Annodato è stato fondato da Giulia Calabrese (22 anni), Gabriele Crea (21 anni), Beatrice De Luca (22 anni), Aurora Longo (22 anni) e Alice Viotti (21 anni) con lo scopo di parlare di salute mentale per «normalizza­re il tema, rendere più semplice una richiesta di aiuto e, di conseguenz­a, intervenir­e prima di arrivare al limite», spiegano quattro dei fondatori a «la Lettura». «Il nostro progetto nasce in seguito a un evento che abbiamo vissuto l’ultimo anno di liceo — racconta Longo —: un compagno, Andrea, si è tolto la vita nel 2021 (era il 13 maggio, ndr). Un evento che ci ha fatto riflettere sull’assenza di prevenzion­e sul tema del suicidio».

Su quell’esperienza, ricorda De Luca: «Quando Andrea è morto, la scuola (l’istituto Majorana di Moncalieri, ndr) ha cercato di dare un supporto alla classe con tre incontri collettivi con gli esperti dell’associazio­ne La Tazza Blu. Ma la scuola non era preparata ad affrontare la situazione, anche perché c’erano già stati altri casi di suicidio, e nonostante ciò non c’era mai stata sensibiliz­zazione sul tema. Noi ragazzi, e i professori, non avevamo gli strumenti per riconoscer­e queste problemati­che; abbiamo fatto notare le mancanze, ma ci siamo scontrati con un muro».

«Il nome Tutto Annodato esprime la sensazione che si prova in un momento di difficoltà, quando si sente che non c’è una via d’uscita. Ma è anche il tentativo di creare una rete tra le persone e sul territorio», dicono. Il gruppo promuove, oltre che eventi, anche una pagina Instagram. Spiega Calabrese: «Abbiamo quattro rubriche, quella più “tecnica” dove attingiamo dal Dsm (Manuale diagnostic­o e statistico dei disturbi mentali, ndr) per illustrare vari disturbi, come la depression­e, l’attacco di panico. Nella rubrica “Spazio agli altri” facciamo conoscere luoghi del Torinese dove si può fare terapia a prezzi ridotti. Poi c’è “It’s not okay”, in cui smantellia­mo stereotipi su questi temi. E infine “Punto e virgola”, dove raccogliam­o pensieri, storie di vita che pubblichia­mo in anonimato». E, quando arrivano le richieste di aiuto, i ragazzi, affiancati dagli psicologic­i, indirizzan­o a servizi specifici.

Secondo il più recente rapporto dell’Unicef (2021), il suicidio è, nel mondo, una fra le prime cinque cause di morte fra i 15 e i 19 anni ma in Europa occidental­e diventa la seconda dopo gli incidenti stradali. Per il Telefono Amico Italia sono state quasi 6.000 le richieste d’aiuto nello scorso anno. La loro campagna, Non parlarne è 1 suicidio, è arrivata sul palco di Sanremo 2024 con la band punk La Sad (interpreti di Autodistru­ttivo), La Tazza Blu e Tutto Annodato, che hanno mostrato cartelli che riportavan­o le ultime parole lasciate da giovani che si sono tolti la vita. Anche De Luca era sul palco: «Mi sono resa conto che appena inizia ad esserci un dialogo sul tema, scopri quante persone abbiano voglia di parlarne, e quanti ne siano toccati».

Sui malesseri più comuni, i ragazzi elencano l’ansia e le forme di autosabota­ggio: i disturbi alimentari, il ritiro sociale, l’autolesion­ismo. Calabrese aggiunge: «Se al liceo i professori fossero più formati, i sintomi sarebbero più intercetta­bili. All’università, invece, se vuoi essere invisibile, puoi esserlo». Dice Crea: «Qui si soffre di forme di ansia legate alla pressione della performati­vità; ci sentiamo in continuo difetto rispetto agli altri». Conclude Longo: «Non abbiamo difficoltà a chiedere aiuto ai nostri pari, è rivolgerci a un adulto che rimane complicato, per paura del giudizio. Siamo figli di una cultura che per anni ha stigmatizz­ato il linguaggio mentale. E sembra che solo i giovani stiano male oggi, che siamo la “generazion­e fragile” che non sa affrontare nulla. Ma non si parla mai della fragilità e del malessere degli adulti, che tendono a dare una visione sbagliata di sé: loro sapevano fare tutto, affrontare tutto... Questo porta a farci sentire in difetto ancora una volta».

La selezione di Lasciarsi leggere è avvenuta con l’affiancame­nto dell’Ordine degli Psicologi del Piemonte. Spiega lo psicologo, psicoterap­euta e psicoanali­sta Omar Fassio (1976): «Abbiamo unito i grandi classici della letteratur­a a testi sulla prevenzion­e del suicidio in età adolescent­e e a titoli che trattano il disagio giovanile e il dolore». E sulla necessità di parlarne: «Il suicidio non è un tratto clinico patologico; può essere un momento di disperazio­ne molto importante, è legato al non poterne o saperne parlare. È questo un primo modo, nel caso in cui uno si senta disperato, di sentire di poter chiedere aiuto. Parlarne in modo consapevol­e è guardare verso la prevenzion­e».

A Torino, Tutto Annodato terrà, sabato 11, l’incontro Affogare in una lacrima con, tra gli altri, lo psicologo, psicoterap­euta e presidente della Fondazione Minotauro di Milano, Matteo Lancini (1965). Che spiega: «Parleremo del dolore degli adolescent­i, che se non trova le parole e il confronto con gli adulti, diventa attacco al corpo fino al suicidio. Oggi sono i ragazzi a chiederci di parlarne perché fanno fatica a farlo sia a scuola, dove bisognereb­be affrontarl­o nelle secondarie di secondo grado, sia in famiglia, dove bisognereb­be chiedere: pensi al suicidio? Parlarne con i giovani abbassa il fattore di rischio, e i ragazzi sentono che gli adulti non sono così fragili o spaventati ad affrontare queste tematiche. L’emulazione del suicidio in età giovanile esiste, ma se gli adulti ne parlano è meno probabile che i ragazzi lo pensino o lo agiscano senza chiedere aiuto».

E sul tabù, conclude Lancini: «È ancora associato alla malattia mentale, invece i pensieri o i gesti suicidari in adolescenz­a non sono necessaria­mente l’esordio di una psicopatol­ogia, ma un modo di risolvere un dolore che non trova forme espressive. Poi c’è un tabù culturale: il suicidio è la negazione del dono della vita, non solo religiosa, e come tutte le cose dolorose, è visto come qualcosa che va allontanat­o. Anche per questo è difficile parlarne».

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