Corriere della Sera - La Lettura
La riscossa del vocabolario per il mondo
gua teutonica, quantomeno perché sconfitto nella strenua lotta con l’accusativo: «Non l’ho ancora espugnato, e ci sono altri tre casi. Del resto della grammatica mi occuperò con calma, in una prossima vita», scrive nel libretto su La terribile lingua tedesca tradotto in Italia da Quodlibet. Per chi non si sia mai cimentato nel suo studio, il tedesco gode ancora oggi di questa nomea da sfatare.
Intanto la pronuncia non è così complicata. Una volta acquisite le — poche — regole fonetiche, e cioè come funziona la Umlaut (i due puntini che trasformano le vocali a,o e u), come suonano i dittonghi ei e eu, e come si pronunciano i gruppi consonantici tsch e dsch (le nostre c e g dolci) è fatta. Molto più facile e più simile all’italiano la pronuncia tedesca di una corretta pronuncia inglese. Quanto alle regole di grammatica, non sono un ostacolo ma un incredibile aiuto! La posizione delle parole nelle frasi, le cuciture delle frasi nel periodo, la punteggiatura, la flessione di nomi e aggettivi (i casi che atterrivano Mark Twain) sono inequivocabili, eindeutig: hanno un solo significato. Molto più ambiguo e arduo da interpretare l’italiano. È vero che in tedesco, lingua agglutinante, ci sono parole lunghissime, delizia per il londinese Ben Schott che ne fece un’occasione di felicità, di Schottenfreude, appunto, («la gioia di Schott», è il titolo del suo libretto tradotto qualche anno fa da Bompiani), perché capaci di inventare metafore nuove, metafore vive, concetti mai verbalizzati prima con tanta efficacia. Il Guinness dei primati registra sì parole tedesche lunghe fino a 83 lettere: celeberrima quella che nomina «il bottone dell’uniforme di un capitano di navigazione sulle imbarcazioni circolanti nel Danubio» (non la trascriviamo in originale per non lasciare anche i lettori silenziosi senza fiato), va detto però che è considerato inelegante formare parole composte da più di tre lemmi. Per quel che riguarda la ventilata antipatia è ahinoi collegata a quel retrogusto militare che a ottant’anni dall’ultimo conflitto mondiale qualcuno nel tedesco ancora avverte. Un’eco che si è prestata a caricature felicissime, a loro volta datate: dal discorso del Grande dittatore di Charlie Chaplin, alla parlata dello scienziato nazista di Stanley Kubrick ne Il dottor Stranamore, ai personaggi di Sturmtruppen.
Italia-Germania: amiken o nemiken? Semplici conoscenti
Italiani e tedeschi non sono nemici e in realtà sono ben più che semplici conoscenti, come suonava la parola d’ordinen dei soldatini del fumetto di Bonvi. Le relazioni tra Italia e Germania sono strette dal punto di vista di storia, cultura, migrazione, turismo. Di più: il tedesco è una lingua nazionale nel nostro Paese, parlato non solo, come è noto, in Südtirol, ovvero l’Alto Adige, ovvero la provincia autonoma di Bolzano dov’è la lingua madre per il 70% degli abitanti, bensì anche in quell’arcipelago di isole linguistiche dove si nutre da radici antichissime, si esprime nei discorsi e nei lessici familiari, si conserva nella memoria di una lingua tutelata come storica e minoritaria. Si intendono gli idiomi derivanti dalle parlate dei bavari e degli alemanni penetrati at
Lo
traverso le Alpi in Veneto, Trentino, Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia: la lingua cimbra, l’idioma walser, la lingua móchena e di Sappada, il saurano, la lingua della Val Canale o del Timau, tutte di origine medievale. Non è filologia né folclore, ma la spia macroscopica degli effetti di una profonda vicinanza geografica e culturale. Tra l’altro, per chi il tedesco lo impara come lingua straniera — ed è la terza grande branca di germanofoni in Italia dopo i madrelingua altoatesini e i parlanti nei suddetti contesti insulari — ne è attratto proprio da una parentela annodata nella storia e, oggi più che mai, dall’incontestabile centralità economica della Germania in Europa.
Tocca fornire qualche dato, il minimo indispensabile per argomentare. In Italia il tedesco non è la lingua più studiata, ma si posiziona bene come quarta dopo l’inglese il francese e lo spagnolo. Gli italiani rappresentano però la più numerosa comunità studentesca in Germania, destinazione favorita per i soggiorni studenteschi e i programmi di scambi accademici. I tedeschi, da parte loro, rappresentano il 60%, ovvero la maggioranza dei turisti in Italia. Non è la lingua principale della comunità scientifica — anche le facoltà tecniche preferiscono convertire i propri corsi in inglese — ma è studiata da ben 400 mila studenti delle superiori e scelta come prima o seconda lingua di specializzazione da 20 mila studenti universitari. Le oltre 300 imprese italiane a partecipazione tedesca e con filiali in Germania e le 2 mila aziende a capitale tedesco con filiali in Italia fanno del tedesco una lingua di importanza cruciale nel mondo del lavoro.
Mondo globale e mondo letterario
In una prospettiva globale il tedesco è parlato come prima lingua da circa 90 milioni di persone essendo lingua ufficiale in Germania, Austria, Svizzera, Lussemburgo, Liechtenstein e, in un contesto di bi- o plurilinguismo, tra le lingue ufficiali di Italia, Belgio e Polonia. È inoltre parlata da circa 30 mila persone in Namibia, ex colonia tedesca nell’Africa australe, ed è tutelata come minoranza linguistica in Danimarca e in Francia. Se è vero che il destino storico di una lingua è deciso dalla forza geopolitica del Paese che la parla, va tenuto conto che la Germania è la terza potenza economica mondiale e la seconda nelle comunicazioni sul web con 8 milioni di domini internet. Sono dati che a prima vista danno più rilievo all’impiego pratico, applicativo della lingua che alle sue espressioni nell’ambito dei saperi umanistici. Ma la lingua, si sa, è cosa viva, e le diverse sfaccettature che presenta non vanno prese per compartimenti rigidi e separati l’uno dall’altro.
Sotto un profilo strettamente letterario è interessante ricordare che tra i 14 premi Nobel per la letteratura di lingua tedesca, dal primo, il tedesco Theodor Mommsen, all’ultimo, l’austriaco Peter Handke, che da oltre trent’anni vive in Francia, ci sono due svizzeri, Carl Spitteler e Hermann Hesse (tedesco di nascita naturalizzato elvetico), un bulgaro, Elias Canetti, e una romena, Hertha Müller. E che a una comunità minoritaria di lingua tedesca — parlante un tedesco purissimo, cristallino, musicale, intatto da influssi dialettali — dell’allora Cecoslovacchia, appartennero due tra gli autori più grandi d’Europa e del mondo: Rainer Maria Rilke e Franz Kafka, il quale, in occasione del centenario della morte, sarà al centro di vari incontri torinesi, per esempio con il suo biografo Reiner Stach.
Dei numerosi scrittori di lingua tedesca presenti a Torino, molti provengono da contesti plurilinguistici, multiculturali, migratori. Come la tedesco-armena Laura Cwiertnia (presentata dall’editore Mar dei Sargassi), la russa Julya Rabinowich (Besa Muci edizioni), la berlinese nativa di Tel Aviv Shelly Kupferberg (Keller) o la berlinese nativa di Kiev, Katja Petrowskaja (Adelphi). Da segnalare l’iracheno rifugiato in Svizzera Usama Al Shahmani (Marcos y Marcos) e la figlia di esuli iraniani in Germania, Shida Bazyar (Fandango; a fianco un suo testo). L’idioma ha insomma sfumature varie e delicatissime, una diffusione ampia come e più di quella che potrebbero coprire le ali della fragile farfalla di Goethe.