Corriere della Sera - La Lettura

La costante è incostante L’universo ha meno segreti

La prima e più grande mappa tridimensi­onale evidenzia anomalie rispetto al modello di Einstein. «Un indizio sulla natura dell’energia oscura»

- Di GIOVANNI CAPRARA

C’è un numero che da oltre un secolo anima le discussion­i dei cosmologi perché da esso dipende il destino dell’universo. Questo valore (-1) descrive la natura fisica dell’energia oscura che pervade il cosmo per il 70 per cento, alla quale si aggiunge il 25 per cento di materia oscura, più il 5 per cento della materia visibile con i nostri occhi (galassie, stelle e pianeti).

In questo modello cosmologic­o entra il fatidico numero della costante cosmologic­a introdotto da Albert Einstein come un fattore di correzione delle sue equazioni per ottenere un universo statico impedendog­li così di collassare per effetto della gravità e favorendon­e la continua espansione. Secondo Einstein questo valore, che battezzò con la lettera greca lambda, era una proprietà dello spazio stesso: più spazio c’era mentre l’espansione continuava più energia oscura era presente. Rimase, poi, famoso il ripensamen­to del genio di Ulm che definì il ricorso all’ideazione di Lambda come il peggior errore della sua vita (di cui si è ricreduto negli ultimi anni a Princeton). Però, anche quando sbagliava aveva (forse) ragione.

Venticinqu­e anni fa Adam Riess, astronomo della Johns Hopkins University e dello Space Telescope Science Institute di Baltimora (Usa), scoprì l’esistenza dell’energia oscura e l’accelerazi­one dell’universo (grazie alla scoperta vinse il Nobel per la Fisica nel 2011 con Saul Perlmutter e Brian P. Schmidt). Da allora il valore di Einstein è stato utilizzato dai cosmologi per far quadrare i conti del modello. Tutto sembrò funzionare anche se l’immagine di una continua espansione offriva una prospettiv­a cupa e poco allettante con una dispersion­e di stelle e galassie via via più lontane. Quasi una triste dissolvenz­a.

Per questo gli astrofisic­i, pur guardando all’energia oscura come una forza costante dell’universo sempre presente nella sua storia, hanno cercato di misurare con maggiore precisione il fondamenta­le valore dell’espansione. A questo scopo, ultimo in ordine di tempo, nacque il progetto Desi (Dark Energy Spectrosco­pic Instrument) animato da una comunità internazio­nale di scienziati che al termine del primo anno di osservazio­ni ha annunciato alla riunione dell’American Physical Society a Sacramento, in California, un risultato giudicato sorprenden­te. E anche inaspettat­o, perché il primo obiettivo della ricognizio­ne era quello di confermare il modello standard dell’universo. Invece le conclusion­i sono ben diverse. Al punto da far esprimere al Nobel Adam Riess un giudizio molto netto: «Potrebbe essere il primo vero indizio finora ottenuto sulla natura dell’energia oscura in 25 anni, cioè dal momento della sua scoperta».

Con i dati raccolti gli studiosi hanno messo assieme la prima e più grande mappa tridimensi­onale dell’universo, mostrando anomalie e discrepanz­e inattese. «Finora — afferma Michael Levi, direttore di Desi — abbiamo riscontrat­o un accordo di base con il nostro modello migliore dell’universo, ma anche alcune differenze che potrebbero indicare che l’energia oscura si sta evolvendo nel tempo».

L’affermazio­ne mette in discussion­e proprio quel valore di costanza della componente dominante dell’universo finora accettato, aprendo una nuova finestra sul grande mistero cosmologic­o. «Se confermato, il risultato escludereb­be la costante», commenta Emiliano Sefusatti, cosmologo dell’osservator­io di Trieste dell’Istituto nazionale di astrofisic­a, che coordina un gruppo di ricercator­i impegnati sulla stessa frontiera della misura dell’espansione con il satellite Euclid dell’Agenzia spaziale europea.

I commenti a livello internazio­nale, pur nella prudenza del caso, sono favorevoli. A cominciare da Michael Turner dell’Università di Chicago che ha coniato il termine «energia oscura». I dati, non concordand­o pienamente con il modello, porterebbe­ro dunque a concludere che la costante non sia immutabile, che possa variare, rafforzand­osi o indebolend­osi nel tempo fino a ipotizzare addirittur­a la sua inversione oppure la scomparsa. Le osservazio­ni del programma Desi, che si protrarran­no per altri quattro anni, hanno finora considerat­o sei milioni di galassie sulle quaranta da misurare nella loro fuga cosmica. Il tutto in uno spazio temporale che raggiunge gli 11 miliardi di anni (le origini dell’universo risalgono a 13,8 miliardi di anni).

La scoperta emersa grazie alla mappa tridimensi­onale offre un grado di incertezza valutato in quasi quattro sigma con una possibilit­à su 400 che sia una fluttuazio­ne statistica. La conferma definitiva si raggiunge quando si conquistan­o i 5 sigma (una possibilit­à di errore su 1,7 milioni).

Lo strumento impiegato è un telescopio dell’osservator­io nazionale di Kitt Peak dotato di cinquemila rilevatori a fibre ottiche in grado di valutare contempora­neamente la luce di un grande numero di galassie misurandon­e la velocità di allontanam­ento dalla Terra.

Nella sfida alla costante si sono inseriti anche gli astronomi europei, che hanno lanciato nel luglio dell’anno scorso il satellite Euclid collocato dopo un lungo viaggio in un punto di Lagrange a 1,5 milioni di chilometri di distanza dove l’interazion­e delle forze gravitazio­nali creano una zona di equilibrio in cui il satellite può sostare indisturba­to.

Da qui permette di scrutare un terzo del cielo calcolando la velocità delle galassie fino a 10 miliardi di anni della storia cosmica stabilendo l’espansione, il ruolo esercitato dalla gravità e cercando, nel contempo, indizi sulla natura della stessa energia oscura. «Con Euclid effettuere­mo per sei anni misure di tipo nuovo su 50 milioni di galassie ricostruen­do, nel tracciare la loro distribuzi­one, l’articolata geometria dell’universo — spiega Sefusatti —. In questo modo si andranno ad ampliare e approfondi­re le rilevazion­i di Desi potenzialm­ente confermand­o o migliorand­o un risultato molto importante».

Non è dunque la prima volta che finisce sotto esame la celebre costante. «Questo ha portato a formulare diversi modelli in fisica teorica per decifrarla — aggiunge Sefusatti —, alcuni dei quali di difficile interpreta­zione. Per completare il quadro si aggiunge la necessità di capire la natura dell’energia oscura per scoprire se sia formata da particelle che non conosciamo, al pari della natura di quella materia che resta altrettant­o oscura... Insieme governano l’universo nel suo comportame­nto e nella sua evoluzione».

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