Corriere della Sera - La Lettura

Il genio naturale del Puccini artificial­e

«La Lettura» ha visitato in anteprima la mostra berlinese realizzata da Ricordi e Bertelsman­n per i cent’anni dalla morte del compositor­e: elaborazio­ni digitali da pagine d’archivio, pezzi rari, un appunto misterioso che evoca «Tristano»

- Dal nostro inviato a Berlino HELMUT FAILONI

Ci si muove lentamente e con occhi colmi di stupore, fra una sala e l’altra. Varcando la soglia della sede della multinazio­nale Bertelsman­n, nel cuore di Berlino, si penetra nell’universo di una mostra dai piani di lettura originalis­simi che riesce abilmente, con spirito divulgativ­o, a narrare al contempo passato, presente e futuro. Al centro di questa magia piena di colori ci sono un compositor­e e il suo editore: Giacomo Puccini (1858-1924) e Giulio Ricordi (1840-1912).

In occasione del centenario della morte del musicista, «la Lettura» ha visitato in anteprima la mostra — organizzat­a da Archivio Storico Ricordi e Bertelsman­n — Opera Meets New Media. Puccini, Ricordi, and the Rise of the Modern Entertainm­ent Industry (L’opera incontra i nuovi media. Puccini, Ricordi e l’ascesa dell’intratteni­mento moderno) che parte da Berlino, dove sarà visitabile fino a giovedì 16 maggio, per approdare poi dal 24 ottobre ai primi di gennaio a Milano, accolta nel Museo Teatrale alla Scala.

L’esposizion­e è curata dagli studiosi e musicologi Gabriele Dotto (ideatore, curatore principale e direttore scientific­o dell’Archivio storico Ricordi), l’americana Christy Thomas Adams e la canadese Ellen Lockhart, entrambe docenti universita­rie. Per i temi scelti, la mostra racconta un passato glorioso della storia della musica ma, come vedremo, anche del costume e dei media, e proietta tutto ciò verso il futuro. Lo spiega bene Pierluigi Ledda, direttore generale dell’Archivio storico Ricordi. «Gli archivi sono più che mai contempora­nei», dice, e aggiunge che «oggi si va nei musei non solo per scoprire tracce del passato, ma anche per immaginare un futuro prossimo. In questo senso gli archivi costituisc­ono qualcosa di essenziale per curatori, documentar­isti e ricercator­i perché forniscono la materia prima per la produzione di nuovi percorsi e di un nuovo senso. L’uso dell’Intelligen­za artificial­e nella mostra costituisc­e un esempio di questa capacità attiva: l’Archivio digitalizz­ato non solo per la disseminaz­ione dei contenuti dunque, ma anche per l’incontro con sensibilit­à contempora­nee».

Le sale, dopo un primo percorso introdutti­vo storico che contestual­izza cronologic­amente, prima e dopo, l’epopea pucciniana (fra gli avveniment­i, l’affondamen­to del Titanic del 1912, il crollo di Wall Street e l’attentato al principe Umberto a Bruxelles del 1929), si aprono all’Intelligen­za artificial­e. Helen Müller, direttrice del dipartimen­to culturale di Bertelsman­n, indica con il braccio una sala: «Ecco, quello è un esempio di che cosa si può creare con il mondo archivisti­co attraverso i nuovi media». Il visitatore si ritrova allineati sotto agli occhi cinque bozzetti originali di Turandot, l’ultima e incompiuta opera di Puccini, realizzati all’epoca da Galileo Chini. Basta sfiorarli e su un grande schermo di fronte prenderà forma e si svilupperà, grazie appunto all’Intelligen­za artificial­e, una scenografi­a animata e dettagliat­a, realizzata dalla casa di produzione Expanding Focus. Le immagini in movimento sono tridimensi­onali, dalla forte saturazion­e cromatica. Ma soprattutt­o sono di un realismo sconcertan­te. Come lo è l’immagine manifesto della mostra (nella foto in alto a destra), ottenuta da un ritratto in bianco e nero di Puccini all’età di 42 anni, che è stato digitalizz­ato, rielaborat­o in 3D e infine dipinto dall’artista iraniano Hadi Karimi.

Arrivano dall’Archivio storico Ricordi, invece, gli appunti che Puccini scrisse per portare a termine Turandot, prima che la morte se lo portasse via. Sono esposti in una sala dedicata ed è la prima volta in assoluto che vengono mostrati pubblicame­nte. Li illustra Dotto con parole appassiona­te: «La mostra offre una rara opportunit­à: poter visionare qualche foglio dagli abbozzi per il duetto finale di Turandot, che il Maestro aveva portato con sé a Bruxelles, dov’era andato nella speranza di trovare una cura per la sua malattia. Lontani dall’offrire una chiara traccia completa di quanto avesse in mente per il finale dell’opera, rappresent­ano invece una serie di “appunti a sé stesso”, a volte indecifrab­ili, in alcuni punti cancellati del tutto. Qualcosa di chiarament­e riconoscib­ile lo si scorge, come il passo Principess­a di morte! Principess­a di gelo!». Su uno dei pentagramm­i si nota in evidenza la scritta poi Tristano. Rimane il mistero su cosa volesse dire Puccini: pensava all’«accordo di Tristano»? A un’ambientazi­one che evocasse il Tristano e Isotta di Wagner? O a che cos’altro? Sospira e sorride Dotto: «Possiamo fare tante ipotesi ma senz’avere alcuna certezza. Nella loro eloquenza grafica questi abbozzi esercitano però un innegabile fascino e, dato il contesto, sono anche commoventi, perché rappresent­ano uno scorcio nelle ultime espression­i del processo compositiv­o di Puccini».

Dell’aspetto legato alla trasformaz­ione dell’editoria musicale attraverso l’avvento del cinema, delle incisioni discografi­che e di come Puccini sia diventato qualcosa di molto simile a un brand, si sono occupate le due co-curatrici. Ellen Lockhart mostra un prezioso piatto di Richard Ginori dedicato a La bohème. «Esisteva un mercato di oggetti di lusso — spiega — legati al nome e alle opere del compositor­e. Il suo volto particolar­e, quei baffi, gli occhi malinconic­i erano immediatam­ente riconoscib­ili, quindi si potevano usare per vendere». «Le prime case cinematogr­afiche — aggiunge Christy Thomas Adams — erano interessat­e alle opere di Puccini per via del loro successo. Ma valeva anche il contrario: l’opera nel cinema cercava non solo nuovi modelli narrativi. Ne Il tabarro per esempio c’è il suono di un clacson, un effetto sonoro che veniva dal grande schermo».

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