Corriere della Sera - La Lettura
Il Cechov di Stein in una crisi di nervi
Il grande regista tedesco porta in prima nazionale al Menotti di Milano i tre «Atti unici» del drammaturgo russo «Il grottesco fa parte della trama, ma il metodo deve essere realistico altrimenti è noioso e non ha spessore psicologico»
Il regista
I demoni
Aproposito degli Atti unici che Anton Cechov scrisse tra il 1884 e il 1891, Fausto Malcovati — docente universitario, traduttore, saggista, uno fra i massimi esperti in Italia di letteratura e teatro russo — parla di «testi che Cechov stesso chiamava “sciocchezzuole”, li componeva con la mano sinistra. Non diede grande importanza a questi lavori, pensando che sarebbero stati rappresentati solo in provincia, mai nella capitale». Ma non fu così, anzi: questi piccoli testi ebbero grande successo anche a Pietroburgo e a Mosca. Arrivò a dire che se avesse scritto solo vaudeville sarebbe diventato ricco. Cechov nobilita la banalità del quotidiano e gioca con i suoi protagonisti. Gli Atti unici sono piccoli lampi di genialità drammaturgica che fanno intravvedere le scintille di quella rivoluzione teatrale che esploderà con Il gabbiano, Zio Vanja, Tre sorelle e Il giardino dei ciliegi.
Un grande regista internazionale, Peter Stein, ha deciso di portare in scena, con una solida, bella compagnia (la stessa che nel 2014 portò al successo con Il ritorno a casa, crudo testo di Harold Pinter), al Teatro Menotti di Milano, dal 23 maggio al 9 giugno, Crisi di nervi. Tre atti unici di Anton Cechov e precisamente: L’orso con Maddalena Crippa, Sergio Basile e Alessandro Sampaoli; I danni del tabacco, con Gianluigi Fogacci; La domanda di matrimonio, con Alessandro Averone, Sergio Basile ed Emilia Scatigno.
Peter Stein, con le sue regie di rara profondità nell’analisi del testo, precisione e filologia, ha proposto spettacoli memorabili, messe in scena trasgressive e innovative di testi classici e moderni. Grande esperto di Cechov, ha segnato con la sua espressività la storia del teatro. È stato anche alla guida della Schaubühne am Halleschen, il principale teatro di prosa di Berlino Ovest, dal 1970 al 1985, fondando un collettivo basato sul principio della cogestione con un gruppo di giovani registi e attori.
Un regista che certamente non potrà presentare se non una linea di lettura originale, forte, chiara, filologica. «Dopo l’insuccesso di Platonov — racconta Stein — Cechov disse basta. Giurò di non scrivere mai più per il teatro soltanto, al massimo vaudeville, e così ci ha regalato una serie di atti unici che alla fine sono diventati per lui un campo d’esercizio per scrivere i grandi testi. L’allestimento che portiamo in scena ha un prima ragione: gli attori volevano stare insieme e fare un’altra produzione. Così ho proposto questi tre atti unici, L’orso, I danni del tabacco e La domanda di matrimonio, in modo che tutti e sei gli attori possano recitare qualcosa. Ho certamente una grande esperienza con Cechov. Ho fatto quasi tutte le sue commedie, ho portato a Mosca al Teatro d’Arte la mia produzione di Tre sorelle e mi hanno premiato come “miglior regista” di Cechov. Negli Atti unici — prosegue il regista, 86 anni — abbiamo usato il grottesco e la violenza ma, dall’altro lato, abbiamo usato la psicologia interna dei personaggi».
Personaggi complessi? «Hanno una struttura! Sono violenti, sì — sottolinea Stein — ma anche molteplici. Nel primo, L’orso, c’è uno che ha un bisogno disperato di soldi, il giorno dopo sarà espropriato. Va dalla sua debitrice per riscuotere alcune cambiali. Lei lo offende, lui la sfida a duello, per chiederle poi in ginocchio di sposarlo. Tutto questo è rischioso ovviamente, perché è molto vaudeville. Ne I danni del tabacco, un presunto oratore deve tenere una conferenza sugli effetti negativi del tabacco ma finisce col confessare che è totalmente infelice, la moglie lo tortura da 33 anni, lui detesta tutto, vuole fuggire dal mondo e avere pace nella morte. È tragico ma sembra un pezzo comico! Nell’ultimo atto, c’è uno che vuole sposarsi, deve farlo adesso perché la società lo vuole! Incontra la donna ma litigano. Si sposano ma ancora litigano e si picchiano! Alla fine, la coppia diventa una coppia che si picchia».
La regia si muoverà tra il grottesco e lo psicologico. Osserva Stein: «Cechov, anche se scrive situazioni paradossali e farsesche, è sempre molto intenso. È impossibile farlo senza immedesimazione, altrimenti diventa completamente idiota. È necessario che gli attori si mettano dentro e sentano e pensino esattamente quello che dicono: “Io voglio morire”, “Io voglio battermi in duello”. Il contenuto umano, enorme, in questi atti unici si perde se si fa vaudeville. Uno che vive 33 anni e, alla fine della vita, si sente un idiota totale, vuole andare via, vuole perdersi nel deserto, deve essere giustificato sul palcoscenico! Anche sfidare a duello una donna deve essere credibile, altrimenti è noioso! Nella proposta di matrimonio, i due contendenti che devono sposarsi litigano in continuazione e continueranno; questo è molto comune! Vogliono stare insieme ma litigano dalla mattina alla sera. E tutto ciò deve essere trasmesso al pubblico in maniera credibile, altrimenti non funziona. Per questo ho chiamato questa piccola collezione Crisi di nervi, perché i nervi sono quasi spezzati in ogni pezzo a causa dei diversi problemi raccontati. Il grottesco fa parte della trama, ma il metodo deve essere realistico altrimenti il contesto non viene fuori. Il grottesco, dopo pochi minuti, è noioso perché è ripetitivo e non ha contenuto psicologico».
Una lettura registica che si annuncia affascinante. I costumi, creati da Anna Maria Heinreich, saranno d’epoca; la scena, di Ferdinand Woegerbauer, semplice: tre muri, quasi niente. Ma c’è, c’è la parola e in essa c’è il racconto di quello che siamo, le nostre emozioni, la nostra storia.