Corriere della Sera - La Lettura
Netflix fa dei briganti un mito romantico (ma con le idee di oggi)
Al di là degli anacronismi la fiction riporta all’attenzione una delle vicende più controverse dell’Italia moderna. Nel Mezzogiorno dopo il 1860 si combattè una dura guerra civile che terminò con il consolidamento dello Stato unitario
Briganti:
Le immagini (Vikings) (Milosc). (Baby),
Carmine Pinto (Padula, Salerno, 1972), docente di Storia contemporanea all’Università di Salerno, ha curato di recente i saggi Soldati e briganti. Biografie, pratiche, immaginari tra Sette e Ottocento e Il brigante e il generale e La guerra per il Mezzogiorno (2019) per Laterza e Carlo Pisacane (Rubbettino, 2016)
Ibriganti sono tornati. In questo caso, grazie a una serie televisiva lanciata da Netflix. Siamo negli anni dell’unificazione nazionale. Lo scenario, i costumi, i luoghi propongono una ricostruzione ambientale della guerra nel Mezzogiorno. Invece le azioni e i linguaggi dei protagonisti parlano alla società contemporanea, rielaborando un’agenda di attivismo femminile, risentimento sociale, rivendicazione regionale. Se questi temi sono espressione del tempo presente, le appassionanti avventure di Giuseppe Schiavone e Michelina De Cesare, due tra i personaggi della serie, ci riportano al passato. Si tratta del brigantaggio, inteso tanto come problema storico nella formazione nazionale italiana, che come centro di un mito e delle narrazioni conseguenti.
Il brigantaggio, è importante specificarlo, è un fenomeno generale, una manifestazione della violenza organizzata nelle società rurali, con forti componenti sociali e mitiche, testimoniato ovunque e in ogni epoca, in Europa, in Italia e ovviamente nel Mezzogiorno. Restando nel nostro contesto, il Regno napoletano di età moderna, il banditismo aveva caratteristiche riconoscibili. Si trattava di un fenomeno sociale e criminale permanente, in una società dove coesistevano interessi di sovrani, baroni, comuni, Chiesa e contadini. Inoltre, aveva una forte plasmabilità, assumendo dimensioni significative e toni politici nelle maggiori crisi tra Cinquecento e Settecento.
Pertanto, pur all’interno di una manifestazione secolare, il brigantaggio epico, nella memoria storica e nel dibattito attuale è quello che incontrò la nascita dell’Italia moderna. La sua prima apparizione fu sotto le bandiere della Santa fede. Il re di Napoli Ferdinando IV di Borbone entrò in guerra con la Francia rivoluzionaria. Fu travolto e fuggì da Napoli, ma la crisi non si arrestò. Si formarono un partito repubblicano filofrancese e un movimento sanfedista sostenuto dalle monarchie europee. Nel 1799 combatterono la più feroce guerra civile nell’Italia dell’epoca. In questo contesto, tra le masse che i Borbone affidarono al cardinale Fabrizio Ruffo per riconquistare Napoli, insieme a baroni, vescovi e contadini, c’erano vecchi e nuovi briganti.
La guerra, che finì con l’eliminazione di parte della classe politica e intellettuale repubblicana, identificò il brigantaggio all’interno di un movimento controrivoluzionario vittorioso, socialmente e ideologicamente conservatore. Inoltre, i briganti furono raccontati dai repubblicani napoletani ed europei come una espressione crudele e reazionaria, ma foriera di una potente quanto cupa mitologia. Personaggi con soprannomi quali Fra Diavolo, Mammone, Sciarpa avevano rinnovato il profilo e le leggende dell’antico banditismo. Il brigantaggio era diventato una delle espressioni del tempo storico, in un conflitto interno che avrebbe segnato la questione napoletana risorgimentale. Si ripropose quando la sovranità napoleonide sostituì quella borbonica. Se il Decennio francese determinò la fuoriuscita dall’Antico Regime, i briganti difesero i Borbone, mescolando mentalità secolari, attività criminali, patriottismo monarchico.
Il brigantaggio entrò così prepotentemente nell’immaginario romantico, nei prodotti della cultura di massa dell’epoca, dai romanzi popolari alla stampa illustrata, fino ai magazine e al teatro. Nei decenni della Restaurazione non coincise con la crisi politica, ma emersero personaggi famosi come i Vardarelli o il re della Sila, Giosafatte Talarico. Nel frattempo, il costituzionalismo napoletano e l’autonomismo liberale siciliano si opposero al regime borbonico, che li sconfisse nel 1821 nel 1849, ma non risolse lo scontro tra la richiesta di modernità politica degli oppositori e le tradizioni dell’antico regno a cui si richiamava la monarchia.
Nel 1860 guerra e rivoluzione riapparvero a Napoli, con loro tornarono in massa i briganti. Liberali, radicali, autonomisti considerarono superata l’esperienza del regno regionale, individuando nella unificazione italiana e nella dinastia sabauda la soluzione al conflitto interno e alla questione costituzionale. Cavour offrì loro una visione, la spedizione garibaldina uno strumento. La monarchia borbonica, dopo il crollo iniziale, si difese con il suo esercito e poi a Roma. Il re Francesco II formò un governo in esilio, richiamando in servizio il brigantaggio politico.
Le bande furono organizzate da baroni, notabili, ex funzionari, religiosi. I capi erano banditi di professione, ex militari, contadini carismatici come Crocco, Caruso, Schiavone, La Gala, Masini, Summa e altri, sostenuti dalla propaganda del borbonismo. Lo Stato italiano e le forze politiche meridionali schierarono invece militari e guardie nazionali in larga parte delle stesse province napoletane. Usarono strategie di emergenza, mobilitarono le risorse politiche, ideologiche e morali risorgimentali, con campagne imponenti come quella per le vittime dei banditi. Il brigantaggio era in un tornante storico unico. In quegli anni si risolse un lungo conflitto civile, tra meridionali liberali e legittimisti borbonici; si combatté la prima guerra della nazione italiana, tra il nuovo Stato e il borbonismo con le sue bande; si accentuò la rottura tra Stato e Chiesa, con un intenso retroterra nel Mezzogiorno; si registrò la forza della frattura sociale agraria, perché la violenza si sviluppò all’interno di irrisolti problemi come quello dei beni demaniali.
Il brigantaggio usò parole d’ordine di Antico Regime, svolse un’azione criminale su larga scala, rinnovò i colori borbonici, senza mai alzare una bandiera contadina. Il dramma aveva toni epici e tinte fosche, corredato di eroismi e massacri. La sconfitta di borbonici e briganti consolidò lo Stato italiano come una realtà permanente e non un passaggio provvisorio. Inoltre, la guerra al brigantaggio coincise con un altro passaggio cruciale, perché mostrò un divario tra le parti del Paese, dando inizio al più longevo dibattito politico-culturale della storia italiana, sulla questione del Mezzogiorno.
I briganti lasciarono così un’eredità di personaggi, violenze e leggende, ma all’interno di grandi questioni storiche. C’erano tutti i materiali necessari allo spazio del mito, ieri nella cultura o nella musica, oggi su YouTube o Netflix, quanto i problemi da restituire al senso storico, senza ridurre lo spazio temporale e psicologico che ci separa da loro. Anzi, proprio la necessaria ricostruzione scientifica e storiografica può dialogare con la potenza dell’arte, raccogliendo in un racconto corale l’epica di un momento drammatico e affascinante della storia dell’Italia moderna.