Corriere della Sera - La Lettura
Sei mesi, 17 omicidi La lunga notte di Donato Bilancia
Dopo «Il Mostro», Alessandro Ceccherini torna al romanzo per raccontare la storia del serial killer di Genova I furti di biciclette e motorini, le bische e i casinò (dove in poche ore perde 400 milioni di lire), la caccia alle prostitute
ALESSANDRO CECCHERINI Che venga la notte NOTTETEMPO Pagine 336, 19
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Nato in Toscana nel 1985, Alessandro Ceccherini ha pubblicato racconti su diverse riviste. Il suo primo romanzo, Il Mostro, è uscito da Nottetempo nel 2022: si tratta di un testo letterario che indaga sui delitti compiuti nelle campagne fiorentine tra il 1974 e il 1985 (è stato recensito da Mirko Zilahy su «la Lettura» #546 del 15 maggio 2022) L’omicida
Dal mare, Genova è una lunga mezzaluna bianca, ma se ad ammirarla sono le nuvole, ecco un folle viluppo di vicoli e palazzi. Ed è tra quell’intrico di mura sghembe e incombenti che ha inizio questa storia.
Il 1963 è l’anno dell’assassinio di J. F. K., del Vajont e della morte di Papa Giovanni; a dicembre il governo guidato da Moro viene annunciato sui canali Rai e a Genova iniziano i lavori del Ponte Morandi. Siamo nel quartiere di San Fruttuoso dove il nostro protagonista, il dodicenne Donato Bilancia, trascorre la prima adolescenza nello stesso palazzo della famiglia Grillo. Con gli altri ragazzi di piazza Martinez — Orlando Portento, Antonio Ricci, Vittorio De Scalzi — se ne va lungo le calate dei vecchi moli a combinar danni. Tutti hanno un soprannome e lui è Gaber per il nasone, oppure il terrone per via della famiglia di Potenza e per quel nome, Donato, che odia al punto da farsi chiamare Walter. Come Walter Chiari, che è bello, divertente e sicuro con le donne.
Presto abbandona la scuola per fare il garzone, il barista, il meccanico, ma quei lavoretti sono roba per Donato, non per Walter, la cui vocazione è il furto. Inizia con biciclette e motorini. Durante una breve permanenza nel carcere di Marassi impara a scassinare casseforti e il suo sogran gno d’oro e successo si fa reale. Bilancia è un perfezionista, uno che studia e ristudia orari, pianifica dettagli, individua vie di fuga, non lascia nulla al caso, insomma. Un talento che lo rende ricco e conosciuto nelle bische, nelle sale da gioco e nei casinò dove ogni notte dilapida milioni con giocatori incalliti, ladri, assassini e tipi strani.
A parte qualche incidente di percorso — torna dentro un paio di volte per reati minori — tutto gira per il verso giusto. Finché, nel marzo 1987, Michele, il fratello maggiore in crisi con la moglie, raggiunge la stazione di Genova Pegli e si getta sotto a un treno tenendo in braccio il figlio di quattro anni. È qui che per la prima volta nella testa di Walter qualcosa si incrina e il rapporto col mondo femminile, già compromesso per via della madre succube del marito e delle ragazze con cui non riesce a sentirsi pienamente uomo, si spezza. Allora Walter affoga il dolore nel fumo e nella vita notturna, e si circonda di comparse sognando mille favole di gloria e di vendette. Nei ristoranti e nei locali è il tipo che offre per tutti anche se nessuno può dirsi suo amico. È un solitario, e se c’è una donna con lui, non c’è dubbio, l’ha pagata.
Passano dieci anni e nel settembre 1997 il mondo s’infrange una seconda volta. Ormai fuori dai giri grossi e senza i miliardi che avrebbe avuto se non si fosse giocato l’anima a dadi, a poker o alla roulette, una notte perde quattrocento milioni e mentre se ne va ascolta per caso una conversazione tra Giorgio e Maurizio, i due biscazzieri che lo hanno messo in mezzo. Sente che lo apostrofano con quella parola, belinetta, e in un istante nella sua testa cambia tutto. Dopo l’ennesimo tradimento, l’ennesima ferita dell’inganno da parte dei soliti falsi amici, Walter decide: io questi li ammazzo. E in una notte di «luna piena che splende nel cielo sgombro come l’enorme tappo di una bottiglia d’armagnac», il ragazzino introverso, il ladro d’appartamenti, il giocatore d’azzardo, concludono la metamorfosi.
Walter — o è Donato? — soffoca Giorgio Centenaro e, a una settimana di distanza, spara a Maurizio Parenti e alla moglie. Non lo fa per l’offesa o per il raggiro milionario ma perché hanno inquinato l’unico posto in cui si sente davvero sé stesso. Perché al tavolo da gioco sei solo contro la sorte che può essere benevola o avversa, puoi vincere o perdere, ma è tutto vero. Quei due invece gli hanno tolto l’illusione del solo brivido che gli è rimasto. Di più, hanno minato l’immagine del giocatore che ha sempre creduto di essere. La sua essenza.
Walter non si ferma più. Uccide una coppia di orafi, un cambiavalute, un benzinaio, tre metronotte. Omicidi che entrano nella cronaca nera come isolati fatti di volenza. Nessuno intuisce il filo rosso, perché intanto è passato a fare i conti con l’altro suo punto debole, le prostitute. Le uccide tutte allo stesso modo: dopo aver consumato un rapido rapporto in macchina le fa inginocchiare per strada coprendo la testa ed esplode un colpo alla nuca. La lunga catena di delitti s’interrompe su un vialetto di campagna dove, intercettato da due metronotte, li fredda, ha una colluttazione con la trans, le spara tre colpi a bruciapelo e scappa.
Le forze dell’ordine lo braccano ma lui, a bordo della Mercedes appena comprata, vive il suo brivido d’onnipotenza: «La luce dei fari illumina la strada e lui, l’avversario di tutti, il dio della notte, ingrana la terza e pensa che la vita non è poi tutta ’sta gran cosa, è un gioco d’azzardo a cui tanto vale vincere, e per vincere si deve stare dalla parte della morte». Prosegue la sua scia di sangue in province diverse e in maniere differenti; così le procure di Savona, Imperia, Sanremo e Alessandria indagano su casi che sembrano slegati.
Poi, il mostro cambia ancora forma. Il 12 aprile 1998 sale sull’Intercity La SpeziaVenezia, segue una donna in bagno e le spara alla testa. È solo il primo di un’altra serie di delitti simili e ravvicinati. La stampa e i tg parlano dell’«assassino dei treni» che ispirerà l’impressionante sequenza iniziale del film Non ho sonno ,di Dario Argento.
Quando tutti i reperti delle scene del crimine — tracce di Dna, segni di pneumatici, mozziconi di sigarette — convergono dalle varie procure ai Ris di Parma, il cerchio si stringe. Anche perché l’arma è sempre la stessa, una 38. special Smith & Wesson caricata con rare cartucce finlandesi Lapua Patria.
Ma come in tutte le grandi storie criminali il nemico pubblico numero uno viene scoperto per una banalità: Bilancia passa e ripassa ai caselli della riviera senza pagare il pedaggio, attaccandosi alle macchine che lo precedono, e collezionando una sequela di multe che arrivano al vecchio proprietario della Mercedes. L’uomo va a denunciare il mancato passaggio di proprietà e i Carabinieri scoprono che le foto prese ai caselli corrispondono all’identikit fatto dalla trans sopravvissuta e... rien ne va plus.
Dal carcere di Padova dove sconta 13 ergastoli, Bilancia ha il tempo per riflettere su sé stesso e immaginarsi come un assassino «tra i più grandi della storia d’Italia, forse del mondo, una sorta di Jack lo Squartatore. Ma quell’appellativo, serial killer, non gli piace: Lui no, è un’altra cosa: un Lupin di successo, un giocatore d’azzardo perdente come ogni vero giocatore, un uomo che ha avuto quintali di donne e che poi ha scoperto l’insuccesso, il fallimento, il freddo delle anime che considerava amiche e che non aspettavano altro che vederlo vorticare in fondo al gorgo».
Che venga la notte (in libreria per Nottetempo) non è il resoconto del macabro record dei 17 omicidi in sei mesi, non si spinge nell’intrico di indagini, carte processuali, profilo criminologico dell’omicida. Alessandro Ceccherini decide, come aveva fatto con Il Mostro, di costruire un romanzo «dall’interno», prestando i pensieri più oscuri e la voce al ragazzino, all’uomo, al sicario che è stato Bilancia. Con una spaventosa capacità immersiva, scende nelle stanze mentali di Walter e di Donato, un folle gabinetto delle meraviglie, un luogo in cui convivono figure discordi e dolorose. Che venga la notte èil minuzioso diario del mulinello che spinge, giro dopo giro, il piccolo ladro di biciclette giù nell’occhio del suo gorgo fatale. E chissà che questa galleria di italici «ritratti immaginari» non possa arricchirsi di nuovi capitoli.