Corriere della Sera - La Lettura
La generazione che scrive ma non c’è
Curata da Francesco Napoli prova a mettere ordine nella galassia degli autori di versi nati negli anni Sessanta. Che sembrano essersi mossi gli uni all’insaputa degli altri, senza una memoria collettiva e senza trovare maestri
Inostri poeti nati negli anni Sessanta sono poeti che hanno oggi più o meno sessant’anni, ed è singolare che non abbiano avuto finora anche solo un’antologia che li abbia rappresentati dal punto di vista generazionale, dal momento che di una generazione a tutti gli effetti si tratta. Al che s’impongono subito due considerazioni. La prima riguarda il concetto stesso di generazione, che di per sé risulta piuttosto instabile e ambiguo, visto che nella stessa epoca convivono poeti di età anche molto diverse, e che, in ogni caso, i tempi, ma anche i rapporti, le affinità, le influenze, si sovrappongono e s’intrecciano in modo tutt’altro che lineare o univoco. È vero, non è possibile esaurire un poeta in una mera prospettiva storica. Eppure non è meno vero che quando si parla di generazione ci si capisce subito. Condividere un determinato tempo suppergiù alla stessa età fa si che certe esperienze risultino comuni anche da parte di chi pensa, agisce e, come in questo caso, scrive in modo diverso. Insomma, una cosa è vivere il ’68, il ’77, l’89 o il 2001 nella giovinezza, cioè nell’epoca in cui la formazione di una persona è più marcata e incandescente, e una cosa è viverli invece a cinquanta o a settant’anni.
La seconda considerazione è che un tratto distintivo dei poeti nati nei Sessanta, almeno fino a un’altezza piuttosto avanzata, è stata proprio la dispersione, la disorganizzazione, il non corporativismo, l’incapacità se non piuttosto la volontà, visto che in molti casi si è trattato di una scelta consapevole, di autopromuoversi. Se in ambito poetico le antologie costituiscono lo strumento più formidabile d’attestazione e, diciamo pure, di propaganda in favore di certi poeti e della loro poesia, il fatto che questa generazione non sia mai stata antologizzata la dice lunga al riguardo. Ed è proprio dal riconoscimento di questa condizione e di questa carenza che si giustifica adesso l’antologia Poeti italiani nati negli anni 60. Letteratura come condizione, appena uscita per le edizioni Interno Poesia a cura di Francesco Napoli.
Il dato che nella riflessione di Napoli emerge con più evidenza, è proprio la latitanza di tratti forti accomunanti sotto l’aspetto generazionale. Di conseguenza si potrebbe perfino pensare alla Generazione Sessanta, come qui viene chiamata, come a una generazione mancata, che tuttavia risulta paradossalmente riconoscibile proprio per la mancanza lungamente patita di un’aggregazione e di una visibilità ad ampio raggio. Anche attraverso le testimonianze dei diretti interessati, sono infatti elementi di segno, diciamo così, negativo a risultare generalmente condivisi, giusto tra la fine degli anni Settanta e l’inizio dei Novanta. Ecco allora il senso di vuoto (parola, questa, che torna più volte), il disorientamento storicoculturale e nella fattispecie poetico, la percezione di una scollatura epocale che non aveva come corrispettivo l’inaugurazione di forme d’orientamento nuove e riconoscibili, l’isolamento e la solitudine, il ritrovarsi in piccolissimi gruppi e sodalizi che si sono mossi gli uni all’insaputa degli altri, l’assenza di una memoria collettiva su cui fare affidamento, le rivistine, la piccola editoria, la difficoltà di trovare maestri, riscontri, indicazioni valide, anche solo un senso plausibile dello scrivere in versi. Non si è trattato dunque di una carenza di vocazione, di dedizione o di risultati poetici, ma di qualcosa che riguarda le condizioni stesse del fare poesia. L’impressione complessiva è di chi sia vissuto a lungo con un piede nel prima e uno nel dopo: da una parte un mondo ormai tramontato che per questi poeti non era per altro il loro, e dall’altra un mondo a venire che davvero loro non sarebbe comunque stato. Così, quando all’uscita di quegli anni hanno potuto guardarsi attorno più diffusamente, si ha quasi il senso di tanti sopravvissuti che comincino a contarsi dopo una lunga apnea.
Dallo studio di Napoli, che guarda con particolare attenzione all’«orizzonte socio-culturale e politico nel quale cresce e matura questa generazione di poeti», emergono comunque altre indicazioni di cui va tenuto conto. Una di queste è che quanto detto finora non è affatto un patrimonio esclusivo, positivo o negativo che sia, della generazione in causa. Si direbbe anzi che questa «condizione», come dal sottotitolo dell’antologia, valga più o meno anche per i fratelli maggiori. Come si diceva all’inizio, in questo ambito non è che esistano comparti stagni; anzi. Semmai, la specificità della Generazione Sessanta è di esserci stata dentro in tutto e per tutto, come se si fosse trovata giusto a cavallo dell’epoca di transito successiva all’eclissarsi della Neoavanguardia e al movimentismo politico partecipato su larga scala (ma anche, come ricorda Napoli, all’assassinio di Pier Paolo Pasolini e a quello di Aldo Moro, rispettivamente nel 1975 e 1978). Il fatto stesso che il repertorio di testi si apra con una sezione che comprende alcuni autori nati negli anni Cinquanta, ma apparentati qui con quelli un poco più giovani per similarità di «milieu storico-geografico» e di «passaggi formativi», può far pensare come molti tratti sostanziali siano in realtà comuni un po’ per tutto il periodo in questione.
Va detto poi che nell’introduzione generale e, tanto più, nei cappelli introduttivi alle singole sezioni (organizzate in genere secondo criteri storico-geografici, cioè per centri d’aggregazione storicopoetica), Napoli rende conto con puntualità di tanti fatti della nostra poesia degli ultimi decenni, ben al di là, da questo punto di vista, del taglio generazionale: collane, quaderni, almanacchi, annuari, riviste, gruppi, studi critici, festival, istituzioni pubbliche, maestri, retaggi, linee, ascendenze, filiazioni. Prevedibilmente i poeti compresi sono tutti abbastanza conosciuti (si rimanda all’indice o anche solo alla quarta di copertina, per averne conferma). Ne mancano tuttavia alcuni piuttosto bravi e, al contempo, ce ne sono alcuni di troppo. Ma questo ovviamente è opinabile, e comunque fa parte del gioco implicito in ogni atto di scelta.
Ma è proprio sulla necessità del volume, dalla quale si era partiti, che è opportuno concludere. La Generazione Sessanta approda soltanto oggi a una prima rappresentanza antologica, quasi fosse rimasta nascosta tra la generazione postsessantottesca e i poeti nati negli anni Settanta. La prima infatti venne definita prestissimo ne Il pubblico della poesia, l’antologia curata nel ’75 da Alfonso Berardinelli e Franco Cordelli, che da allora ha fatto testo. I secondi, fin da subito molto zelanti e generazionalmente individuatissimi, già nel 2006, secondo un piccolo censimento di quell’anno, si erano promossi in una ventina d’antologie, spesso mettendo il carro davanti ai buoi, cioè in qualità di poeti ancora senza poesia o senza libri (così il problema critico relativo a questi poeti risulta oggi rovesciato: mettere da parte la generazione e verificare se hanno effettivamente scritto qualche libro che valga la pena). Diversa è la sorte di questi Poeti italiani nati negli anni ’60, che, seppure tutti di lungo corso e in molti casi piuttosto affermati, si ritrovano ora insieme per la prima volta.