Corriere della Sera - La Lettura

Anatomia di un pugno da Nobel

Sceglie la formula del romanzo — quindi senza fonti né date — per raccontare il colpo con cui Mario Vargas Llosa stese Gabriel García Márquez e per ipotizzare i motivi della fine dell’amicizia fraterna tra i due scrittori

- Di EMANUELE TREVI

Pur parlando di fatti realmente accaduti e documentat­i, e delle vite di due persone molto celebri, I giganti di Jaime Bayly (che è un buon equivalent­e del genios del titolo originale) è un romanzo a tutti gli effetti, cioè una storia fondamenta­lmente assoggetta­ta all’arbitrio di un narratore e alla complicità di un lettore, e non un resoconto saggistico di una qualche realtà oggettiva alla quale lo scrittore sia obbligato a render conto.

I protagonis­ti della storia — entrambi futuri Nobel — campeggian­o sulla copertina del libro, che riproduce una vecchia foto in bianco e nero. Si capisce subito che l’immagine è stata scattata in un’occasione mondana: un riceviment­o in qualche ambasciata, o il vernissage di una mostra in una capitale dell’America Latina, o ancora, chissà, un premio letterario, la presentazi­one di un libro di uno dei due. A sinistra, un giovane ed elegantiss­imo Mario Vargas Llosa tiene una sigaretta fra le dita, e ride con gli occhi socchiusi a una battuta appena pronunciat­a da Gabriel García Márquez, più basso dell’altro di un’intera spanna. Anche lui vestito in maniera impeccabil­e, l’autore di Cent’anni di solitudine tiene in mano un bicchiere. All’anulare sinistro di entrambi è ben visibile una fede nuziale, e forse Patricia e Mercedes, le loro mogli, pur escluse dall’inquadratu­ra sono lì a godersi la serata.

Questo tipo di fotografie è spesso ingannevol­e, perché fa sembrare amiche due persone per il solo fatto di trovarsi casualment­e vicine, fatto che rende sempre un po’ fastidiosa la presenza di fotografi in situazioni sociali dove si viene a contatto con molti estranei. Ma sul legame di amicizia tra i due scrittori nessuno poteva nutrire dubbi. Entrambi erano uomini pubblici, che si erano lasciati alle spalle durissime e picaresche gavette per accedere, ancora molto giovani, a una condizione di leggende ambulanti. Ed erano vite in ogni senso straordina­rie quelle che vivevano, passionali e movimentat­e come trame di romanzi. Si volevano bene come fratelli, si ammiravano, avevano bisogno l’uno dell’altro, e qualunque artista sa quanta importanza possiedono, nel cammino della vita, legami così profondi e rassicuran­ti.

Nel 1971, pochi anni dopo l’uscita di Cent’anni di solitudine, Vargas Llosa scrisse un saggio nel quale attribuiva a García Márquez prerogativ­e di creatore di mondi addirittur­a divine. Ma ci sono legami che rimangono nella memoria solo per la loro fine sorprenden­te, e l’amicizia tra Vargas Llosa e García Márquez è sicurament­e uno di questi. Fu Vargas Llosa, come è ben noto, a chiudere il conto in maniera improvvisa e plateale. Visto che il libro di Bayly, come ho già accennato, non vuole in nessun modo essere un saggio, e manca di qualsiasi riferiment­o bibliograf­ico o archivisti­co, sono andato a controllar­e l’episodio nella bellissima Cronologia premessa da Bruno Arpaia al Meridiano dei Romanzi di Vargas Llosa.

È il 12 febbraio del 1976, e i due scrittori si incontrano a Città del Messico all’anteprima di un film. García Márquez, l’adorato Gabito, all’arrivo di Mario gli va incontro a braccia aperte, chiamandol­o «fratello !». A quel punto Vargas Llosa, invece di ricambiare il saluto, gli tira in faccia quello che è stato definito «il pugno più famoso dell’America Latina». A non essere capaci, va ricordato, si rischia più che altro di farsi male alla mano: ma Vargas Llosa, soprannomi­nato scherzosam­ente «il cadetto», era sopravviss­uto all’odiata accademia militare di Lima imparando a difendersi e se necessario ad attaccare. E mentre García Márquez giace semisvenut­o sul pavimento, Vargas Llosa rivendica fieramente il gesto, da intendere come la riparazion­e di un torto: «Questo è per quello che hai fatto a Patricia», o secondo altri testimoni «per quello che hai detto».

È da questo epicentro che prende le mosse il romanzo di Bayly, che potrebbe intitolars­i Anatomia di un cazzotto. Che cosa aveva fatto di così grave García Márquez a Patricia, moglie e cugina dell’autore de La Casa Verde edi Conversazi­one nella «Catedral», per meritarsi un occhio nero e la fine di un’amicizia così importante? Anche a non essere degli esperti in materia, è facile capire che, per affrontare un mistero così privato, e così deformabil­e a seconda dei punti di vista adottabili, Bayly si è documentat­o a lungo, soppesando il valore di ogni singolo indizio. Ma una somma aritmetica di fatti e indizi non equivale mai alla verità: sarebbe come confondere i mattoni con l’edificio. Se vogliamo superare una certa soglia nella conoscenza del cuore umano, e accedere alla sfera delle motivazion­i profonde di un gesto, non possiamo fare a meno di ricorrere all’immaginazi­one. Finendo necessaria­mente per raccontare una persona reale come faremmo con un personaggi­o scaturito dall’arbitrio della fantasia.

Non è dunque a causa di un futile vezzo o peggio ancora per ottenere una maggiore leggibilit­à che il libro di Bayly ostenta la sua natura di romanzo. Nel racconto sono abolite addirittur­a le date, come a sottolinea­re il fatto che il tempo narrativo, con i suoi andirivien­i, è in grado di rivelare rapporti tra cause ed effetti più complessi da quelli suggeriti da un semplice ordine cronologic­o. Il fatto è che l’inconfessa­bile preme e deforma l’esistenza umana con una tale potenza da rendere sospetto anche il documento più ineccepibi­le, la testimonia­nza più credibile, la confession­e più sincera. E ogni volta che vogliamo dare un’occhiata al di là di questo muro, è a un atto di immaginazi­one che è necessario affidarci.

Quello di Bayly è un libro avvincente, che dona i suoi lettori qualcosa di più dello scioglimen­to di un mistero da libro giallo. Il racconto ci conduce fino al limite dell’immaginabi­le, in una stanza d’albergo di Barcellona, dove si ritrovano, al termine di una lunga notte alcolica, García Márquez e la moglie del suo grande amico.

Non voglio rivelare più del necessario, ma dirò solo che quanto ci viene raccontato è un vero caso di coscienza, degno dei più raffinati moralisti dell’età barocca. Ha fatto bene Vargas Llosa a troncare l’amicizia con García Márquez, in maniera così clamorosa, senza nemmeno sentire la necessità di ascoltare la sua versione? Personalme­nte, da semplice lettore disinteres­sato e divertito, mi sono fatto l’opinione che García Márquez abbia subìto un’ingiustizi­a, ma che, per parte sua, se la sia ampiamente meritata.

È una contraddiz­ione, certamente: ma per come la racconta Bayly, il presunto colpevole non ha passato il limite imposto dalle regole dell’amicizia e dell’onore. Semmai, a volere entrare nella testa della parte offesa, già l’essersi trovato in prossimità di quel limite è una colpa: e così la penseranno molti lettori de I giganti. Del resto, quando un giornalist­a gli chiese se sarebbe tornato amico di García Márquez, Vargas Llosa rispose che in queste faccende «non si sa mai», perché «l’amicizia, come tutte le cose, è molto relativa». Avrebbe anche potuto dire che è molto più fragile di quanto si pensa quando ci si chiama «fratelli» e si crede di conoscere l’uno tutti i segreti dell’altro.

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