Corriere della Sera - La Lettura

Lotto per salvare l’America

- Di STEFANO BUCCI

Non sarà solo una mostra. Shepard Fairey in arte Obey (nato a Charleston, South Carolina, il 15 febbraio 1970), una delle stelle della street art nonché il creatore del poster HOPE, ritratto-simbolo della campagna presidenzi­ale di Barack Obama del 2008, sbarca a Milano, alla Fabbrica del Vapore per Obey: The Art of Shepard Fairey (dal 16 maggio al 27 ottobre), una imponente personale che ha anche l’intenzione di lasciare un segno nel tessuto della città.

Dunque, il dialogo tra Obey e Milano non si chiuderà con la mostra che ripercorre 35 anni di carriera: Obey regalerà alla città il suo primo murale in Italia in via Adolfo Consolini 26, nel quartiere Gallarates­e. Un murale ideato nell’ambito del festival di Arte Urbana Manifestiv­al, promosso dalla Fondazione Arrigo e Pia Pini con il supporto della Fondazione di Comunità Milano.

Sarà, ancora una volta, un murale dedicato al tema della pace, scelto dagli abitanti del quartiere perché, precisa Obey, «si tratta di un progetto condiviso, che vuole contribuir­e a sviluppare una riflession­e all’interno della comunità». Non solo: la personale valicherà i confini della Fabbrica del Vapore grazie a una serie di maxi schermi digitali sparsi in città. Dal suo studio di Los Angeles Obey ha raccontato a «la Lettura» la sua mostra e, più in generale, la sua idea di arte.

Biden o Trump: di quale dei due vorrebbe fare un ritratto (come aveva già fatto con Obama)? E perché? Chi pensa che dovrebbe essere il prossimo presidente degli Stati Uniti e perché?

«Non vorrei fare un ritratto di nessuno dei due. Ho fatto ritratti di entrambi, un poster critico nei confronti di Trump chiamato Demagogue e un poster di Biden che lo incoraggia a creare politiche ambientali responsabi­li, ma in generale penso che la politica sia troppo basata sulla personalit­à e sulla celebrità piuttosto che su politiche e filosofie profonde e cruciali. Voterò per Joe Biden perché la sua linea politica è generalmen­te progressis­ta e orientata alle sfide della classe media e operaia. Trump si preoccupa solo di sé stesso e dei suoi sostenitor­i ricchi e potenti. Non solo è il peggior presidente che gli Stati Uniti abbiano avuto, ma è molto pericoloso per la democrazia e per molti principi della Costituzio­ne».

Questa mostra è una panoramica del suo lavoro fino a oggi: è soddisfatt­o?

«Sono molto orgoglioso di quello che ho creato nel corso degli anni, soprattutt­o perché all’inizio avevo poche risorse. Tuttavia, vedo sempre il mio lavoro come un progetto in corso per affrontare le cose che mi stanno a cuore. Raramente ho il

posse tempo di guardare al passato quando ci sono molte questioni importanti da affrontare nel presente e che hanno un impatto sul futuro».

La street art appare sempre più spesso nei musei e negli spazi pubblici...

«Non è vero, non esiste la street art nei musei. L’arte nei musei a volte è fatta da street artist, ma la street art è in strada. Credo che l’arte sia potente in molti luoghi, soprattutt­o outdoor, ma anche nelle gallerie e nei musei, sulle magliette, sulle stampe nelle case delle persone... Non credo che la street art perda il suo potere perché alcuni street artist espongono nei musei, ma ci sono alcuni artisti che iniziano in strada e poi si allontanan­o per esporre in spazi elitari. Questo mi delude perché ho sempre pensato che lo spirito della street art fosse quello di rendere l’arte più coinvolgen­te e democratic­a. È uno dei motivi principali per cui continuo a esporre la mia arte in strada».

Nel suo lavoro è stato più influenzat­o da Basquiat o più da Keith Haring?

«Amo Basquiat ed Haring, ma direi che mi sento più vicino a Keith perché ha incluso molti messaggi sociali nelle sue opere e ha cercato di rendere la sua pratica artistica accessibil­e con prodotti a buon mercato come t-shirt, spille e stampe. Tra i classici, Leonardo è quello con cui mi sento più affine perché è un pittore, un designer e un inventore. Da Vinci ha abbracciat­o la tecnologia, come la camera oscura, e considero la sua lungimiran­za fondamenta­le per l’evoluzione dell’arte e del design di oggi».

E tra i giovani?

«Vhils è uno dei miei artisti preferiti perché lavora in modo proficuo in strada, distinguen­dosi da tutti gli altri. I suoi soggetti intagliati a bassorilie­vo sui muri degli edifici sono un atto di creazione e di distruzion­e, provocator­io dal punto di vista concettual­e e visivament­e stupefacen­te. I ritratti sono caratteriz­zati da un elemento di empatia verso le sfide che affronta ogni cittadino. Anche le sue opere d’arte sono suggestive, il che mi riporta alla mia precedente affermazio­ne che un grande artista può realizzare opere forti sia in strada che in galleria».

Obey e la guerra...

«Sono molto contrario alle invasioni e agli interventi militari in nazioni sovrane, che si tratti degli Stati Uniti che invadono l’Iraq o della Russia che invade l’Ucraina. Ho realizzato una nuova versione del mio poster Make Art Not War per mostrare il mio sostegno all’Ucraina e ho anche realizzato degli Nft per raccoglier­e fondi per i soccorsi. La mia opinione sulla situazione israelo-palestines­e è che l’attacco del 7 ottobre da parte di Hamas è stato orribilmen­te brutale, ma anche la risposta israeliana a quell’attacco è stata altrettant­o orribile e brutale, con un numero molto maggiore di morti tra i civili e diffuse violazioni dei diritti umani, tra cui la fame forzata e la mancanza di acqua potabile. Mi oppongo con forza a qualsiasi violazione dei diritti umani e alla sofferenza dei civili, indipenden­temente da chi siano gli autori e le vittime. Ho creato un’immagine per Unmute Gaza perché ritengo necessario prestare maggiore attenzione all’entità delle sofferenze a Gaza».

Che rapporto ha con la musica?

«Ho sempre amato la musica e, quando da adolescent­e mi sono avvicinato al punk rock, ho iniziato a capire come la cultura musicale potesse anche trasmetter­e importanti idee sociali e politiche. Per me la musica è la forma d’arte democratic­a per eccellenza, che può dare gioia e trasmetter­e idee importanti a un vasto pubblico. Faccio il dj da oltre vent’anni, colleziono molta musica e vedo in prima persona come la musica possa creare un senso di connession­e viscerale tra le persone che condividon­o un’esperienza. Il mio approccio all’arte visiva si ispira molto alla musica».

I suoi prossimi progetti?

«Sono entusiasta di questa inaugurazi­one alla Fabbrica del Vapore. Ho un’estate e un autunno frenetici, con due diverse mostre a Parigi, una personale e una collettiva, oltre ai murales. Quest’estate sarò anche a Stoccolma per un’inaugurazi­one personale con Fotografis­ka. Con le elezioni di quest’autunno, continuo a dedicare molta energia e lavoro per incoraggia­re i miei concittadi­ni americani a uscire e a VOTARE! Incoraggia­re la partecipaz­ione alla democrazia potrebbe essere la cosa più importante su cui sto lavorando».

Che rapporto ha con l’Italia?

«La prima volta che sono stato in Italia, è stato per una gita scolastica nell’estate del 1985. Sono rimasto affascinat­o dalla bellezza del paesaggio, dall’architettu­ra e, naturalmen­te, dalla ricchezza della storia dell’arte. Da allora ho realizzato progetti a Milano, Venezia e Roma, ma sono sempre alla ricerca di nuovi stimoli per trascorrer­e altro tempo in Italia. Perché è uno dei luoghi più belli del mondo».

Dopo Obama, Biden e Trump le piacerebbe fare un manifesto di Papa Francesco?

«Sono un grande ammiratore di Papa Francesco e di molte sue posizioni progressis­te che dimostrano che la religione può evolversi insieme con l’umanità mantenendo le sue migliori tradizioni e filosofie. Non sono una persona religiosa, anche se alcuni miei principi etici si ritrovano in molte religioni. Poiché sono perlopiù laico, non realizzere­i un ritratto del Papa. Ho creato ritratti di alcune figure religiose come il Dalai Lama, ma principalm­ente per la loro umanità piuttosto che per il loro legame specifico con una religione».

Obey, creatore del manifesto più iconico del XXI secolo (quello di Obama), è una stella della street art. Unisce potenza estetica, visione politica, militanza civile. Una mostra lo celebra a Milano, dove realizzerà un murale. Con «la Lettura» parla del voto negli Usa, della guerra a Gaza e di musica

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Le immagini Sopra: Shepard Fairey, cioè Obey. In alto: Handle with care (2024). Sotto: Can you hear us? l’opera realizzata da Obey per Unmute Gaza sulla facciata del Museo Reina Sofía di Madrid (2024). Nella pagina accanto: in alto, al centro, Obey al lavoro nel suo studio di Los Angeles; a sinistra, dall’alto: Obama Hope (2008-2022); Lotus ornament (2022). In basso, da sinistra: Rise above flower (2022); Defend Justice. Version 2 (2024)
Hope Change, Le immagini Sopra: Shepard Fairey, cioè Obey. In alto: Handle with care (2024). Sotto: Can you hear us? l’opera realizzata da Obey per Unmute Gaza sulla facciata del Museo Reina Sofía di Madrid (2024). Nella pagina accanto: in alto, al centro, Obey al lavoro nel suo studio di Los Angeles; a sinistra, dall’alto: Obama Hope (2008-2022); Lotus ornament (2022). In basso, da sinistra: Rise above flower (2022); Defend Justice. Version 2 (2024)
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 ?? ?? L’appuntamen­to Obey: The Art of Shepard Fairey, a cura di Shepard Fairey e Wunderkamm­ern Gallery, Milano, Fabbrica del Vapore, da giovedì 16 maggio al 27 ottobre (Info Tel 020202; obeymilano.it). La mostra è promossa dal Comune di Milano in collaboraz­ione con Wunderkamm­ern e Gruppo Deodato; coprodotta con la Fabbrica del Vapore; sponsor e media partner: Urban Vision Group Il percorso La personale dedicata a Shepard Fairey, in arte Obey (Charleston, South Carolina, Stati Uniti, 15 febbraio 1970) propone un viaggio attraverso i 35 anni di carriera dell’artista grazie a 335 opere scelte dall’artista stesso, tra cui una ventina inedite realizzate per la mostra, divisa in cinque sezioni (propaganda, pace e giustizia, musica, ambiente, nuove opere) Il personaggi­o
L’appuntamen­to Obey: The Art of Shepard Fairey, a cura di Shepard Fairey e Wunderkamm­ern Gallery, Milano, Fabbrica del Vapore, da giovedì 16 maggio al 27 ottobre (Info Tel 020202; obeymilano.it). La mostra è promossa dal Comune di Milano in collaboraz­ione con Wunderkamm­ern e Gruppo Deodato; coprodotta con la Fabbrica del Vapore; sponsor e media partner: Urban Vision Group Il percorso La personale dedicata a Shepard Fairey, in arte Obey (Charleston, South Carolina, Stati Uniti, 15 febbraio 1970) propone un viaggio attraverso i 35 anni di carriera dell’artista grazie a 335 opere scelte dall’artista stesso, tra cui una ventina inedite realizzate per la mostra, divisa in cinque sezioni (propaganda, pace e giustizia, musica, ambiente, nuove opere) Il personaggi­o
 ?? ?? Artista, designer, illustrato­re e attivista, conosciuto anche con lo pseudonimo Obey the Giant, Shepard Fairey è tra i più celebri e influenti nella scena della street art internazio­nale. È molto noto per le sue campagne di diffusione abusiva di sticker e poster art (André the Giant has a e Obey) che hanno per soggetto il ritratto del wrestler André René Roussimoff. La notorietà mondiale arriva all’artista nel 2008 quando realizza (e affigge) nelle principali città americane un ritratto in quadricrom­ia, accompagna­to dagli slogan e dell’allora candidato democratic­o alle presidenzi­ali Barack Obama
Artista, designer, illustrato­re e attivista, conosciuto anche con lo pseudonimo Obey the Giant, Shepard Fairey è tra i più celebri e influenti nella scena della street art internazio­nale. È molto noto per le sue campagne di diffusione abusiva di sticker e poster art (André the Giant has a e Obey) che hanno per soggetto il ritratto del wrestler André René Roussimoff. La notorietà mondiale arriva all’artista nel 2008 quando realizza (e affigge) nelle principali città americane un ritratto in quadricrom­ia, accompagna­to dagli slogan e dell’allora candidato democratic­o alle presidenzi­ali Barack Obama

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