Corriere della Sera - La Lettura
Lotto per salvare l’America
Non sarà solo una mostra. Shepard Fairey in arte Obey (nato a Charleston, South Carolina, il 15 febbraio 1970), una delle stelle della street art nonché il creatore del poster HOPE, ritratto-simbolo della campagna presidenziale di Barack Obama del 2008, sbarca a Milano, alla Fabbrica del Vapore per Obey: The Art of Shepard Fairey (dal 16 maggio al 27 ottobre), una imponente personale che ha anche l’intenzione di lasciare un segno nel tessuto della città.
Dunque, il dialogo tra Obey e Milano non si chiuderà con la mostra che ripercorre 35 anni di carriera: Obey regalerà alla città il suo primo murale in Italia in via Adolfo Consolini 26, nel quartiere Gallaratese. Un murale ideato nell’ambito del festival di Arte Urbana Manifestival, promosso dalla Fondazione Arrigo e Pia Pini con il supporto della Fondazione di Comunità Milano.
Sarà, ancora una volta, un murale dedicato al tema della pace, scelto dagli abitanti del quartiere perché, precisa Obey, «si tratta di un progetto condiviso, che vuole contribuire a sviluppare una riflessione all’interno della comunità». Non solo: la personale valicherà i confini della Fabbrica del Vapore grazie a una serie di maxi schermi digitali sparsi in città. Dal suo studio di Los Angeles Obey ha raccontato a «la Lettura» la sua mostra e, più in generale, la sua idea di arte.
Biden o Trump: di quale dei due vorrebbe fare un ritratto (come aveva già fatto con Obama)? E perché? Chi pensa che dovrebbe essere il prossimo presidente degli Stati Uniti e perché?
«Non vorrei fare un ritratto di nessuno dei due. Ho fatto ritratti di entrambi, un poster critico nei confronti di Trump chiamato Demagogue e un poster di Biden che lo incoraggia a creare politiche ambientali responsabili, ma in generale penso che la politica sia troppo basata sulla personalità e sulla celebrità piuttosto che su politiche e filosofie profonde e cruciali. Voterò per Joe Biden perché la sua linea politica è generalmente progressista e orientata alle sfide della classe media e operaia. Trump si preoccupa solo di sé stesso e dei suoi sostenitori ricchi e potenti. Non solo è il peggior presidente che gli Stati Uniti abbiano avuto, ma è molto pericoloso per la democrazia e per molti principi della Costituzione».
Questa mostra è una panoramica del suo lavoro fino a oggi: è soddisfatto?
«Sono molto orgoglioso di quello che ho creato nel corso degli anni, soprattutto perché all’inizio avevo poche risorse. Tuttavia, vedo sempre il mio lavoro come un progetto in corso per affrontare le cose che mi stanno a cuore. Raramente ho il
posse tempo di guardare al passato quando ci sono molte questioni importanti da affrontare nel presente e che hanno un impatto sul futuro».
La street art appare sempre più spesso nei musei e negli spazi pubblici...
«Non è vero, non esiste la street art nei musei. L’arte nei musei a volte è fatta da street artist, ma la street art è in strada. Credo che l’arte sia potente in molti luoghi, soprattutto outdoor, ma anche nelle gallerie e nei musei, sulle magliette, sulle stampe nelle case delle persone... Non credo che la street art perda il suo potere perché alcuni street artist espongono nei musei, ma ci sono alcuni artisti che iniziano in strada e poi si allontanano per esporre in spazi elitari. Questo mi delude perché ho sempre pensato che lo spirito della street art fosse quello di rendere l’arte più coinvolgente e democratica. È uno dei motivi principali per cui continuo a esporre la mia arte in strada».
Nel suo lavoro è stato più influenzato da Basquiat o più da Keith Haring?
«Amo Basquiat ed Haring, ma direi che mi sento più vicino a Keith perché ha incluso molti messaggi sociali nelle sue opere e ha cercato di rendere la sua pratica artistica accessibile con prodotti a buon mercato come t-shirt, spille e stampe. Tra i classici, Leonardo è quello con cui mi sento più affine perché è un pittore, un designer e un inventore. Da Vinci ha abbracciato la tecnologia, come la camera oscura, e considero la sua lungimiranza fondamentale per l’evoluzione dell’arte e del design di oggi».
E tra i giovani?
«Vhils è uno dei miei artisti preferiti perché lavora in modo proficuo in strada, distinguendosi da tutti gli altri. I suoi soggetti intagliati a bassorilievo sui muri degli edifici sono un atto di creazione e di distruzione, provocatorio dal punto di vista concettuale e visivamente stupefacente. I ritratti sono caratterizzati da un elemento di empatia verso le sfide che affronta ogni cittadino. Anche le sue opere d’arte sono suggestive, il che mi riporta alla mia precedente affermazione che un grande artista può realizzare opere forti sia in strada che in galleria».
Obey e la guerra...
«Sono molto contrario alle invasioni e agli interventi militari in nazioni sovrane, che si tratti degli Stati Uniti che invadono l’Iraq o della Russia che invade l’Ucraina. Ho realizzato una nuova versione del mio poster Make Art Not War per mostrare il mio sostegno all’Ucraina e ho anche realizzato degli Nft per raccogliere fondi per i soccorsi. La mia opinione sulla situazione israelo-palestinese è che l’attacco del 7 ottobre da parte di Hamas è stato orribilmente brutale, ma anche la risposta israeliana a quell’attacco è stata altrettanto orribile e brutale, con un numero molto maggiore di morti tra i civili e diffuse violazioni dei diritti umani, tra cui la fame forzata e la mancanza di acqua potabile. Mi oppongo con forza a qualsiasi violazione dei diritti umani e alla sofferenza dei civili, indipendentemente da chi siano gli autori e le vittime. Ho creato un’immagine per Unmute Gaza perché ritengo necessario prestare maggiore attenzione all’entità delle sofferenze a Gaza».
Che rapporto ha con la musica?
«Ho sempre amato la musica e, quando da adolescente mi sono avvicinato al punk rock, ho iniziato a capire come la cultura musicale potesse anche trasmettere importanti idee sociali e politiche. Per me la musica è la forma d’arte democratica per eccellenza, che può dare gioia e trasmettere idee importanti a un vasto pubblico. Faccio il dj da oltre vent’anni, colleziono molta musica e vedo in prima persona come la musica possa creare un senso di connessione viscerale tra le persone che condividono un’esperienza. Il mio approccio all’arte visiva si ispira molto alla musica».
I suoi prossimi progetti?
«Sono entusiasta di questa inaugurazione alla Fabbrica del Vapore. Ho un’estate e un autunno frenetici, con due diverse mostre a Parigi, una personale e una collettiva, oltre ai murales. Quest’estate sarò anche a Stoccolma per un’inaugurazione personale con Fotografiska. Con le elezioni di quest’autunno, continuo a dedicare molta energia e lavoro per incoraggiare i miei concittadini americani a uscire e a VOTARE! Incoraggiare la partecipazione alla democrazia potrebbe essere la cosa più importante su cui sto lavorando».
Che rapporto ha con l’Italia?
«La prima volta che sono stato in Italia, è stato per una gita scolastica nell’estate del 1985. Sono rimasto affascinato dalla bellezza del paesaggio, dall’architettura e, naturalmente, dalla ricchezza della storia dell’arte. Da allora ho realizzato progetti a Milano, Venezia e Roma, ma sono sempre alla ricerca di nuovi stimoli per trascorrere altro tempo in Italia. Perché è uno dei luoghi più belli del mondo».
Dopo Obama, Biden e Trump le piacerebbe fare un manifesto di Papa Francesco?
«Sono un grande ammiratore di Papa Francesco e di molte sue posizioni progressiste che dimostrano che la religione può evolversi insieme con l’umanità mantenendo le sue migliori tradizioni e filosofie. Non sono una persona religiosa, anche se alcuni miei principi etici si ritrovano in molte religioni. Poiché sono perlopiù laico, non realizzerei un ritratto del Papa. Ho creato ritratti di alcune figure religiose come il Dalai Lama, ma principalmente per la loro umanità piuttosto che per il loro legame specifico con una religione».
Obey, creatore del manifesto più iconico del XXI secolo (quello di Obama), è una stella della street art. Unisce potenza estetica, visione politica, militanza civile. Una mostra lo celebra a Milano, dove realizzerà un murale. Con «la Lettura» parla del voto negli Usa, della guerra a Gaza e di musica