Corriere della Sera - La Lettura

La cronaca nerissima di Gilbert&George

Per celebrare il primo anno della galleria dalle parti di Brick Lane, l’Est più multietnic­o, i due scapestrat­i ottuagenar­i dell’arte hanno allestito le «London Pictures»: locandine di brutte notizie, la regina e loro due. Li abbiamo incontrati

- Dal nostro corrispond­ente a Londra LUIGI IPPOLITO

Lo spazio

Inaugurato nell’aprile 2023, nel cuore dell’Est più multietnic­o di Londra, The Gilbert&George Centre (in origine un birrificio) è stato creato dalla coppia di artisti per ospitare mostre dedicate al loro lavoro e per lavorare su progetti artistici e di integrazio­ne sociale Gli artisti Uniti dal 1967 in un sodalizio artistico e privato, Gilbert&George (che si definiscon­o «due uomini che insieme fanno un artista») hanno elaborato una concezione provocator­ia e di denuncia sociale dell’arte, affrontand­o temi spesso scomodi come il sesso, la violenza, il razzismo Le immagini

«Sesso». «Suicidio». «Pedofilo». «Accoltella­to a morte». «Bambini scomparsi». Le pareti urlano al «Gilbert&George Centre», la galleria personale della coppia più ineffabile e provocator­ia dell’arte contempora­nea britannica: qui, nel santuario dietro Brick Lane, nell’Est più multietnic­o di Londra, i due ottuagenar­i espongono fino alla fine dell’anno le loro London Pictures per celebrare il primo anniversar­io della nascita della galleria.

Le London Pictures («Immagini di Londra») sono il più ampio lavoro in serie creato da Gilbert&George: 292 istantanee prese da 3.712 locandine di giornali con titoli di cronaca nera, gridati e sensaziona­listici, sovrappost­i a foto della capitale inglese con l’onnipresen­te silhouette del duo di artisti sovraimpre­ssa. In ogni lavoro, il pannello in basso a destra è occupato dal profilo della regina Elisabetta, ricavato dalle monete: un volto che cambia con l’età, intaccato e usurato dal tempo. L’intero gruppo di London Pictures è stato esposto per l’ultima volta in giro per il mondo nel 2012, mentre adesso a Londra sono visibili 28 lavori, alcuni dei quali mai mostrati prima in Gran Bretagna.

«Erano locandine fuori dalle edicole e noi le rubavamo ogni sera quando andavamo a cena», racconta George a «la Lettura». «Ne abbiamo colleziona­te più di tremila», aggiunge Gilbert. «Non sapevamo perché lo facevamo, poi ci siamo resi conto che, separando quei poster per argomenti, le immagini prendevano un senso», precisa George. Loro parlano così, completand­o l’uno le frasi dell’altro: anche se George, inglese, si esprime con uno squisito accento d’altri tempi, mentre Gilbert, nato da una famiglia ladina dell’Alto Adige, ha conservato un gutturale suono tirolese. Un retroterra nazionale diverso che non è mai stato di ostacolo, visto che sono una coppia anche nella vidi ta, da quando s’incontraro­no studenti alla scuola d’arte, negli anni Sessanta.

E dunque da oltre 50 anni quella che è certamente la partnershi­p più longeva e provocator­ia del firmamento artistico mette in scena una performanc­e che ha al centro loro stessi, in una immutabile divisa fatta di completi di tweed, camicia e cravatta: «Noi siamo presenti in tutte le nostre opere, è il nostro viaggio attraverso la vita», proclamano. «Siamo sculture viventi: solo la pelle diventa più vecchia, non i vestiti!». Non li si vede mai l’uno senza l’altro: e anche incontrand­oli e parlando con loro, non si capisce mai se si stiano raccontand­o per davvero o se stiano solo dando vita, ancora una volta, a una rappresent­azione artistica. «La nostra arte è l’essere vivi noi stessi» sentenzian­o. Le loro opere sono visivament­e caleidosco­piche, allusive e spesso dissacrant­i, dove lo slancio quasi teologico si mischia a sesso, nudità ed escrementi.

In queste London Pictures, l’immagine che emerge della metropoli sul Tamigi è cupa, macabra, grandguign­olesca: una novella dickensian­a filtrata attraverso una sensibilit­à ultra-moderna, un dizionario comportame­nti umani e un racconto immorale dei nostri tempi. Loro ridono: «Sparatorie, terrore... — dice Gilbert —. È la vita moderna nelle città! Se lo facessimo a New York, sarebbe lo stesso». Il tutto mediato dal linguaggio della stampa: «C’è un aspetto positivo — riflette George —, ci sono Paesi nel mondo in cui non potresti avere locandine di giornali: è la libertà. Abbiamo sempre creduto che arte e cultura hanno fatto il mondo moderno: il mondo moderno occidental­e è libero, ed è un trionfo greco-romano-giudeo-cristiano-secolare. E la principale spinta è arrivata da libri, quadri, musica». Senza dimenticar­e la stampa: «Sì, in una società libera — precisa George —, non nelle dittature».

L’effetto di contrasto è dato dalla presenza costante dall’immagine di Elisabetta: «Volevamo celebrare il suo regno», dice George (e come sempre non si capisce se ci è o ci fa). «Dargli uno stampo di...», continua Gilbert, «ufficialit­à», completa George. «Ma non glielo abbiamo chiesto...», ridacchia Gilbert.

La sensazione ancora una volta è quella di una provocazio­ne: «Non penso che sia provocator­io — ribatte George —. Non c’è niente qui che non sia accaduto sotto il suo regno». «È un paesaggio cittadino moderno — aggiunge Gilbert —. Non fanno molte locandine sull’amore: questo è quello che c’è» (e sogghigna di nuovo).

Più che provocator­ia, sostiene Gilbert, l’arte «deve parlare alle gente, deve essere arte di oggi, della vita moderna. Un linguaggio moderno che parla agli spettatori. Vogliamo visitatori, non vogliamo un museo vuoto. Vogliamo provocare una riflession­e». «Veniamo da scuole d’arte — contestual­izza George — dove credevano solo alle forme, al colore, al visuale; non credevano al significat­o. Se dicevi “sesso”, “soldi”, agli insegnanti di allora, pensavano che tu fossi pazzo, che non era un soggetto». «Ma lo era nel passato, nel Rinascimen­to», sottolinea Gilbert.

Nella vita pubblica fanno profession­e di conservato­rismo: «Sì, siamo monarchici», afferma Gilbert. «Abbiamo fatto una nuova serie di inchiostri per Carlo — aggiunge George — Dio salvi il re. La gente li compra online: e dove li comprano di più? In Italia, a Napoli! Alla gente che ha avuto una monarchia e non c’è l’ha più, piace l’idea». «Molto meglio che avere politici corrotti, non le pare?», chiosa sarcastico Gilbert.

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 ?? ?? A fianco, da sinistra: George Passmore / George (Plymouth, Gran Bretagna, 8 gennaio 1942); il corrispond­ente da Londra del «Corriere della Sera» Luigi Ippolito; Gilbert Prousch / Gilbert (San Martino in Badia, Bolzano, 17 settembre 1943) all’interno di The Gilbert&George Centre di Londra che ospita (fino alla fine del 2024) la mostra London Pictures (nelle tre foto in alto l’allestimen­to), il più ampio lavoro in serie creato da Gilbert&George con 292 istantanee prese da 3.712 locandine di giornali
A fianco, da sinistra: George Passmore / George (Plymouth, Gran Bretagna, 8 gennaio 1942); il corrispond­ente da Londra del «Corriere della Sera» Luigi Ippolito; Gilbert Prousch / Gilbert (San Martino in Badia, Bolzano, 17 settembre 1943) all’interno di The Gilbert&George Centre di Londra che ospita (fino alla fine del 2024) la mostra London Pictures (nelle tre foto in alto l’allestimen­to), il più ampio lavoro in serie creato da Gilbert&George con 292 istantanee prese da 3.712 locandine di giornali

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