Corriere della Sera - La Lettura
TuttoilNovecento dell’AppiaAntica
Oltre l’archeologia (che comunque c’è), oltre le bellezze naturalistiche (ci sono anche quelle)... la mostra al Casale di Santa Maria Nova, all’interno della Villa dei Quintili, offre un’inedita prospettiva sulla «regina viarum». Una prospettiva, appunto,
Non solo archeologia, non solo i caratteristici cipressi e i pini marittimi a ombrello (che però non esistevano e furono «inventati» agli inizi del Novecento). Non solo dunque lo straordinario «belvedere» sul mondo antico con lo sguardo che ancora oggi si slancia su vaste porzioni di agro romano disseminate di ruderi, mausolei e prati di papaveri. Missione della mostra e dei suoi quattro curatori architetti e storici dell’arte — Claudia Conforti, Roberto Dulio, Simone Quilici e Ilaria Sgarbozza — è infatti quella di andare oltre l’«arcadia» (senza escluderla), reimmettendo l’Appia Antica— regina viarum com’ebbe a definirla Stazio nel I secolo dopo Cristo — nel flusso della contemporaneità, concentrandosi sul XX secolo e spingendosi fino al presente.
Tutto chiaro fin dal titolo-manifesto scelto per la rassegna: L’Appia è moderna. E una parte essenziale di questa narrazione — che abbraccia varie discipline: arte, architettura, cinema, paesaggio — è il luogo che la ospiterà dal 18 maggio al 13 ottobre: il Casale di Santa Maria Nova, all’interno della Villa dei Quintili. Un sito di straordinario fascino che ha origini romane, ha attraversato il Medioevo, e la cui stratificazione non si è mai interrotta. Dopo una secolare proprietà dei monaci Olivetani, nel 1950 il conte Jacopo Marcello, allora proprietario del complesso, affidò infatti al grande architetto razionalista Luigi Moretti un progetto di ristrutturazione. L’intervento di Moretti è ancora riconoscibile nelle aperture longitudinali realizzate nella muratura antica. E alcuni suoi disegni progettuali a china, con il caratteristico alfabeto curvilineo dell’autore, sono tra i materiali esposti in mostra.
Il nome di Moretti torna anche nelle testimonianze fotografiche — immagini conservate nell’Archivio Centrale dello Stato — che documentano la celebre (e perduta) garçonnière che l’architetto allestì all’interno delle Mura romane e della Porta di San Sebastiano — con insolito corredo di armi appese, drappeggi e pelli esotiche — per il gerarca fascista Ettore Muti, gran frequentatore di «sciantose» e attrici, l’uomo che prima di diventare segretario del Pnf (1939) fu volontario negli arditi, seguace di Gabriele d’Annunzio nell’impresa di Fiume e pilota nella guerra di Spagna, morto in circostanze mai chiarite un mese dopo la caduta del regime, nell’agosto 1943.
L’ultimo proprietario privato del Casale di Santa Maria Nova, acquistato dallo Stato nel 2008, fu il produttore cinematografico Evan Ewan Kimble, il quale pare lo abbia abbandonato poco dopo per la presenza di un fantasma, addirittura quello di Tulliola, figlia di Cicerone, seconda una mai sopita tradizione. Sfruttatissimo come set, il Casale per un breve periodo fu anche residenza romana di Klaus Kinski, che lì visse in compagnia della figlia Nastassja. Ma Santa Maria Nova è solo uno dei mille tasselli che testimoniano il legame fortissimo tra l’Appia Antica e il cinema, tema cui è dedicato un ampio spazio nel percorso espositivo: lo si vede in decine di film, dal Disprezzo di Godard (1962) a Sua Eccellenza si fermò a mangiare di Mario Mattoli (1961), in cui Totò ruba le posate d’oro «circoncise da Benvenuto Cellini» nella residenza di una immaginaria contessa.
Architettura e cinema tornano protagoniste nelle tante ville sull’Appia e nei dintorni appartenute a esponenti di spicco del mondo dello spettacolo — da Domenico Modugno a Gina Lollobrigida — soprattutto negli anni del boom e della
cosiddetta Hollywood sul Tevere. Immagini inedite — tre delle otto commissionate in questa occasione al fotografo Francesco Jodice — mostrano anche la fastosa residenza, oggi in abbandono, che l’architetto Michele Busiri Vici riprogettò per la coppia d’oro del grande schermo, il produttore Dino De Laurentiis e sua moglie Silvana Mangano, con tanto di piscina dal sinuoso profilo a forma di chitarra, teatralmente alimentata da una cascatella artificiale. Anche questa casa si riconosce in alcune pellicole d’epoca — tra cui l’episodio Latin Lover di Franco Indovina nel film I tre volti (1965), prodotto dallo stesso De Laurentiis e interpretato da Soraya e Alberto Sordi — oltre che sulle pagine dei rotocalchi del tempo.
Numerosi i progetti firmati dai grandi architetti del secolo scorso di cui si dà conto nelle sei sezioni in cui è suddiviso il percorso espositivo. Oltre ai citati Moretti e Busiri Vici, tra gli autori in mostra si incontrano Marcello Piacentini, Raffaele De Vico, Enrico Del Debbio, il duo Vincenzo Monaco e Amedeo Luccichenti, Lucio Passarelli. Ultimo episodio in ordine di tempo di questa «antologia» progettuale dell’Appia versione Novecento è il viadotto realizzato da Sergio Musmeci poco fuori Porta San Sebastiano, in via Cilicia, agli inizi degli anni Ottanta.
Spazio anche alla realizzazione del Sacrario delle vicine Fosse Ardeatine. Il concorso per l’opera venne bandito nel settembre 1944, quando la guerra devastava ancora gran parte dell’Italia. Mario Fiorentino e Giuseppe Perugini realizzarono la colossale lastra tombale appena librata sul terreno, con il possente parallelepipedo e la sua drammatica volumetria astratta inseriti nel paesaggio della campagna romana, senza concessioni al tradizionale immaginario «vernacolare» che caratterizzava fino ad allora le raffigurazioni dell’Appia. Esposti anche materiali preparatori per il cancello in bronzo di Mirko Basaldella — opera in cui l’arte informale fa la sua prima comparsa tra i monumenti antichi — e per il gruppo scultoreo sulle tre età dei martiri dell’eccidio, dello scultore Francesco Coccia.
I fotogrammi inediti dell’Appia estrapolati da una pellicola cinematografica 35 mm dell’artista Mariano Fortuny, lavori di Duilio Cambellotti e Giulio Aristide Sartorio introducono l’ampia sezione dedicata alla arti figurative. Sartorio in particolare — celebre per aver dipinto anche il monumentale fregio all’interno della Camera dei deputati — tra il 1918 e il 1932 visse con la moglie Marga Sevilla, attrice spagnola, in via di Porta San Sebastiano, nella villa detta «Orti di Galatea» già appartenuta ai principi Orsini. Qui il pittore — sepolto a un miglio dalla residenza di famiglia, nel giardino adiacente la basilica di San Sebastiano — ambientò anche il film Il mistero di Galatea, girato dall’artista e interpretato dalla consorte tra il 1918 e il 1919: una pellicola non destinata alle sale ma a un pubblico ristretto, con l’adozione di tecniche sperimentali.
Sempre sul versante pittorico, e più in là nel tempo, l’allestimento propone tele di Francesco Trombadori e Carlo Socrate nonché la rievocazione della vicenda relativa alla galleria d’arte contemporanea «Appia Antica», animata dal talento del poeta-artista Emilio Villa. Frequentata anche da Peggy Guggenheim, negli anni tra il 1957 e il 1961 la galleria mise in mostra la vitalità delle avanguardie italiane non figurative (vi espose anche un esordiente Piero Manzoni) nonché le prime prove del pop italico con i lavori, fra gli altri, di Mario Schifano e Renato Mambor.
Tra i tanti materiali eterogenei proposti, anche le foto d’autore con i volti dei protagonisti del tempo. Quello di Margherita Sarfatti, domina della critica d’arte tra le due guerre e a lungo legata sentimentalmente a Mussolini, è fissato dall’obiettivo di Ghitta Carell, superstar della ritrattistica del Novecento. Margherita nel luglio 1937 aveva pubblicato sul quotidiano «La Stampa» l’articolo Via Appia. Quelli che scrissero sul marmo, su un libro e una mostra di due anni prima a Parigi, con una serie di epigrafi dettate da scrittori e intellettuali tra cui lei stessa, unica donna.