Corriere della Sera - La Lettura
La «Femina» indossa l’armatura della società
Dopo la collaborazione con Carolyn Carlson tra Venezia e Parigi, i danzatori e coreografi Michele Abbondanza (Riva del Garda, Trento, 1960) e Antonella Bertoni (Roma, 1964; insieme nella foto di Adriano Treccani) hanno fondato nel 1995 la Compagnia Abbondanza/ Bertoni con cui hanno avviato una fitta produzione di spettacoli, il più recente dei quali, Femina (in alto, foto di Tobia Abbondanza), approda mercoledì 15 maggio allo Spazio Rossellini di Roma per la rassegna Vertigine. Storica coppia della danza contemporanea italiana, Abbondanza e Bertoni hanno firmato coreografie per l’Opera di Roma e per Aterballetto, lavorando con i registi Marco Baliani, Nanni Garella, Roberto Guicciardini e con i musicisti John Surman, Steve Lacy, Michel Portal. Hanno partecipato al film di Bernardo Bertolucci Io ballo da sola (1995) e sono stati tra i protagonisti delle coreografie create per la trasmissione tv Vieni via con me di Fabio Fazio e Roberto Saviano, su Raitre nel 2010. Dal 1996 Michele Abbondanza è docente di danza presso la Scuola del Piccolo Teatro
In caschetto biondo platino e guêpière color carne, quattro donne pressoché identiche entrano in scena e cominciano ad applaudire ritmicamente il pubblico, percuotendosi il corpo. Sulle punte dei piedi o a gambe all’aria, come bambole di un grande magazzino o modelle di una pubblicità anni Sessanta, compongono e disfano, a ritmo, un arazzo di stereotipi del mondo femminile. Corpi standardizzati, privi di identità, assimilati da un’estetica che rende la donna bella, finta e intercambiabile come un accessorio da consumare e poi dismettere.
Inizia così Femina, nuovo lavoro dello storico duo della danza contemporanea italiana, Michele Abbondanza e Antonella Bertoni, quest’ultima autrice della coreografia in scena il 15 maggio allo Spazio Rossellini di Roma, per Vertigine, la stagione di Orbita/Spellbound Centro Nazionale di Produzione della Danza a cura di Valentina Marini.
Racconta Bertoni: «Abbiamo voluto dedicare un focus al femminile del mondo contemporaneo. Nella nostra coppia, la “parte Bertoni” è fortemente femminista: della donna si deve ancora parlare molto», afferma l’autrice. Femina èla seconda parte di una trilogia sull’identità dal titolo Io è un altro, iniziata nel 2022 con il quartetto misto uomo-donna Idem che terminerà con Viro, duo maschile al debutto quest’anno: «Quando indaghiamo un emisfero ci viene la curiosità di riflettere anche sull’altro. Così, dopo esserci focalizzati sul femminile ci concentreremo sul maschile».
In Femina le quattro interpreti si muovono in branco, le teste annuiscono e negano come se rispondessero a invisibili comandi, l’adrenalina galvanizza i corpi seguendo il flusso spezzato delle percussioni. Il pensiero è azzerato in riflessi meccanici compulsati dall’istinto, le espressioni del volto si rapprendono in una maschera schizofrenica. Quando il ritmo si fa più ossessivo le quattro tentano una parziale svestizione per liberarsi di qualche strato del proprio abbigliamento intimo, un’armatura sexy che le ingabbia. «Una certa cultura stereotipa le donne — spiega Bertoni — e i corpi sono lo specchio del mondo sociale. Il corpo femminile è osservato e valutato come oggetto dello spazio sociale. Da qui abbiamo voluto darci, ancora una volta, la regola di coreografare in assoluta aderenza alla musica».
La scelta è caduta su una composizione musicale contemporanea: l’ipnotica Dysnomia del trio Dawn of Midi — formato dal bassista Aakaash Israni, dal pianista Armino Belyamani e dal batterista Qasun Naqvi, newyorkesi di Brooklyn — che, con questo album del 2015, ha lasciato l’improvvisazione pura a favore di sofisticate strutture ritmiche mutuate dalle tradizioni popolari nordafricane e dell’Africa Occidentale. Il risultato è un groove circolare con effetto trance che amplifica il senso di dissoluzione dell’io che pervade il microcosmo di Femina. «Su questa musica che dura 43 minuti– soggiunge Bertoni — abbiamo composto la coreografia cercando di non tradire la colonna sonora. Strada facendo, la musica è diventata quel ritmo incalzante e ossessivo che ci viene imposto dal tempo in cui viviamo. Ne è uscito il femminile alienato così profondamente insito in quest’epoca tardomoderna ma capace di rigenerarsi. Femminile e alienazione sono in contrasto tra di loro: pur soffrendo, noi donne abbiamo una straordinaria e multi-sfaccettata abilità nel portare avanti più impegni insieme, dal momento che ancora tante responsabilità ricadono sulle nostre spalle. Nonostante ciò, il femminile non soccombe, capace di rinnovarsi e trovare sempre bellezza e abilità nel quotidiano».
Debutta a Roma il nuovo spettacolo di Michele Abbondanza e della coreografa Antonella Bertoni con quattro danzatrici truccate in modo da essere identiche: «Una certa cultura ci veste di stereotipi. Le donne sono lo specchio del mondo nel quale viviamo e il loro corpo è valutato come oggetto di questo spazio»
L’omologazione delle quattro danzatrici rispecchia gli stereotipi della società dell’immagine ai quali tutti dovrebbero adeguarsi: «È sorprendente come la cultura maschile massifichi principalmente le donne. Camminando per Milano per un certo periodo si vedevano soprattutto donne con capelli lunghi e lisci», soggiunge la coreografa. Perciò Femina scava nel solco dei cliché «vestendo» le interpreti con corpi in vista, vestiti solo da collant, slip e reggiseno a più strati, in testa un’identica parrucca: «Chi ci vede Raffaella Carrà, chi Barbie... Non era questo il nostro intento: piuttosto l’annullamento dell’identità della danzatrice». Il maschio non è contemplato, è una donna autosufficiente, chiusa in un proprio mondo, consapevole di essere osservata. In scena le danzatrici restituiscono al pubblico uno sguardo giudicante. «Prima di scivolare nell’ossessività indotta dalla musica, guardano il pubblico e lo applaudono. Ed è un applauso che il femminile fa alla nostra società, in modo ironico e ambiguo».
Dunque, «battere le mani è un j’accuse oppure un plaudere?», si chiede nelle note di regia Michele Abbondanza, sempre più concentrato negli ultimi anni sulla visione drammaturgica e registica degli spettacoli mentre Bertoni continua a sentirsi «ossessionata» dalla coreografia. «Per me è un j’accuse della donna alla società che ora la chiama non-uomo, fluida, non binaria», ribatte Antonella con orgoglio. Nel finale, le danzatrici si sfilano dal palco addentrandosi nelle quinte nere, mentre il fondale candido si squarcia rivelando una profonda fessura di luce, origine del mondo.