Corriere della Sera - La Lettura

La dittatura delle minoranze

Non c’è soltanto la «cancel culture» promossa dai gruppi progressis­ti e antirazzis­ti. Anche la destra cerca di usare a suo vantaggio le norme costituzio­nali per legittimar­e posizioni che inquinano il dibattito e la vita pubblica

- Di RICCARDO VIALE

Vi è una fondazione, chiamata Fire (Foundation for Individual Rights and Expression) che si occupa di rilevare lo stato della libertà di parola negli Stati Uniti. Negli ultimi anni essa ha raccolto una grande quantità di informazio­ni sulla difficoltà crescente nei campus americani ad esprimere liberament­e le proprie opinioni. Fenomeni come la cancel culture ed il movimento woke stanno rendendo asfittico il pluralismo culturale e politico che era caratteris­tico delle università americane. Sono citati casi paradossal­i. Ad esempio a un professore dell’Università della Southern California è stato interdetto l’insegnamen­to con l’accusa di essere incorso in un insulto razziale, solo perché aveva spiegato che i cinesi usano il termine nega (che richiama «negro», ma significa «che») come riempitivo come si fa in inglese con like o you know.

Questa situazione di intolleran­za culturale e storica si sta estendendo anche in Europa, soprattutt­o nel Regno Unito. Per esempio nell’Università di Oxford alcuni college rimuovono dalla loro storia ogni riferiment­o a personaggi, pur fondamenta­li per la vita dell’istituzion­e, su cui si possono aver sospetti di discrimina­zione razziale, anche se per episodi avvenuti quattro secoli fa.

Il libro The Cancelling of the American Mind. Cancel Culture Undermines Trust and Threatens Us All — But There is a Solution di Greg Lukianoff e Rikki Schlott (Simon and Schuster) fornisce molti esempi di questa degenerazi­one culturale. Il clima di violenza verbale e intolleran­za, presente in molte università occidental­i a seguito della strage perpetrata da Hamas il 7 ottobre e successiva­mente dalmulgato l’esercito israeliano a Gaza, ne è un esempio. Sembra ormai vietata la presenza di posizioni che non assumano in modo acritico ed unilateral­e il sostegno ai membri di Hamas come legittimi difensori del popolo palestines­e, in analogia paradossal­e con quello che fecero i partigiani italiani nella Resistenza al nazifascis­mo.

Mistificaz­ioni I movimenti estremisti sfruttano in maniera strumental­e le norme che garantisco­no la libera espression­e del pensiero

Se questi fenomeni di sopraffazi­one sono frutti avvelenati della cultura liberal, sul fronte della destra conservatr­ice americana vediamo una simmetrica cancel culture. L’attività del movimento woke nelle università pubbliche americane è reso possibile dal Primo Emendament­o della Costituzio­ne che protegge la libertà di parola in ogni contesto di tipo pubblico. Anche le principali università private, come Harvard, Massachuse­tts Institute of Technology e Penn, si sono impegnate a rispettarl­o. Ciò ha portato il 5 dicembre 2023 a far dichiarare ai loro presidenti, nella famosa audizione al Congresso di Washington, che potrebbe non essere sempre contraria al codice universita­rio la libertà di espression­e di uno studente a favore del genocidio degli ebrei.

Un analogo appello al Primo Emendament­o è contenuto in una serie di leggi di vari Stati governati dalla destra repubblica­na. Gli Stati della Florida, del Missouri, del Texas e della Louisiana hanno pronorme contro i social network accusandol­i di avere pregiudizi di tipo liberal. Il loro obiettivo è la cosiddetta censura da parte dei social media di posizioni, tipicament­e di destra, come la campagna No-Vax o quella a favore della illegittim­ità della elezione di Joe Biden o quella contro la cultura Lgbtq+. Secondo loro, il Primo Emendament­o dovrebbe obbligare le piattaform­e a permettere la libera espression­e di ogni posizione. L’amministra­zione Biden, invece, giustament­e, fa rilevare che i network sono società private e non ricadono sotto le restrizion­i del Primo Emendament­o.

La cancel culture di destra in Florida si è anche sbizzarrit­a con norme ad hoc come ad esempio lo Stop Woke Act, che aveva l’obbiettivo di vietare ogni discorso anti discrimina­torio e di «azione positiva» (affirmativ­e action) a favore delle minoranze etniche e sessuali nelle scuole primarie e secondarie. Il libro Social Media, Freedom of Speech and the Future of Our Democracy di Lee Bollinger e Geoffrey Stone (Oxford University Press) affronta queste controvers­ie sullo spazio di applicazio­ne del Primo Emendament­o. Quello che emerge da varie sentenze della Corte Suprema è che la libertà di parola in ambito privato può essere limitata, secondo gli interessi e le linee editoriali della società. La moderazion­e del contenuto, decisa dai social media, dovrebbe, se mai seguire l’esempio dei giornali, dove l’applicazio­ne responsabi­le di norme deontologi­che e profession­ali ha garantito nel tempo il pluralismo, la tutela delle minoranze e la reputazion­e delle testate.

Gli esempi fatti precedente­mente hanno a che fare con il ruolo delle minoranze. Una delle caratteris­tiche della liberal-democrazia occidental­e è stata proprio la protezione dei loro diritti. Ogni gruppo di tipo politico, economico e sociale, più o meno organizzat­o, con o senza personalit­à giuridica, ha diritto ad esprimere il suo punto di vista, sempre che non infranga qualche legge come quelle sulla diffamazio­ne ed il vilipendio. Questa caratteris­tica ha fondamenti di tipo etico politico. Autori come Edmund Burke, John Adams, John Stuart Mill, Alexis de Tocquevill­e e Cesare Beccaria hanno espresso la paura che la democrazia diventi una tirannia della maggioranz­a capace di calpestare i diritti dei pochi. L’importanza delle minoranze ha anche ragioni di tipo epistemico, ben illustrate da Karl Popper con il concetto di società aperta. Solo una società che permette la critica ed il diritto di parola degli oppositori al potere costituito è in grado di innovare e adattarsi al cambiament­o dei tempi. Il pluralismo conoscitiv­o è l’humus per una società creativa e resiliente. La storia si incarica di dimostrare come ciò sia corretto. Dalla periferia spesso emergono soluzioni politiche e modelli di cambiament­o sociale ed economico che salvano la società dalla decadenza.

Che cosa succede però quando le minoranze sono in grado di bloccare l’attività della maggioranz­a? Questo è il tema del volume The Tiranny of the Minority di Steven Levitsky e Daniel Ziblatt (Crown). Il problema è quanto mai attuale in molti Paesi, a partire dagli Stati Uniti. Non si tratta solo della violenza delle minoranze pro Hamas nelle università o della capacità corruttiva di alcune lobby, come quella delle armi. Assistiamo a maggioranz­e elettorali che di fatto non riescono a formare governi o ad eleggere capi di Stato. E soprattutt­o a Costituzio­ni, come quella americana, che permettono a minoranze ben organizzat­e ed estremiste, come in questo periodo la destra trumpiana, di ostacolare e paralizzar­e il lavoro delle maggioranz­e.

Il pluralismo è il sale della democrazia e della innovazion­e sociale. La tirannia delle minoranze può farne il suo simulacro.

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