Corriere della Sera - La Lettura
La dittatura delle minoranze
Non c’è soltanto la «cancel culture» promossa dai gruppi progressisti e antirazzisti. Anche la destra cerca di usare a suo vantaggio le norme costituzionali per legittimare posizioni che inquinano il dibattito e la vita pubblica
Vi è una fondazione, chiamata Fire (Foundation for Individual Rights and Expression) che si occupa di rilevare lo stato della libertà di parola negli Stati Uniti. Negli ultimi anni essa ha raccolto una grande quantità di informazioni sulla difficoltà crescente nei campus americani ad esprimere liberamente le proprie opinioni. Fenomeni come la cancel culture ed il movimento woke stanno rendendo asfittico il pluralismo culturale e politico che era caratteristico delle università americane. Sono citati casi paradossali. Ad esempio a un professore dell’Università della Southern California è stato interdetto l’insegnamento con l’accusa di essere incorso in un insulto razziale, solo perché aveva spiegato che i cinesi usano il termine nega (che richiama «negro», ma significa «che») come riempitivo come si fa in inglese con like o you know.
Questa situazione di intolleranza culturale e storica si sta estendendo anche in Europa, soprattutto nel Regno Unito. Per esempio nell’Università di Oxford alcuni college rimuovono dalla loro storia ogni riferimento a personaggi, pur fondamentali per la vita dell’istituzione, su cui si possono aver sospetti di discriminazione razziale, anche se per episodi avvenuti quattro secoli fa.
Il libro The Cancelling of the American Mind. Cancel Culture Undermines Trust and Threatens Us All — But There is a Solution di Greg Lukianoff e Rikki Schlott (Simon and Schuster) fornisce molti esempi di questa degenerazione culturale. Il clima di violenza verbale e intolleranza, presente in molte università occidentali a seguito della strage perpetrata da Hamas il 7 ottobre e successivamente dalmulgato l’esercito israeliano a Gaza, ne è un esempio. Sembra ormai vietata la presenza di posizioni che non assumano in modo acritico ed unilaterale il sostegno ai membri di Hamas come legittimi difensori del popolo palestinese, in analogia paradossale con quello che fecero i partigiani italiani nella Resistenza al nazifascismo.
Mistificazioni I movimenti estremisti sfruttano in maniera strumentale le norme che garantiscono la libera espressione del pensiero
Se questi fenomeni di sopraffazione sono frutti avvelenati della cultura liberal, sul fronte della destra conservatrice americana vediamo una simmetrica cancel culture. L’attività del movimento woke nelle università pubbliche americane è reso possibile dal Primo Emendamento della Costituzione che protegge la libertà di parola in ogni contesto di tipo pubblico. Anche le principali università private, come Harvard, Massachusetts Institute of Technology e Penn, si sono impegnate a rispettarlo. Ciò ha portato il 5 dicembre 2023 a far dichiarare ai loro presidenti, nella famosa audizione al Congresso di Washington, che potrebbe non essere sempre contraria al codice universitario la libertà di espressione di uno studente a favore del genocidio degli ebrei.
Un analogo appello al Primo Emendamento è contenuto in una serie di leggi di vari Stati governati dalla destra repubblicana. Gli Stati della Florida, del Missouri, del Texas e della Louisiana hanno pronorme contro i social network accusandoli di avere pregiudizi di tipo liberal. Il loro obiettivo è la cosiddetta censura da parte dei social media di posizioni, tipicamente di destra, come la campagna No-Vax o quella a favore della illegittimità della elezione di Joe Biden o quella contro la cultura Lgbtq+. Secondo loro, il Primo Emendamento dovrebbe obbligare le piattaforme a permettere la libera espressione di ogni posizione. L’amministrazione Biden, invece, giustamente, fa rilevare che i network sono società private e non ricadono sotto le restrizioni del Primo Emendamento.
La cancel culture di destra in Florida si è anche sbizzarrita con norme ad hoc come ad esempio lo Stop Woke Act, che aveva l’obbiettivo di vietare ogni discorso anti discriminatorio e di «azione positiva» (affirmative action) a favore delle minoranze etniche e sessuali nelle scuole primarie e secondarie. Il libro Social Media, Freedom of Speech and the Future of Our Democracy di Lee Bollinger e Geoffrey Stone (Oxford University Press) affronta queste controversie sullo spazio di applicazione del Primo Emendamento. Quello che emerge da varie sentenze della Corte Suprema è che la libertà di parola in ambito privato può essere limitata, secondo gli interessi e le linee editoriali della società. La moderazione del contenuto, decisa dai social media, dovrebbe, se mai seguire l’esempio dei giornali, dove l’applicazione responsabile di norme deontologiche e professionali ha garantito nel tempo il pluralismo, la tutela delle minoranze e la reputazione delle testate.
Gli esempi fatti precedentemente hanno a che fare con il ruolo delle minoranze. Una delle caratteristiche della liberal-democrazia occidentale è stata proprio la protezione dei loro diritti. Ogni gruppo di tipo politico, economico e sociale, più o meno organizzato, con o senza personalità giuridica, ha diritto ad esprimere il suo punto di vista, sempre che non infranga qualche legge come quelle sulla diffamazione ed il vilipendio. Questa caratteristica ha fondamenti di tipo etico politico. Autori come Edmund Burke, John Adams, John Stuart Mill, Alexis de Tocqueville e Cesare Beccaria hanno espresso la paura che la democrazia diventi una tirannia della maggioranza capace di calpestare i diritti dei pochi. L’importanza delle minoranze ha anche ragioni di tipo epistemico, ben illustrate da Karl Popper con il concetto di società aperta. Solo una società che permette la critica ed il diritto di parola degli oppositori al potere costituito è in grado di innovare e adattarsi al cambiamento dei tempi. Il pluralismo conoscitivo è l’humus per una società creativa e resiliente. La storia si incarica di dimostrare come ciò sia corretto. Dalla periferia spesso emergono soluzioni politiche e modelli di cambiamento sociale ed economico che salvano la società dalla decadenza.
Che cosa succede però quando le minoranze sono in grado di bloccare l’attività della maggioranza? Questo è il tema del volume The Tiranny of the Minority di Steven Levitsky e Daniel Ziblatt (Crown). Il problema è quanto mai attuale in molti Paesi, a partire dagli Stati Uniti. Non si tratta solo della violenza delle minoranze pro Hamas nelle università o della capacità corruttiva di alcune lobby, come quella delle armi. Assistiamo a maggioranze elettorali che di fatto non riescono a formare governi o ad eleggere capi di Stato. E soprattutto a Costituzioni, come quella americana, che permettono a minoranze ben organizzate ed estremiste, come in questo periodo la destra trumpiana, di ostacolare e paralizzare il lavoro delle maggioranze.
Il pluralismo è il sale della democrazia e della innovazione sociale. La tirannia delle minoranze può farne il suo simulacro.